Il respiro di Manzoni

800px-Umberto_Eco_04Nella traduzione lo stile non è tanto una questione di lessico, che può essere tradotto dal sito Web di Altavista, ma di ritmo. Alcuni ricercatori hanno eseguito un’analisi della frequenza delle parole di Manzoni nei “Promessi Sposi”, il capolavoro della letteratura italiana dell’Ottocento. Manzoni aveva un  vocabolario assolutamente povero, non ha inventato metafore innovative, e ha usato l’aggettivo “buono” una quantità spaventosa di volte. Ma il suo stile è eccezionale, puro e semplice. Per tradurlo, come in ogni grande traduzione, bisogna mettere in evidenza l’anima del suo mondo, il respiro, il suo ritmo preciso.

Umberto Eco, The Art of Fiction No. 197, intervistato da Lila Azam Zanganeh, The Paris Review  (estate 2008), traduzione L.V., foto Wikipedia.

Un rifiuto

m40002.9788808066275«Dopo aver letto l’ammontare dello stipendio», risposi, «ho deciso che devo rifiutare. Il motivo è semplice: con quel denaro potrei fare quello che ho sempre sognato, avere un’amante meravigliosa, piazzarla in una bella casa, comprarle gioielli… Con lo stipendio che mi avete offerto potrei realizzare i miei sogni, e chissà cosa mi accadrebbe. Diventerei geloso, farei delle scenate tornando a casa la sera. Tutta quell’agitazione mi renderebbe inquieto, sarei infelice. Non potrei più dedicarmi totalmente alla fisica, e sarebbe la fine! Quello che ho sempre sognato di fare mi farebbe malissimo, quindi non posso accettare».

Richard P. Feynman, «Sta scherzando, Mr. Feynman!», Zanichelli (2008), traduzione (ottima) di Sylvie Coyaud, copertina di Miguel Sal.

Chi guarda si trasforma in viandante

1024px-Altar_de_Pergamo_-_Nereu_e_OceanoCiò accade, per esempio, nell’Ara di Pergamo, i cui frammenti, esposti al Pergamonmuseum di Berlino, ci lasciano intuire lo sviluppo di una storia che “scorre” per centoventi metri di fregio scolpito. In questo caso abbiamo una narrazione continua che costringe lo spettatore a mettersi in marcia, a camminare attorno al complesso monumentale. Chi guarda, come chi legge, si trasforma in viandante.

Marco Vacchetti, Storie dell’arte, Holden Maps-BUR (2010). Nella foto una parte del fregio dell’altare di Pergamo, con Nereo e Oceano (da Wikipedia).

Gli scarafaggi

E in generale di che colpa si sono macchiati gli scarafaggi? Non è che una volta, per caso, siete stati morsi da uno scarafaggi1113-3o? O forse uno scarafaggio ha offeso la vostra dignità etnica? Direi proprio di no…
Gli scarafaggi sono innocui e a modo loro eleganti. Hanno la plasticità irruente di un’automobilina da corsa.
Gli scarafaggi, a differenza delle zanzare, sono silenziosi. Qualcuno ha mai sentito che uno scarafaggio abbia alzato la voce?
Gli scarafaggi sanno stare al loro posto, raramente lasciano la cucina.
Gli scarafaggi non puzzano. Viceversa, i nemici degli scarafaggi impestano le abitazioni dell’odore abominevole degli insetticidi…
Mi sembra che tutto questo sia sufficiente per sopportare gli scarafaggi. Apprezzarli, sarebbe troppo. Ma penso che sopportarli sia possibile!
Io ade esempio li sopporto.
E, come si suol dire, spero che la cosa sia reciproca.

Sergej Dovlatov, Mars odinokich; IV, 31, in Laura Salmon, Quel mondo scomparso chissà dove…, postfazione a Sergej Dovlatov, La valigia, Sellerio (1999), traduzione di Laura Salmon..

La scena in cui Don Giovanni dialoga coi demoni

118La compagnia originale a cui venne affidata la prima assoluta dell’opera di Mozart aveva pochi cantanti maschi, e questo costrinse librettista e musicista ad adattarsi, e alcuni interpreti al doppio impegno. Per questo, dopo che il Commendatore è scomparso, la scena in cui Don Giovanni dialoga coi demoni dura così tanto: il Commendatore originale, che si chiamava Giuseppe Lolli […], aveva bisogno di un minimo di tempo per cambiarsi e ridiventare Masetto per il gran finale.

Marco Malvaldi, Buchi nella sabbia, Sellerio (2015). Nella foto Ruggero Raimondi nel Don Giovanni diretto da Joseph Losey.

 

 

Il verbo istoriare

3149zwSSYPLNel decimo canto del Purgatorio, varcata insieme a Virgilio la soglia che immette alla prima cornice nel regno dei penitenti, ci troviamo davanti a una parete rocciosa, che la mano di Dio ha intagliato con figure in altorilievo. Sono esempi di umiltà istoriati nella balza dei superbi. Ancora una volta l’etimologia ci fornisce un suggerimento prezioso. Il verbo istoriare lega indissolubilmente nel proprio significato l’arte delle immagini a quella del racconto. L’ornamento visivo si fa storia.

Marco Vacchetti, Storie dell’arte, Holden Maps-BUR (2010)

Una sorta di coperta elettrica

Alejandro ZambraSe scrivo è perché non mi piace poi così tanto il libro precedente.
[…]
I generi letterari sono camicie che ti mettono. All’inizio sembra ti stiano un po’ male, poi però ci sono momenti in cui la camicia ti sta, prende la forma del tuo corpo ed è già come se non fossi vestito, no?
[…]
A me piace perdere il controllo del testo […] se sapessi già quello che sto per scrivere non lo scriverei perché diventerebbe noioso.
[…]
Per me scrivere è sempre stato associato alla manualità, al movimento della penna. Solo successivamente ho iniziato a scrivere al computer e non so se ho una conclusione al riguardo. Elias Canetti ha scritto un’epigrafe molto bella, più che un’epigrafe è un aforisma che dice “la matita, la sua stampella”, e se uno pensa all’immagine di una persona con una matita in mano e a quella di qualcuno che si appoggia a qualcosa, come la frase stupenda di Nietzsche “gli utensili della scrittura condizionano il nostro modo di pensare” e si tratta di tecnologia alla fine, la carta è tecnologia.
[…]
Quando avevo sedici anni ero un super lettore. Avevo sempre bisogno di soldi per i libri, chiedevo che mi comprasse Rayuela di Julio Cortázar. Era caro, erano due libri o vari libri. E allora in effetti mio padre mi disse: perché compri tanti libri se alla fine saranno in un computer in formato elettronico? E rispondevo sempre: ma come?
[…]
Vivevo da solo in un appartamento, faceva freddo e non avevo una stufa, poi pensai una cosa geniale: presi il computer, lo attaccai alla corrente e lo posai sul letto e dormii abbracciato al pc. Era ridicolo, perché lo stavo utilizzando per qualcosa a cui non era destinato ma almeno era caldo. Era come una sorta di coperta elettrica. Questa immagine mi è sempre sembrata graziosa, come la gente che aveva un’eccessiva cura dei computer. Ricordo un’amica che non voleva assolutamente che si mettessero dischetti nel suo pc. Un’amica che credeva che il suo pc fosse vergine, come lei (sorride).
[…]
Se sei cresciuto ascoltando storie sulla gente reale che è morta in un terremoto, ti senti molto vicino alle tragedie di Shakespeare, tutti muoiono alla fine.

Gabriele Santoro, Scrivere è uscire dalle cause prevedibili, intervista a Alejandro Zambra, Minima et Moralia (21/12/15). La foto viene da qui. I miei documenti di Zambra  (Sellerio 2015) mi è piaciuto molto. A settembre, credo, ho incontrato Antonio Sellerio vicino a via Brera e gliel’ho detto. Mi ha risposto, sei fra gli «happy few». Che peccato, ho pensato. Leggete, leggete Zambra, che merita lettori happy e non few.

Mai uscito da un aroma di spezie

e40a9fe357585a3184721ac9a3ff70ef_w240_h_mw_mh_cs_cx_cyPareva impossibile: ma quando, tanti anni dopo, tornai a Venezia, mi accorsi che quel mondo non era poi così affatto diverso. Venezia era Oriente, come dite voi, e io avevo viaggiato per tutta una parte della vita entro i confini dell’Oriente. Genova è più estranea a Venezia o a Bisanzio, che non Venezia a Pechino. Direi che tra Venezia e la corte del Gran Cane non ero mai uscito da un aroma di spezie; non erano le medesime spezie, ma consanguinee sì; forse per via di Bizanzio; ma fuori di Venezia, sulla terra ferma, quelle spezie scomparivano affatto; lì mi coglieva il gelo; ero veramente fuori dal mio mondo.

Giorgio Manganelli, Marco Polo, Le interviste impossibili, Adelphi (1997)