Se scrivo è perché non mi piace poi così tanto il libro precedente.
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I generi letterari sono camicie che ti mettono. All’inizio sembra ti stiano un po’ male, poi però ci sono momenti in cui la camicia ti sta, prende la forma del tuo corpo ed è già come se non fossi vestito, no?
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A me piace perdere il controllo del testo […] se sapessi già quello che sto per scrivere non lo scriverei perché diventerebbe noioso.
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Per me scrivere è sempre stato associato alla manualità, al movimento della penna. Solo successivamente ho iniziato a scrivere al computer e non so se ho una conclusione al riguardo. Elias Canetti ha scritto un’epigrafe molto bella, più che un’epigrafe è un aforisma che dice “la matita, la sua stampella”, e se uno pensa all’immagine di una persona con una matita in mano e a quella di qualcuno che si appoggia a qualcosa, come la frase stupenda di Nietzsche “gli utensili della scrittura condizionano il nostro modo di pensare” e si tratta di tecnologia alla fine, la carta è tecnologia.
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Quando avevo sedici anni ero un super lettore. Avevo sempre bisogno di soldi per i libri, chiedevo che mi comprasse Rayuela di Julio Cortázar. Era caro, erano due libri o vari libri. E allora in effetti mio padre mi disse: perché compri tanti libri se alla fine saranno in un computer in formato elettronico? E rispondevo sempre: ma come?
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Vivevo da solo in un appartamento, faceva freddo e non avevo una stufa, poi pensai una cosa geniale: presi il computer, lo attaccai alla corrente e lo posai sul letto e dormii abbracciato al pc. Era ridicolo, perché lo stavo utilizzando per qualcosa a cui non era destinato ma almeno era caldo. Era come una sorta di coperta elettrica. Questa immagine mi è sempre sembrata graziosa, come la gente che aveva un’eccessiva cura dei computer. Ricordo un’amica che non voleva assolutamente che si mettessero dischetti nel suo pc. Un’amica che credeva che il suo pc fosse vergine, come lei (sorride).
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Se sei cresciuto ascoltando storie sulla gente reale che è morta in un terremoto, ti senti molto vicino alle tragedie di Shakespeare, tutti muoiono alla fine.
Gabriele Santoro, Scrivere è uscire dalle cause prevedibili, intervista a Alejandro Zambra, Minima et Moralia (21/12/15). La foto viene da qui. I miei documenti di Zambra (Sellerio 2015) mi è piaciuto molto. A settembre, credo, ho incontrato Antonio Sellerio vicino a via Brera e gliel’ho detto. Mi ha risposto, sei fra gli «happy few». Che peccato, ho pensato. Leggete, leggete Zambra, che merita lettori happy e non few.