Il dialetto non sopporta certe sciocchezze

Poi svela un particolare del suo metodo di scrittura: «Chi mi mette spesso nell’imbarazzo come personaggio, è il Cristo. È quello che più mi riesce difficile far parlare. Con lui non posso far la prova del dialetto, che per me è la prova del nove. Con gli altri personaggi sì: le parole che dicono, se funzionano prima in dialetto, bene, altrimenti non le traduco neppure. Il dialetto non sopporta certe sciocchezze, è immediato, pratico, più schietto».

Enrico Brizzi, Il fantasma in bicicletta, Solferino (2022)

O valiamo tutti o non vale nessuno

“Non stiamo parlando di pubblicità, ma di esseri umani”, ha detto Ilon Specht. “Stiamo parlando di prendersi cura delle persone. Perché o valiamo tutti o non vale nessuno”.

Richard Sandomir, Ilon Specht, Who Empowered Women With ‘I’m Worth It’ Ad, Dies at 81, The New York Times (10/5/2024). Nella foto (The New York Times) l’annuncio a tutta pagina pubblicato il 5 maggio 2024 nella sezione Stiye del New York Times in omaggio a Ilon Specht da parte di L’oréal Paris e McCann Worldgroup.

E così assistemmo a un miracolo

Da buon maestro, Zavattini sa anche imparare dai suoi allievi. Sono due dei suoi ragazzi, infatti, a fargli vincere la ritrosia che prova per il cinematografo, iniziandolo alla magia dell’«ottava arte», nel cui sviluppo avrà tanta parte.
Il primo è Pietro Bianchi, cugino di Guareschi e come lui originario delle Fontanelle. È un giovane dai modi distinti e l’aspetto goffo: gambe corte, testa a pera, tanto impacciato nei movimenti quanto il Nostro è forte e destro. Pietro si pregia di frequentare i caffè degli intellettuali, divora i romanzi francesi del secolo precedente e ha una venerazione per Proust.
L’altro è il migliore amico di Pietro, il raffinato Attilio Bertolucci, rampollo di una famiglia di proprietari terrieri che ad appena diciott’anni ha già pubblicato la sua prima raccolta di liriche.
Sarà lui a raccontare di come Za, appassionato di spettacoli teatrali ma sin lì refrattario a entrare nei cinema, si ritrovò galvanizzato da Charlie Chaplin: «Diventati amici del professor Zavattini, adolescenti cinéphiles cercavamo di convincerlo che il cinema non era fatto soltanto per “serve e soldati”. Noi lo portammo di sana pianta, un po’ riluttante, a vedere La febbre dell’oro. E così assistemmo a un miracolo, a una conversione folgorante».

Enrico Brizzi, Il fantasma in bicicletta, Solferino (2022). Nella foto (mondopiccolofontanelle.it) al centro Attilio Bertolucci e Pietro Bianchi.

Il diminuendo perfetto

Joseph Haydn lavorava per una corte che aveva una casa di città e una casa di campagna. E ogni tanto andavano in campagna, d’estate soprattutto, ma non andava solo la corte costituita dagli aiutanti, i servitori, quelli che vestivano, i camerieri… Insomma, ci andava anche l’orchestra. E l’orchestra aveva la famiglia in città. E dopo un po’ i musicisti si erano scocciati di stare in campagna e volevano fare sapere al signore che avevano voglia di tornare a casa. E Haydn li aiutò. Lui era il responsabile dell’orchestra e trovò un modo civile, garbato, gentile di dire: veramente noi vorremmo tornare a casa. E scrisse una sinfonia, che è detta “Sinfonia degli addii”, in cui nel finale a poco a poco la musica diminuisce: c’è un grandissimo diminuendo. Ma perché diminuisce? E perché questo è il diminuendo perfetto? Perché da tutta l’orchestra, a poco a poco, si staccano dei musicisti che smettono di suonare. Uno proprio lascia giù lo strumento, si alza e se ne va, esce, si spengono le candele. Alla fine rimangono soltanto due strumenti a suonare insieme, solo due violini che fanno un piccolo duetto. E il signore Estehrázy capì che questo era un segnale che i musicisti volevano tornare a casa. Quindi fece fare le valigie, e nell’estate del 1772 il principe riportò la corte e l’orchestra a casa.

Nicola Campogrande, La musica spiegata ai miei figli, Raiplaysound (16/12/2014). Nella foto (Wikipedia, Martin Gleiser) una statua di bronzo di Joseph Haydn nel parco del castello Esterházy a Fertöd nell’odierna Ungheria.

Una tassonomia dei mangioni

Una volta lo scrittore André Borel d’Hauterive tentò una tassonomia dei mangioni: il buongustaio (apprezza il buon cibo e il buon vino e mangia in modo ragionevole), il ghiottone (preferisce la quantità alla qualità), il goloso (ha un debole per i dolci), l’ingordo (mangia all’eccesso con entusiasmo), il panciuto (“fa del suo stomaco un dio”), il famelico (arriva il dolce e non ha idea di cosa ha mangiato), l’insaziabile (arriva il dolce e non ha idea di quanto ha mangiato).

Lauren Collins, The Hottest Restaurant in France Is an All-You-Can-Eat Buffet, The New Yorker (8/4/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) André Borel d’Hauterive.

Rovina a terra tra le risate

Nella stagione in cui il carattere di un ragazzo si cristallizza nel temperamento che lo accompagnerà nell’età adulta, l’irrequietezza e il desiderio di rivalsa diventano i suoi tratti distintivi.
Giovannino Guareschi stringe un’alleanza col più scatenato dei compagni, Nino Bocchi detto il Nibbio. I due si pongono alla testa d’una banda di compagni refrattari alle norme del collegio, e la notte, in camerata, si divertono alle spalle dell’istitutore Zavattini: si fingono addormentati finché questi non sprofonda nel sonno, scivolano a inchiodargli le pantofole al pavimento, tornano nei propri giacigli e all’improvviso lanciano selvagge grida d’allarme. «Za», svegliato di soprassalto, s’affanna per precipitarsi in soccorso dei ragazzi che gli sono stati affidati, ma come infila le pantofole e fa per muovere il primo passo rovina a terra tra le risate.

Enrico Brizzi, Il fantasma in bicicletta, Solferino (2022). Nella foto (Cinefile) Cesare Zavattini.

Lottare per le donne mature

Marin Alsop ha dimostrato che è possibile essere una direttrice d’orchestra donna di una delle più grandi orchestre degli Stati Uniti. Eppure oggi si trova ad affrontare un altro soffitto di cristallo, in quanto donna non più giovane.
“Per le donne c’è molta più discriminazione per età”, ha detto. “Quindi questa è una delle mie nuove battaglie: lottare per le donne mature, affinché anche a loro siano offerti gli stessi tempi, le stesse opportunità e la stessa considerazione” degli uomini.

Zachary Woolfe, Can Marin Alsop Shatter Another Glass Ceiling?, The New York Times (6/5/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Governo do Estado de São Paulo) Marin Aslop mentre dirige l’Orchestra Sinfonica dello Stato di San Paolo in Brasile nel 2017.

Se ci fosse una clinica riservata ai vocaboli

Specialmente in ambito meridionale, può succedere che una parola e il corrispondente significato vengano ribaltati, spogliati di senso o travisati. Onore ha smarrito il suo senso originale per essere stata troppo spesso riferita ai cosiddetti uomini d’onore. Dopo un travisamento del genere la parola risulta esausta. Impossibile adoperarla restituendole il senso originario. Se ci fosse una clinica riservata ai vocaboli si dovrebbe prudenzialmente consigliarne il ricovero per accertamenti. E durante il ricovero si tratterebbe di destrutturarla, azzerarne la memoria. Lasciare che il mondo si dimentichi della parola onore in attesa di recuperarne il senso vero. Oppure, ecco: decretarne un fermo biologico, come si fa con la pesca delle specie ittiche o faunistiche in certi periodi dell’anno, per consentire il ripascimento.

Roberto Alajmo, Abbecedario siciliano, Sellerio (2023)

Si potrebbe parafrasare gran parte dell’opera di Beethoven nello spirito di Gramsci

La Nona sinfonia è una delle opere d’arte più importanti della cultura occidentale. Alcuni esperti la definiscono la più grande sinfonia mai scritta e molti commentatori ne lodano il messaggio visionario. È anche una delle opere più rivoluzionarie di un compositore caratterizzato proprio dalla natura rivoluzionaria delle sue opere. Beethoven ha liberato la musica dalle convenzioni prevalenti di armonia e struttura. A volte nei suoi ultimi lavori sento la volontà di rompere ogni segno di continuità.
Il filosofo italiano Antonio Gramsci aveva detto una cosa meravigliosa nel 1929, quando Benito Mussolini teneva in scacco l’Italia. “Sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista con la volontà”, aveva scritto a un amico dal carcere. Penso che intendesse dire che finché siamo vivi, abbiamo speranza. Cerco di fare ancora oggi tesoro delle parole di Gramsci, anche se non sempre con successo.
A detta di tutti Beethoven era coraggioso, e trovo che il coraggio sia una qualità essenziale per la comprensione, per non parlare dell’esecuzione, della Nona. Si potrebbe parafrasare gran parte dell’opera di Beethoven nello spirito di Gramsci dicendo che la sofferenza è inevitabile, ma che il coraggio di superare tale sofferenza rende la vita degna di essere vissuta.

Daniel Barenboim, What Beethoven’s Ninth Teaches Us, The New York Times (6/5/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Antonio Gramsci.