Le fette

livorno_monumento_leopoldo_ii_piazza_xx_settembre_2Inoltre il lessico contiene tracce (vocaboli e locuzioni) di alcune delle numerose lingue parlate dalle comunità ospitate a Livorno attraverso i secoli: ad esempio talvolta i piedi vengono detti “le fétte” parafrasando alla buona il vocabolo inglese feet. Tale interpretazione deriva dal periodo della Seconda guerra mondiale, in quanto i soldati americani presenti a Livorno utilizzavano l’inglese per parlare con i livornesi, conoscendo solo poche parole di italiano. Ad esempio, per dire “Hai i piedi grandi” si può sentir dire “Ciai dù fètte paiono zattere”.

Livorno, Wikipedia. Nella foto (Wikipedia), Livorno, monumento a Leopoldo II circondato dal Mercatino Americano.

La parola scienziato

800px-thomas_phillips_-_mary_fairfax_mrs_william_somerville_1780_-_1872-_writer_on_science_-_google_art_projectNel 1834 William Whewell, professore a Cambridge, scrisse un articolo in omaggio a Mary Somerville, una studiosa scozzese i cui libri eruditi hanno riunito i campi precedentemente disparati della matematica, dell’astronomia, della geologia, della chimica e della fisica in modo così chiaro che i testi divennero la spina dorsale del primo programma di scienze dell’Università di Cambridge. Whewell chiamò Somerville scientist, scienziato, in parte perché man of science, uomo di scienza, sembrava fuori luogo per una donna; più significativamente perché il lavoro della Somerville era interdisciplinare. Lei non era una semplice astronoma, fisica o chimica, ma una pensatrice visionaria che aveva articolato le connessioni tra i vari rami d’indagine. Secondo Kathryn Neeley, biografa della Somerville, Whewell aveva coniato la parola scienziato non solo per disporre di un termine neutro di genere neutro. Whewell desiderava una parola che celebrasse attivamente «la peculiare illuminazione della mente femminile»: la capacità di sintetizzare campi separati in una singola disciplina.

Renée Bergland, Maria Mitchell and the Sexing of Science: An Astronomer Among the American Romantics, Beacon Press (2008), traduzione L.V. Grazie a Maria Popova, Brain Pickings (26/12/16). Nell’immagine (Wikipedia), Thomas Phillips, Mary Fairfax, Mrs William Somerville, 1780 – 1872, Scottish National Gallery, Edinburgh.

E vedo il mare

se-a-milano-ci-fosse-il-mare1-4Vi è un sogno che da moltissimi anni ricorre di frequente nelle mie notti. Cammino, cammino su una lunga via che si restringe a poco a poco e mi sento felice e tranquillo perché le case che mi stanno intorno le riconosco come quelle della mia città. Alla fine del percorso la strada si apre su un grande spazio e vedo il mare illuminato da un sole abbagliante. Mi fermo e mi pongo sempre la stessa domanda: «Come mai non mi sono mai accorto che a Milano vi fosse il mare?» e non so darmi una risposta.

Gigi Galeazzi, Memorie (1990), dattiloscritto inedito. Nella foto (viene da qui) un disegno di Piazza Duomo con il mare.

 

Il pezzo di maggior valore

emperor_francis_josephTornai a Chicago altre due volte per lavoro e mi spinsi lungo il Michigan verso nord sostando a Green Bay, una graziosa calma cittadina del Wisconsin. In un certo villaggio lungo il lago i miei accompagnatori mi fecero entrare in un negozio di scarpe dove ci accolsero due vecchissime sorelle dal nome germanico che, mentre ci servivano un the nel loro appartamento nel retro della bottega, ci raccontarono la storia del loro padre che era emigrato in America al tempo della Prima guerra mondiale. Era stato il calzolaio di Francesco Giuseppe e le due donne conservavano un piccolo museo di scarpe di quell’epoca. Il pezzo di maggior valore era un paio di stivali che era stato confezionato per l’imperatore e mai ritirato perché nel frattempo era morto.

Gigi Galeazzi, Memorie (1990), dattiloscritto inedito. Nella foto (Wikipedia) Francesco Giuseppe.

 

In un pullman

800px-greyhound_prevost_x3-45_2009_schemeNel 2014 Facebook ha acquisito WhatsApp per ventidue miliardi di dollari. All’epoca l’azienda di messaggistica aveva cinquantacinque dipendenti in totale. Quando un’impresa da ventidue miliardi di dollari può far stare tutta la sua forza lavoro in un pullman, il concetto di eccedenza della manodopera sembra arrivato al capolinea.

Elizabeth Kolbert, Our automated future, The New Yorker (19-26/12/2016), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un pullman Greyhound.

 

Sembra un conte

locandinaUna sera, durante la lavorazione della Primadonna, mio fratello Cesare si trovava a cena al Club con Mambretti e Ponti e quando egli chiese loro notizie sulla mia partecipazione al film, Ponti gli rispose: «Cosa vuole, Professore, suo fratello ha una grade passione per il cinema, ma ha un difetto che è difficilmente tollerato nel nostro mondo: quando lo si vede in teatro sembra un conte». Era una condanna senza appello.

Gigi Galeazzi, Memorie (1990), dattiloscritto inedito. Nella foto (viene da qui) Carlo Ponti.

Reshoring

cover_161219-400È in corso una tendenza significativa al “reshoring” (N.d.T., letteralmente, far rientrare da oltreoceano, o il contrario dell’offshoring). Il reshoring riduce i costi di trasporto e il tempo necessario a portare nuovi prodotti sul mercato. Ma non fa molto per l’occupazione, in quanto le attività che stanno rientrando negli Stati Uniti sono in gran parte automatizzate.

Elizabeth Kolbert, Our automated future, The New Yorker (19-26/12/2016), traduzione L.V.

 

Fermi tutti!

mte5ntu2mze2mdk5mje2ota3Verso il 25 di agosto tornammo a Milano e il film era a buon punto. Partecipammo ancora ad alcune riprese a palazzo Sola. Si doveva realizzare una delle sequenze più impegnative del film: il ballo nel salone del governatore austriaco. Non si poteva trovare scenario migliore del palazzo Sola, dove aveva sede la società e si decise di utilizzare il cortile per l’arrivo delle carrozze con gli invitati. C’era però un problema: la scena doveva svolgersi di notte e l’oscuramento prescriveva di spegnere ogni luce alle dieci. Poiché, essendo d’estate, il sole tramontava tardi, la sola ora disponibile per girare la scena in una luce crepuscolare con l’aiuto di una nutrita batteria di riflettori era tra le 8 e le 9. Il tempo era appena sufficiente per girare la scena delle dieci carrozze previste per l’arrivo degli ospiti, ma non certo per le prove. Si decise così di effettuare le prove nel corso della giornata in modo da non perdere neppure un minuto dopo il tramonto del sole. Alle 8 e 10 minuti le carrozze con le comparse in costume da sera erano ferme sul corso Venezia tenuto libero da alcuni vigili, ma quando scattò il primo ciak e i riflettori inondarono di luce il cortile si udì un grido: «fermi tutti». Era Carlo Ponti che si era accorto che le grandi vetrate del piano terra riflettevano tutti i grandi padelloni luminosi. Si tentò di spostare le luci, ma ci rendemmo conto che non c’era nulla da fare. Era come trovarsi in un salone con le pareti a specchio. A un certo punto, senza dir nulla, Ponti scomparve nel palazzo e ne uscì poco dopo con un grosso bastone: come un pazzo, in pochi minuti, fece cadere in briciole tutti i vetri delle grandi finestre tra le sonore rimostranze del Conte Sola, che assisteva alla scena. La ripresa dell’ingresso delle carrozze terminò in tempo per l’ora dell’oscuramento. Era nato un grande produttore.

Gigi Galeazzi, Memorie (1990), dattiloscritto inedito. Nella foto (viene da qui) Carlo Ponti.

Frustrazioni robotiche

9788807172885_quarta«Attualmente le macchine non sono molto brave a salire le scale, a raccogliere una graffetta caduta sul pavimento o a leggere i segnali emotivi di un cliente frustrato». Così pongono la questione i ricercatori del M.I.T. Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee in “La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante” (Feltrinelli). Poiché vediamo il mondo attraverso occhi umani e lo sentiamo con mani umane, abbiamo difficoltà a capire le frustrazioni robotiche.

Elizabeth Kolbert, Our automated future, The New Yorker (19-26/12/2016), traduzione L.V.