Ciascuno dei due giovani aveva denaro; il padre di Iris le aveva lasciato a sufficienza da renderla indipendente. Ribellandosi ai progetti che le loro famiglie avevano fatto per loro, i coniugi cercarono e acquistarono la tenuta di La Foce nella Toscana meridionale, scegliendola, contro il parere di tutti, proprio perché il terreno era così eroso e aspro, le costruzioni così fatiscenti, l’acqua così scarsa, e le strade percorribili inesistenti. Stavano cercando “un posto con lavoro sufficiente a riempire l’intera nostra esistenza”. Iris aveva sperato anche in “un po’ di bellezza”, ma La Foce, quando vi arrivarono, era “un paesaggio lunare, pallido e disumano” e aveva la “desolazione di un deserto”. La casa principale era buia, senza luce elettrica, senza riscaldamento, senza giardino (perché l’acqua del pozzo era appena sufficiente per lo stretto necessario) e senza bagno. Imperterriti, la acquistarono, decisi a “trasformare questa nuda argilla in campi di grano, a ricostruire le fattorie e a vedere la prosperità tornare per gli abitanti, restituendo il verde a questi boschi mutilati”. Un bell’impegno! La tenuta comprendeva venticinque poderi e Iris aveva solo ventidue anni.
Iris Origo, A chill in the air, Pushkin Press (2017), introduzione di Lucy Hughes-Hallett, traduzione L.V. Nella foto (La Foce) Iris e Antonio Origo a La Foce con una delle figlie.