Di riposo, non se ne parlò più

Nei giorni di calma che seguirono, nella brigata si sparse la voce che saremmo stati finalmente mandati a riposo. Fra di noi, non si parlava d’altro. Il comandante di divisione ne fu informato e rispose con un ordine del giorno che finiva così: «Sappiano tutti, ufficiali e soldati, che, all’infuori della vittoria, l’unico riposo è la morte». Di riposo, non se ne parlò più.

Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi (1945)

Metabolizzare cibi grassi e arachidi rancide

Le creature sinantropiche sono la piccola minoranza di animali selvatici – non bestiame di allevamento né animali domestici – che si è adattata a prosperare nei luoghi che piacciono a noi umani e che continuiamo a edificare. I piccioni di città – discendenti degli omonimi selvatici che si appollaiano su ripide pareti rocciose – sono un buon esempio. Dopo che i piccioni sono stati in parte addomesticati per essere usati come cibo e come messaggeri, hanno imparato a nidificare nelle fessure degli edifici e a mangiare la nostra spazzatura, e numerosi hanno seguito i nostri grattacieli verso l’alto. Altri esempi noti includono gli opossum, i coyote, i procioni, i ratti, i tacchini selvatici, le oche del Canadà e i corvi. Alcuni ricercatori hanno osservato che questi ultimi sfruttano le auto per rompere le noci, cronometrando il tempo di arresto tra il rosso e il verde dei semafori per far scivolare le noci stesse sotto le gomme. Altri uccelli hanno imparato a rivestire i loro nidi con i mozziconi di sigaretta, la cui nicotina residua tiene lontani i parassiti. Alcune popolazioni urbane sembrano evolversi attivamente in modo da vivere negli habitat che stiamo creando. Un esempio sono le lucertole, le cui zampe stanno diventando sempre più adesive, facilitando le arrampicate su vetro e cemento anziché sugli alberi. I topi di Central Park hanno sviluppato geni che consentono loro di metabolizzare cibi grassi e arachidi rancide; i puma che vivono vicino all’agglomerato extraurbano di Seattle hanno sostituito gli ungulati, che erano le loro prede, con i ratti, gli opossum e i procioni. Gli studi hanno dimostrato che molte creature sinantropiche hanno effettivamente maggiore successo nei paesaggi urbani e suburbani, rispetto agli ambienti selvatici, raggiungendo densità superiori di popolazione e raggiungendo maggiori dimensioni corporee.

Brooke Jarvis, Deer Wars and Death Threats, The New Yorker (15/11/2021). Nella foto (Wikipedia) una lucertola muraiola.

In una delle incongruità della guerra

Mentre l’attenzione sulla potenziale invasione da parte della Russia è focalizzata a est, dove le truppe sono ammassate e le ostilità sono quotidiane, la traiettoria più breve dalla Russia a Kiev, la capitale dell’Ucraina, passa da nord. E passa attraverso la zona isolata che circonda la centrale di Černobyl, dove nel 1986 la fusione di un reattore causò il peggior disastro nucleare della storia.
In una delle incongruità della guerra, ciò fa di Černobyl un’area che l’Ucraina pensa di dover difendere, costringendo i propri militari a dispiegare forze di sicurezza nell’inquietante foresta ancora radioattiva, dove i soldati portano su di sé sia le armi sia i dispositivi per rilevare l’esposizione alle radiazioni.
“Non importa se l’area è contaminata o se nessuno vive qui”, ha detto il tenente colonnello Jurij Šachraičuk del servizio di guardia di frontiera ucraino. “È il nostro territorio, il nostro Paese, e dobbiamo difenderlo”.

Andrew E. Kramer, Defend Chernobyl During an Invasion? Why Bother, Some Ukrainians Ask, The New York Times (22/1/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) una casa nei pressi di Pryp”jat’, abbandonata dopo il disastro di Černobyl’.

Conosciuto tenente astemio in liquori

Il sole era già tramontato quando caddi, a nord di Stoccaredo, su un battaglione del 301° fanteria. Lo comandava un tenente colonnello, sulla cinquantina, che trovai all’aperto, seduto ad un tavolino improvvisato con rami d’albero, una bottiglia di cognac in mano. Egli mi accolse molto gentilmente e mi offrì un bicchierino di cognac.
– Molte grazie, – dissi, – non bevo liquori.
– Non beve liquori? – mi chiese, preoccupato, il tenente colonnello.
Tirò dal taschino della giubba un taccuino e scrisse: «Conosciuto tenente astemio in liquori. 5 giugno 1916».

Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi (1945)

Non sappiamo cosa ci ucciderà per primo

La città di Černobyl è ancora parzialmente occupata da lavoratori che vi abitano a rotazione. Mantengono la struttura di contenimento costruita sopra il reattore danneggiato, le strade e altre infrastrutture.
Sulla possibilità di un’azione militare vicino al reattore distrutto, Elena Bofsunovska, commessa in un negozio di alimentari, ha commentato: “È brutto, è spaventoso”.
“Non sappiamo cosa ci ucciderà per primo, il virus, le radiazioni o la guerra”, ha detto con un’alzata di spalle Olekseij Prišepa, un lavoratore in piedi al bancone del negozio.

Andrew E. Kramer, Defend Chernobyl During an Invasion? Why Bother, Some Ukrainians Ask, The New York Times (22/1/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un negozio di alimentari a Černobyl’.

Da generare il primo tornado di fuoco

Alla fine degli anni Novanta alcuni scienziati iniziarono a esaminare alcune immagini satellitari con nubi insolite, riprese sopra l’Australia e altrove. Il meteorologo Michael Fromm aveva ipotizzato che le nubi potessero essere collegate alla forza convettiva di giganteschi incendi in corso sotto di loro. In seguito i ricercatori hanno confermato che incendi particolarmente potenti possono causare non solo nuvole di pirocumuli, ma vaste tempeste di fuoco, chiamate colonne di pirocumulonembi. Create dalle fiamme a livello del suolo, le colonne sono sufficientemente alte da generare fulmini e le loro correnti d’aria sono così forti che possono lanciare particelle di fumo nella stratosfera, dove tipicamente volano gli aerei di linea. “Alcuni si sono messi a ridere quando abbiamo cercato di spiegare loro cosa pensavamo stesse accadendo”, mi ha detto Fromm. Gli scettici credevano che “se c’era dell’aerosol nella stratosfera, doveva essere a causa di un vulcano”.
Da allora, colonne di pirocumulonembi, che chi studia gli incendi abbrevia in “piroCb”, sono state osservate con frequenza crescente. Nel 2003 gli incendi a Canberra, in Australia, hanno creato un piroCb con energia sufficiente da generare il primo tornado di fuoco a essere documentato, di categoria F2, con velocità del vento di oltre 180 chilometri all’ora. Tra il 2010 e il 2020, gli scienziati hanno identificato piroCb nella Russia occidentale, in Europa, in Africa e in Sud America, e le formazioni sono state ora osservate al di sopra del Circolo polare artico. Due anni fa, durante gli incendi dell’Estate nera in Australia, diciotto piroCb sono emersi in una sola settimana, provocando la diffusione di giganteschi pennacchi di fumo nell’emisfero australe; uno di questi pennacchi è cresciuto fino a raggiungere una larghezza di quasi mille chilometri. “Siamo rimasti tutti scioccati”, ha detto Fromm.

M. R. O’Connor, What It’s Like to Fight a Megafire, The New Yorker (15/11/2021), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un pirocumulonembo ripreso da un aereo di linea commerciale a circa 10 chilometri di altitudine.

Guarì e sopravvisse

Tre Luigi di Francia scompaiono in pochi anni dal palcoscenico del mondo. Con leggero anticipo sul Re Sole. Nell’aprile del 1711 il Gran Delfino Luigi, in età di 50 anni. Suo figlio Luigi, duca di Borgogna, non ne ha per anco raccattato l’eredità che un insanabile morbillo gli rapisce la non bella moglie, nuora del Gran Delfino, la gentile e un po’ sventata Adelaide di Savoia, di cui Voltaire ha tessuto così cavallerescamente le lodi. Dalla moglie il contagio si estende al marito, ai figli. Luigi duca di Borgogna, nipote del Re Sole, e il suo primogenito Luigi duca di Bretagna, bimbo di sette anni, inseguono Adelaide nella tomba di famiglia, alla distanza di pochi giorni l’un dall’altro, nell’aprile del 1712. «Tout est mort ici,» scriveva madama di Maintenon a un’amica, ansiosa di notizie. Con che si vede, manzonianamente, come i più fondati disegni dei re possono essere smontati dal morbillo della Divina Provvidenza.
Il secondogenito del duca di Borgogna e quarto Luigi (dopo il Re Sole) era in culla ammalato: guarì e sopravvisse. Toccò a lui, sicché, di maturare a Luigi decimoquinto.

Carlo Emilio Gadda, I Luigi di Francia, Adelphi (2021). Nella foto (Wikipedia, Museo del Prado) Pierre Gobert, Il giovane Luigi XV (1714).

La sua recita antisemita

A sembrare ancora più pericoloso era il dottor Karl Lüger, il fondatore del Partito Cristiano Sociale, con la sua amabilità, il suo patois viennese e i suoi seguaci con i loro garofani bianchi all’occhiello. Il suo antisemitismo sembrava elaborato con maggior cura, incitando meno apertamente agli agitatori. La sua recita antisemita sembrava essere più per necessità che per convinzione: «lupi, pantere e tigri sono umani in confronti a questi animali da preda in forma umana… Ci opponiamo al fatto che il vecchio Impero cristiano austriaco venga sostituito da un nuovo Impero ebraico. Non è odio per l’individuo, non è odio per il povero, piccolo ebreo. No signori, noi non odiamo altro che l’opprimente grande capitale che è nelle mani degli ebrei». Erano i Bankjuden – i Rothschild e gli Ephrussi – che dovevano essere messi al loro posto.
Lüger divenne enormemente popolare e fu infine nominato sindaco, nel 1897. Notò allora con una certa soddisfazione che «attaccare gli ebrei è un’ottima esca di propaganda che permette di avanzare in politica». Lüger quindi raggiunse un accordo con quegli ebrei che aveva aggredito durante la sua ascesa al potere, osservando compiaciuto che «Chi è ebreo è qualcosa che io determino».

Edmund de Waal, The Hare with Amber Eyes, Picador (2010), traduzione L.V. Nella foto il Karl Lüger Ring a Vienna.

Per imparare a lardellare lo stufato

Un aspetto curioso dell’indole di Luigi XIII era il gusto delle piccole occupazioni: anche perché Richelieu, consultandolo sempre con molto rispetto, non gli permetteva tuttavia di occuparsi troppo seriamente delle cose troppo serie. Luigi preparava dei piani di campagna, inviava dei brevi articoli alla Gazzetta di Francia, componeva delle arie, delle canzoncine. Prese delle lezioni per imparare a lardellare lo stufato.

Carlo Emilio Gadda, I Luigi di Francia, Adelphi (2021). Nella foto (Wikipedia) Philippe de Champaigne e studio, Ritratto di Re Luigi XIII di Francia in armatura (17° secolo).

Dai, Serafino, raccontaci

Il Serafino era un antico guardiacaccia della Zelata. Viveva perennemente in sella a un motorino, un Garelli, col quale sbucava dal bosco e dalla nebbia. Aveva un grosso naso sempre rubizzo, vestiva immancabilmente una giubba verde e portava un cappello, anche quello verde, con una piuma di fagiano infilata nel nastro. Faceva colazione la mattina con un bianchino raso dentro a un tumbler e con un cacciatorino, mangiato così, come si mangia una banana. Già alle prime ore del pomeriggio era contornato da un’inconfondibile aura di grappa. Ogni tanto si fermava sull’aia a guardare noi ragazzini giocare a calcio. Era uno dei rari momenti in cui consentivamo di fermare una partita. Ci mettevamo intorno a lui e lo interrogavamo: «Dai, Serafino, raccontaci di quando hai visto la Mangano nuda!».

Gino Cervi, La fabbrica della nebbia, Ediciclo (2021). Nella foto (Wikipedia) Silvana Mangano e Terence Stamp in una scena di Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968).