È facile tirar fuori dall’armadio un bel vestito, ma poi con che cosa me lo metto? Ci vogliono come minimo mutandine e reggipetto, calze e scarpe, una borsa, un paio di orecchini, una collana, un braccialetto, trucco e profumo, e se fa freddo una sciarpa e un cappotto.
Scrivere un vestito di parole è facile. Altrettanto facile è scrivere le mutandine e il reggipetto, le calze e le scarpe, la borsa, gli orecchini, la collana, il braccialetto, il trucco e il profumo, la sciarpa e il cappotto.
La cosa difficile è farli andare d’accordo, combinarli in un insieme che, pensando a Calvino, suoni inevitabile.
Questa è la parte più frustrante, dove comincia la battaglia, e lì ogni scusa è buona per procrastinare, lasciar perdere, evitare il dolore dell’insistere.
Per settimane il mio, come si dice, testo, pagina, file? Beh, quella roba lì, per settimane assomiglia a un letto con sopra un cumulo di mutandine, reggipetti, vestiti, calze, sciarpe, cappotti… È tutto lì alla rinfusa, l’armadio è svuotato.
La maggior parte delle cose sono brutte, fruste, da buttare. Alcune, pochissime, son dignitose, ma non ce n’è mai una che stia bene con le altre.
Quando penso che no, che non ci riuscirò mai a vestire il mio testo di armonia, l’insieme che funziona a volte (a volte, dico) appare. E per un istante sono felice di scrivere (e di vestirmi). Buon Natale.
Testo L.V.; nella foto, Jackie Kennedy.