Gli amanti del sushi

Nematodi come Anisakis simplex sono parassiti comuni dei mammiferi marini, nel cui corpo arrivano dopo un lungo viaggio attraverso la rete alimentare oceanica. Le loro uova possono infatti essere mangiate da minuscoli organismi dello zooplancton, come i krill o i copepodi, all’interno dei quali le uova stesse si schiudono, incistandosi nell’ospite. Quando lo zooplancton viene mangiato da un pesce o un calamaro, gli Anisakis immaturi perforano la parete dell’intestino del nuovo ospite e si rinchiudono in una bolla protettiva di tessuto, formando una cisti. Questo può accadere più volte, dal momento che un pesce contenente cisti di nematodi può essere mangiato da un altro pesce, e così via. Ogni volta che un pesce infetto viene mangiato, i nematodi si riattivano, tornano nel lume intestinale dell’ospite per poi formare nuovamente delle cisti. Fin quando una balena o un altro mammifero marino mangia un pesce fortemente infettato. Una volta entrati nell’intestino del proprio ospite definitivo, i vermi abbandonano le loro cisti, conficcano le estremità anteriori nella parete dello stomaco, si nutrono, crescono, si accoppiano, e infine liberano nell’oceano le uova insieme alle feci dell’ospite. A volte i misticeti vengono infettati direttamente, quando consumano zooplancton. Una specie, Anisakis brevispiculata, si sposta nell’ecosistema marino passando dallo zooplancton al pesce lanterna bioluminescente al cogia di Owen o al cogia di Blainville. Gli esseri umani normalmente non sono ospiti di Anisakis, per i quali sono piuttosto un vicolo cieco. Quando le persone entrano in contatto con questi vermi, mangiando pesce crudo o poco cotto, possono avere reazioni pericolose. Alcuni hanno delle allergie, mentre altri sviluppano delle ulcere quando il parassita conficca la testa nel loro stomaco. Gli amanti del sushi sono comunemente infettati da questi parassiti.

Scott Lyell Gardner, Judy Diamond, and Gabor R. Rácz, Parasites: The Inside Story, Princeton University Press (2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un piatto di sushi.

Tra i nomi più problematici

Alcuni studiosi hanno proposto di cancellare nomi ritenuti offensivi o escludenti o che commemorano i razzisti, i colonizzatori e i membri più mostruosi della specie umana. Tra i nomi più problematici ci sono Hypopta mussolinii, una falena libica denominata con il nome del dittatore italiano Benito Mussolini, e Hibbertia, un genere di piante floreali della Guinea australe battezzati in onore di George Hibbert, un mecenate della botanica che si era arricchito con la tratta transatlantica degli schiavi.

Franz Lidz, What to Do With a Bug Named Hitler?, The New York Times (26/12/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un esemplare di Hibbertia scandens.

La malaccorta campagna

Non tutte le campagne di eradicazione hanno avuto esiti positivi. Dal 1950 fino agli anni ’80 il Ministero della Sanità egiziano ha lanciato campagne massive per rispondere agli alti tassi di infezione di Schistosoma mansoni. Oggi la terapia standard contro questa infezione è un farmaco da assumere per via orale, ma all’epoca il trattamento approvato era il tartaro emetico somministrato tramite multiple iniezioni. A quel tempo c’era una scarsa consapevolezza di cos’altro potesse essere trasferito insieme al sangue e gli aghi usa e getta non erano ancora di uso comune. La malaccorta campagna ha provocato l’infezione dell’intera popolazione con il virus dell’epatite C. Sebbene il trattamento per le infezioni da Schistosoma sia stato modernizzato, l’Egitto ha ancora oggi uno dei tassi più alti al mondo di infezione da epatite C.

Scott Lyell Gardner, Judy Diamond, and Gabor R. Rácz, Parasites: The Inside Story, Princeton University Press (2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) due esemplari di Schistosoma mansoni osservate al microscopio elettronico.

Hitler senza occhi

Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, nessun nome scientifico di specie animale ha causato un polverone maggiore di Anofthalmus hitleri, la denominazione che descrive un raro coleottero carabide dal colore ambrato che vive in alcune grotte umide della Slovenia centrale.
Il problema non è il nome del genere, Anofthalmus, che denota il fatto che questo animale è privo di occhi, al pari di altri coleotteri delle caverne che vivono costantemente nell’oscurità. Ciò che molti zoologi trovano spaventoso è il nome della specie, hitleri, che un collezionista di insetti austriaco aveva conferito allo scarabeo nel 1937 in omaggio a Hitler, nonostante le azioni brutali e razziste del Führer, tra cui la Notte dei lunghi coltelli, del 1934, e le Leggi di Norimberga, del 1935, e con l’Olocausto alle porte.
Il nome sembra appropriato: Anophthalmus hitleri, o “Hitler senza occhi”, è un notevole predatore, che secondo Doug Yanega, un entomologo dell’Università della California a Riverside, è prossimo al vertice della catena alimentare dei piccoli animali e “mangia qualsiasi cosa sia più piccola e più debole di lui.” Tuttavia l’associazione con il dittatore è stata ritenuta così sgradevole che quando la creatura era stata raffigurata su un francobollo jugoslavo, nel 1984, il suo nome latino era stato omesso.
In questi giorni il cosiddetto scarabeo Hitler è al centro di un feroce dibattito tra gli scienziati, sulla questione se agli animali che portano nomi biologici discutibili debbano essere attribuiti nomi nuovi. La nomenclatura zoologica si attiene a un codice che dice che il nome valido di un organismo è quello utilizzato per la prima volta e, poiché le convenzioni rifuggono dai cambiamenti, A. hitleri ha resistito. Un nome può essere modificato solo in circostanze estreme, legate allo sviluppo della conoscenza scientifica, ma i nomi indelicatamente impropri dati in passato finora sono stati immutabili.

Franz Lidz, What to Do With a Bug Named Hitler?, The New York Times (26/12/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un esemplare di Anophthalmus hitleri.

Sopravvivere ai propri parassiti

A volte gli ospiti trovano modi ingegnosi per sopravvivere ai propri parassiti. Nelle lumache alcune specie di trematodi possono inibire lo sviluppo degli organi riproduttivi, castrando funzionalmente gli animali infetti. Una specie di lumaca, la Biomphalaria glabrata, compensa accelerando la riproduzione con un’improvvisa scarica di uova prima che il trematode Schistosoma mansoni possa fare i suoi danni.

Scott Lyell Gardner, Judy Diamond, and Gabor R. Rácz, Parasites: The Inside Story, Princeton University Press (2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) alcune antiche conchiglie di Biomphalaria glabrata conservate al Rijksmuseum van Natuurlijke Historie a Leiden in Olanda.

Un nome che iniziasse con la E

Mentre stava compilando i documenti per l’immigrazione, tra cui l’Alien Registration Form e l’iscrizione al Selective Service System, Luria decise spontaneamente di cambiare la grafia deI suo nome, passando dall’italiano “Salvatore” (che, a quanto pare, non gli era mai piaciuto) allo spagnolo “Salvador”, usando quindi la “E” finale di Salvatore come iniziale di un secondo nome. Quando il funzionario dell’Ufficio immigrazione insistette dicendo che la E” doveva corrispondere a un nome, Luria chiese alla persona in fila dietro di lui di indicargli un nome che iniziasse con la E”, così divenne Salvador Edward Luria.

Rena Selya, Salvador Luria, traduzione di Allegra Panini, Cortina (2023)

Fino a trenta metri

Le caratteristiche che distinguono le diverse specie di tenia sono particolari adattamenti agli ospiti: per dimensioni, per esempio, le diverse specie variano da piccolissimi vermetti lunghi non più di un millimetro a forme gigantesche che infettano le balenottere azzurre e crescono fino a trenta metri.

Scott Lyell Gardner, Judy Diamond, and Gabor R. Rácz, Parasites: The Inside Story, Princeton University Press (2022), traduzione L.V.

Su una pecora

In senso letterale e figurato, Luria si liberò in fretta della sua vecchia identità di medico italiano che sforzava di applicare la fisica a problemi genetica. Non avendo alcuna intenzione di tornare in Italia, iniziò gia nel 1940 l’iter per diventare cittadino americano. A dispetto della fatica e dello stress di apprendere le norme di una nuova cultura e di comunicare in una lingua poco familiare, Luria mantenne il suo umorismo, per esempio quando raccontò ai colleghi la divertente vicenda che gli era capitata all’Ufficio immigrazione, dove un funzionario aveva caplto che fosse giunto negli Stati Uniti “su una pecora”.

Rena Selya, Salvador Luria, traduzione di Allegra Panini, Cortina (2023)

Ogni golfino di cashmere inizia da una capra

Ogni golfino di cashmere inizia da una capra. La lana da tessere deriva infatti dal morbido sottopelo lanuginoso di diverse razze di capre. Oggi la maggior parte del cashmere proviene dalle fredde e aride steppe della Cina e della Mongolia, pascoli di immense dimensioni che coprono circa 2,5 milioni di chilometri quadrati. Qui pastori seminomadi allevano da secoli pecore, cavalli, yak, cammelli e altro bestiame. La domanda di cashmere è talmente aumentata che le capre sono diventate gli animali dominanti di molte mandrie.
Come scienziata, studio e visito spesso l’altopiano mongolo, e sono per questo stata testimone dell’impatto che le mandrie in espansione di capre cashmere hanno avuto sull’ambiente. Per gli ecosistemi delle praterie, come quelli della steppa dell’Asia centrale, le capre sono molto più distruttive degli altri animali da reddito. Mentre le pecore rosicchiano le cime apicali dei fili d’erba, lasciando però intatte la base e le radici, le capre mangiano tutta la pianta al punto che l’erba non può più ricrescere. In questo modo le capre cashmere degradano l’habitat e provocano l’erosione del suolo. Una volta eliminata la vegetazione e danneggiati i suoli, queste praterie sono particolarmente difficili da ripristinare. Nelle zone più gravemente deteriorate l’erba viene sostituita da sabbia e arbusti.
Si stima che circa 27,5 milioni di capre pascolino nelle praterie della Mongolia (il governo non distingue tra capre cashmere e capre non cashmere, ma quelle cashmere sono prevalenti). Nella regione autonoma cinese della Mongolia Interna, il numero complessivo di capi è di circa 15 milioni. In un rapporto nazionale del 2018 sui pascoli della Mongolia, era stato rilevato che già nel 2016 quasi il 58% di essi era degradato a vari livelli a causa del pascolo stesso, e che il 23% era classificato come gravemente o completamente degradato.
Le capre che pascolano su terreni in cattive condizioni producono fibre più corte e più spesse, vendute sul mercato a prezzi più bassi. Ciò costringe alcuni pastori ad aumentare le dimensioni della propria mandria per far quadrare i conti. I produttori utilizzano quindi le fibre scadenti per produrre maglioni di cashmere a quei prezzi accessibili che sono ormai un classico della stagione dello shopping natalizio. Questi indumenti hanno una qualità più bassa e durano meno di quelli realizzati con lane di alta qualità. L’essenza stessa di ciò che rende lussuoso il cashmere – la morbidezza, il calore e la durevolezza – è compromessa, con un enorme costo ambientale.

Ginger Allington, This Holiday, Consider the True Cost of Cheap Cashmere, The New York Times (16/12/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) alcune capre pashmina nella regione del Ladack in India.