In generale, quando S. sbagliava non era per un problema di memoria, ma di percezione: l’errore era dovuto al fatto che non aveva prestato abbastanza attenzione a qualche parola, oppure che nella sua passeggiata immaginaria aveva collocato la rappresentazione visiva di una parola in un luogo poco visibile. Per esempio, in una seduta del 1932 giustifica un errore dicendo:
Ho messo l’immagine di una matita vicino a uno steccato… Ma ciò che è successo è che l’immagine si era fusa con quella dello steccato quindi ho finito per andare oltre, senza vederla… A volte metto una parola in un luogo buio e poi faccio fatica a distinguerla quando ci passo. Prenda la parola «scatola», per esempio. L’ho messa nella nicchia di un cancello e visto che lì dentro era buio, non sono riuscito a vederla…
Rodrigo Quian Quiroga, Borges e la memoria, traduzione di Rossella Sardi, Erikson (2018)