Gli spettatori della tarda era sovietica si erano abituati a un pesante lessico di burocratese e propaganda al limite dell’assurdo. Nel suo libro sui paradossi dell’epoca, “Everything Was Forever, Until It Was No More”, Alexei Yurchak, un antropologo russo-americano, descrive come, per decenni, durante i funerali dei dignitari sovietici, trasmessi alla televisione, gli annunciatori dicevano che l’ufficiale era stato “sepolto sulla Piazza Rossa accanto al muro del Cremlino”. Alla fine lo spazio nella piazza divenne scarso e i funzionari di alto rango furono invece cremati e le loro ceneri collocate all’interno del muro stesso. Gli spettatori potevano vedere che l’azione visibile nella loro televisione non corrispondeva al commento e alcuni linguisti di Stato presentarono una petizione al Comitato centrale perché il testo fosse aggiornato. Incredibilmente l’appello fu respinto. “Dal momento che nulla della rappresentazione del mondo era verificabile come vero o falso, l’intera realtà era diventata priva di fondamento”, scrive Yurchak.
Joshua Yaffa, The Kremlin’s Creative Director, The New Yorker (9/12/19), traduzione L.V. Nella foto (L.V.) lapidi nel muro del Cremlino.