La tengo a casa in uno scatolino

978880621952GRA“Sa cosa è?” mi ha chiesto.
“Polvere”, ho risposto io.
“sì, ma la polvere delle strade e delle case non arriva fin qui. Questa è polvere che viene dalle stelle”.
Io credevo che mi pigliasse in giro, ma poi siamo scesi, e lui mi ha fatto vedere con la lente che erano tutti pallini rotondi, e mi ha mostrato che la calamita li tirava, insomma erano di ferro. E mi ha spiegato che erano stelle cadenti che avevano finito di cadere: se uno va un po’ in alto in un posto che sia pulito e isolato, ne trova sempre, basta che non ci sia pendenza e che la pioggia non le lavi via. Lei non ci crede, e neanche io sul momento non ci ho creduto; ma col mio mestiere capita sovente di trovarsi in alto in dei posti come quelli, e ho poi visto che la polvere c’è sempre, e più anni passano, più ce n’è, di modo che funziona come un orologio. Anzi, come una di quelle clessidre che servono per fare le uova sode; e io di quella polvere ne ho raccolta un po’ in tutte le parti del mondo, e la tengo a casa in uno scatolino; voglio dire a casa delle mie zie, perché io una casa non ce l’ho. Se un giorno ci troviamo a Torino gliela faccio vedere, e se ci pensa è una faccenda malinconica, quelle stelle filanti che sembrano le comete del presepio, uno le vede e pensa un desiderio, e poi cascano giù, si raffreddano, e diventano pallini di ferro da due decimi. Ma non mi faccia perdere il filo.

Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi (1978)

Pettegolezzi tradotti sulla carta

Dentro-la-sera_-copertina-bisIo sono stato tra l’altro in banca un po’ di anni, e nei giudizi che davano i verbalisti sui clienti si diceva: «moralità indiscussa», oppure «moralità dubbia», «ha un’amante con cui si incontra in Riviera» ecc. Per giudizi di tipo moralistico si entrava anche in dettagli della vita privata, con effetti esilaranti. Ero molto attirato dalla lettura di questi, come si chiamavano, «foglietti d’informazione» dei cosiddetti «verbalisti», che, per raccogliere informazioni, si rivolgevano ai clienti (spesso fonti inattendibili) oppure alle portinaie: erano dei pettegolezzi tradotti sulla carta, certe volte affascinanti […].

Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera – Conversazioni sullo scrivere, Belleville Editore (2016)

Si sarebbe fatto chiamare “Einstein”

15Cohen-inyt-master768Prima di emigrare nel 1957, un parente gli aveva suggerito di cambiare cognome. “Cohen” era troppo vistosamente ebreo perché potesse avere successo con la professione in Gran Bretagna. Lui aveva risposto che era un’idea meravigliosa – solo per aggiungere che si sarebbe fatto chiamare “Einstein”.

Roger Cohen, Sons Without Fathers, The New York Times (14/7/17), traduzione L.V. Sydney Cohen era un’autorità negli studi sulla malaria ed è stato un pioniere dei vaccini antimalarici. Nella foto (Alex Levac, The New York Times) Sydney Cohen nel 2005 con suo figlio Roger Cohen.

Un uomo a cavallo che attraversa

John Ford dice che un buon inizio è un cavallo che attraversa diagonalmente lo schermo: un cavallo, un cavaliere, un uomo a cavallo che attraversa. Cosa troviamo per esempio in questa frase di Ford? Innanzitutto un elemento dinamico: la corsa. C’è sempre nella narrativa, nel linguaggio narrativo, il dinamismo. Per paradosso, e per povertà di fantasia, molti narratori pensano che la staticità possa interessare. La staticità interessa solo loro, purtroppo.

Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera – Conversazioni sullo scrivere, Belleville Editore (2016)

Il problema era come prendere le anguille

von-humboldtQuando la gente del posto gli disse che molti degli stagni poco profondi nella zona erano pieni di anguille elettriche, Humboldt non riusciva a credere alla sua fortuna. Dai tempi degli esperimenti sull’elettricità animale in Germania, aveva sempre desiderato ardentemente di poter esaminare uno di quei pesci straordinari. Aveva sentito strani racconti su quelle creature lunghe un metro e mezzo che potevano rilasciare scariche elettriche di oltre 600 volt.
Il problema era come prendere le anguille, dato che vivevano sepolte nella melma sul fondo degli stagni e pertanto non era facile pescarle con una rete. Inoltre erano così cariche di elettricità che bastava toccarle per morire fulminati. I locali ebbero un’idea. Radunarono trenta cavalli selvatici degli Llanos e portarono il branco nello stagno. Appena gli zoccoli dei cavalli agitarono la melma, le anguille cominciarono a dimenarsi salendo in superficie e rilasciando possenti cariche elettriche. Estasiato, Humboldt guardava quello spettacolo raccapricciante: i cavalli urlavano di dolore, le anguille facevano il diavolo a quattro sotto le loro pance e la superficie dell’acqua ribolliva agitata. Qualche cavallo cadeva e, calpestato dagli altri, annegava.

Andrea Wulf, L’invenzione della natura -Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, traduzione di Lapo Berti, Luiss University Press (2017). Nella foto, la cattura delle anguille con i cavalli in una incisione di pubblico dominio.

 

La nostra sottoalimentata immaginazione

mantel2Di recente sono stata al Castello di Windsor e per mia delizia ho saputo che la preparazione dei banchetti di stato avviene ancora nelle cucine medievali. Nelle nicchie dove un tempo bruciavano i fuochi, hanno montato cucine luccicanti in acciaio inossidabile. Ma guardate il soffitto ed è come quello di una cattedrale: lo attraversano grandi archi gotici che sollevano il tetto.
Eccetto che non lo fanno. All’inizio del 18° secolo i restauratori hanno deciso che il soffitto del 15° secolo non sembrava abbastanza medievale. La struttura era sana, ma non era pittoresco. Così hanno creato un po’ di falsità. Le aggiunte gotiche sono cave, fatte di tavole di pino dipinte per sembrare di quercia antica. Non hanno peso, non sostengono niente, tranne la nostra sottoalimentata immaginazione.

Hilary Mantel, Can These Bones Live? The BBC Reith Lectures (4/7/17), traduzione L.V. La foto viene da qui.

Sul traghetto Praga

cover.jpg.rendition.460.707Stavo ascoltando due donne che parlavano dell’estate del 1939, quando da bambine erano state mandate in Inghilterra con un trasporto speciale. Avevano menzionato una serie di città – Vienna, Monaco di Baviera, Danzica, Bratislava, Berlino – ma solo quando una delle due ha detto che il proprio trasporto, dopo due giorni di viaggio attraverso il Reich tedesco e i Paesi Bassi, dove dal treno aveva potuto vedere le grandi vele dei mulini a vento, aveva finalmente lasciato Hoek van Holland sul traghetto Praga per attraversare il Mare del Nord fino ad Harwich, solo allora seppi senza dubbio che quei frammenti di memoria facevano parte anche della mia vita.

W. G. Sebald, Austerlitz, traduzione dal tedesco di Anthea Bell, Penguin (2001). Traduzione dall’inglese L.V.

 

La coscienza di Cosini

Prendiamo il protagonista dell’opera forse più importante di Svevo, cioè La coscienza di Zeno. Il protagonista si chiama Zeno Cosini. Io trovo che “Zeno” sia un nome forte, che si imprime, giusto; giusto nel senso che noi lo riconosciamo nel protagonista. Cosini è un nome un po’ trasparente, un po’ riduttivo; Cosini vuole suggerire la piccolezza, ma lo fa in modo un po’ troppo esplicito. Infatti, i lettori di Svevo mi potranno confermare che si ricorda sempre Zeno, che è un nome felice, ma meno Cosini. Credo che a nessuno venga in mente “La coscienza di Cosini”.

Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera – Conversazioni sullo scrivere, Belleville Editore (2016)