Dall’italiano riavvolgere

La parola “ravioli” deriva probabilmente dall’italiano riavvolgere ed è apparsa per la prima volta nella documentazione scritta nel XIII secolo, quando Salimbene de Adam, un frate francescano di Parma noto per le cronache dei suoi viaggi golosi in Francia e in Italia, menziona il consumo di “raviolos sine crosta de pasta” – in questo caso il bocconcino di cibo senza il “solito involucro di pasta” durante una festa di Santa Chiara.

Dawn Davies, What Is Italy’s Most Prized Stuffed Pasta?, The New York Times (13/5/2024). Nella foto (Wikipedia) ravioli fatti a mano.

Ideali per le rapide annotazioni dei piloti

Marcel-bich-corso-re-umberto

Al civico 60 di corso Re Umberto a Torino una lapide ricorda la casa dove nacque colui che «semplificò la quotidianità della scrittura». Il signore in questione è Marcel Bich, nato nella città piemontese nel 1914 e in seguito trasferitosi con la famiglia in Francia. Qui, nel secondo dopoguerra, acquisto e perfezionò il brevetto dell’inventore ungherese Bíró, sulla base del quale avviò la produzione industriale di quella che sarebbe diventata probabilmente lo strumento di scrittura più comune e diffuso nel mondo: la penna Bic. Laszló Jozsef Bíró ideò infatti la penna che porta il suo nome e che garantiva maggiore autonomia della penna stilografica, e soprattutto non dipendeva da frequenti operazioni di ricarica. La penna di Bíró trovò subito un acquirente nella Royal Air Force britannica. Le penne a inchiostro erano infatti inadatte per il volo perché spandevano facilmente, mentre le nuove penne a sfera – denominate dalla Raf Eterpen -erano ideali per le rapide annotazioni dei piloti. L’inventore ungherese non fu però in grado di raggiungere mercati più ampi, cosa che invece riuscì a Bich, grazie anche alle migliorie apportate tra le quali quella dell’involucro trasparente che consentiva di controllare in qualsiasi momento la quantità residua di inchiostro.

Piero Martin, Le 7 misure del mondo, Laterza (2021). Nella foto la targa in memoria della nascita di Marcel Bich (1914-1994), in corso Re Umberto 60 a Torino.

Nel mentre la vecchia testa cade

Dal punto di vista di un bruco, gli esseri umani sono noiosi. I piccoli che tiriamo fuori dai nostri corpi sono solo versioni in miniatura di noi stessi, con tutti gli arti e le appendici che avranno per tutta la vita. Man mano che maturano, i bambini diventano più grandi, più forti e più pelosi, ma questo è quanto.
I bruchi, dal canto loro, si reinventano continuamente. Emergono da minuscole uova che hanno l’aspetto di piccoli gioielli, e di cui spesso mangiano l’involucro quale primo pasto. Una volta raggiunta una certa dimensione, gli spunta una seconda testa subito dietro la prima. Quindi si liberano dalla loro vecchia pelle, come un subacqueo che esce da una muta. (Nel mentre la vecchia testa cade). Nel corso dello sviluppo passeranno attraverso questa sequenza tre o quattro volte, sedici volte in alcune specie, spesso provando un nuovo look strada facendo. Per esempio, il bruco della farfalla dalle nuvole verdi (Papilio troilus), che si trova in tutti gli Stati Uniti orientali, quando emerge dal proprio uovo ha un aspetto screziato di bianco e nero. Questa combinazione di colori permette al bruco di spacciarsi per guano di uccello. Dopo la terza muta, per la cosiddetta quarta crisalide, diventa verde (o marrone), con due macchie gialle e nere sulla testa. Le macchie, che sono stranamente simili a un paio di occhi, consentono al bruco della farfalla dalle nuvole verdi di fingere di essere un serpente.

Elizabeth Kolbert, The Little-Known World of Caterpillars, The New Yorker (20/3/2023), traduzione L.V. Nella foto (Entomology and Nematology, University of Florida) la quarta crisalide di un esemplare di Papilio troilus.