L’ironia è una figura della distanza. Permette di guardare in modo diverso non solo al mondo, ma anche al linguaggio – compreso quello visuale – per mezzo del quale si racconta il mondo. L’ironista non è un satirista, un derisore. L’ironista è uno che guarda il mondo tutt’intorno; non c’è infatti ironia senza autoironia. «Un po’ di sbieco ma in modo serio» come ha scritto Milosz.
L’ironia infatti non serve solo a uno sterile divertimento. L’ironia ci mette in guardia verso tutto ciò a cui abbiamo fatto l’abitudine per comodità; verso il buon senso, che è una categoria che narcotizza l’attenzione; verso ogni fondamentalismo ed eccessiva sicurezza di sé; verso l’atrofia dello stupore, che dovrebbe invece accompagnarci sempre, lo stupore per la meravigliosa normalità del mondo. Scrive la Szymborska: «Potevo essere me stessa – ma senza stupore, / e ciò vorrebbe dire / qualcuno di totalmente diverso». […]
«La mia ironia è terra terra, è … democratica. È intrisa di compassione, ironia e compassione non sono mai disgiunte. Cerco di non pormi più in alto degli altri, voglio parlare con loro alla pari, non voglio insegnare loro nulla».
Michał Rusinek, Nulla di ordinario su Wisława Szymborska, a cura di Andrea Ceccherelli, Adelphi (2019)