La fede nel dualismo

Lo psicologo Paul Bloom, nel libro dal titolo Descartes’ Baby, si spinge fino a suggerire che siamo effettivamente nati per essere dei dualisti filosofici, come lo era lo stesso Cartesio, e per credere che la mente sia separata dal corpo. Il dualismo, suggerisce Bloom, è innato.
Questo non vuole ovviamente dire che le nostre menti siano separate dai nostri corpi: è solo che siamo predisposti a crederlo. È davvero difficile convincere la maggior parte delle persone, eccetto noi baldi psicologi e materialisti neuroscienziati, che siamo semplicemente creature di carne e ossa, con processi fisici all’interno delle nostre teste che dettano i nostri pensieri e le nostre azioni. La fede nel dualismo, ossia l’idea che la mente possa sfuggire al corpo e ai vincoli del mondo fisico, è del resto un aspetto del pensiero errante.

Michael C. Corballis, The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, no Fronteiras do Pensamento) Paul Bloom.

Corrode inevitabilmente le virtù civiche

Una critica frequente al neoliberismo è che ha appiattito la nostra vita politica, riorganizzandola attorno all’efficienza. “The Problem of Social Cost”, un articolo del 1960 diventato un classico del canone neoliberista, predica che una fabbrica inquinante e le sue vittime non dovrebbero preoccuparsi di portare le loro controversie in tribunale. Tali liti sono inefficienti – chi ha, peraltro, bisogno di giustizia? – e intralciano le attività di mercato. Le parti dovrebbero invece contrattare privatamente i risarcimenti e andare avanti con i propri affari.
Questa fissazione sull’efficienza è come siamo arrivati ​​a “risolvere” i cambiamenti climatici lasciando che i peggiori trasgressori continuino come prima. Il modo per evitare i vincoli della regolamentazione è ideare un sistema – in questo caso, la tassazione del carbonio – che consenta a chi inquina di acquistare crediti per compensare le emissioni di carbonio in eccesso.
Questa cultura dell’efficienza, in cui i mercati misurano i valori delle cose e li sostituiscono alla giustizia, corrode inevitabilmente le virtù civiche.

Evgenij Morozov, The True Threat of Artificial Intelligence, The New York Times (30/6/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Evgenij Morozov.

Amore per l’umanità

Le organizzazioni filantropiche organizzate appaiono diversamente se osservate dall’interno piuttosto che dall’esterno. Il termine “filantropia” deriva dal greco e significa “amore per l’umanità”. La percezione pubblica di queste attività è solitamente incentrata sui donatori e su quanto amino davvero l’umanità. I buoni sono in genere persone ricche e generose che donano per cause che tutti noi approviamo, come la lotta ai cambiamenti climatici; i cattivi donano invece per ripulire la propria reputazione (come la famiglia Sackler che promuoveva farmaci a base di oppioidi) o per sostenere finalità sconvenienti (come i Koch e le loro cause anti ambientaliste). Nell’uno o nell’altro caso, per la maggior parte delle persone le domande salienti sulla filantropia hanno a che fare con le dimensioni e la qualità del cuore e dell’anima dei donatori.
Nella vita reale le interazioni tra la filantropia danarosa e le istituzioni che da tale filantropia dipendono, come le università, gli enti benefici e i musei, hanno più il sapore di trattative d’affari che di una recita di moralità. I filantropi raramente fanno le grandi donazioni senza vincoli che le istituzioni riceventi desiderano davvero, e quindi le due parti negoziano: sullo scopo e sul controllo di una donazione, sulla forma di credito, su quanto l’istituzione debba raccogliere da altre fonti quale condizione per la donazione stessa. Nel mondo della filantropia tutto questo è soltanto una normale giornata in ufficio.

Nicholas Lemann, Would the World Be Better Off Without Philanthropists?, The New Yorker (23/5/2022), traduzione L.V. Nell’immagine (Wikipedia) Louis Dalrymple, ritratto satirico del filantropo Andrew Carnegie, Puck magazine (1903).