Questa combinazione di immortalità e replicabilità

Se rimanesse un’attività di ricerca scientifica, un’A.I. mortale potrebbe portarci più vicini a una replica del nostro cervello. Ma Hinton è arrivato a pensare, con rammarico, che l’intelligenza digitale potrebbe essere più potente. Nell’intelligenza analogica, “se il cervello muore, muore anche la conoscenza”, ha detto. Nell’intelligenza digitale, invece, “se un particolare computer muore, le forze delle sue connessioni possono essere utilizzate su qualsiasi altro computer. E anche se dovessero morire tutti i computer, una volta immagazzinate da qualche parte tutte le forze delle connessioni, basterebbe creare un altro computer digitale ed eseguirle. Diecimila reti neurali possono imparare diecimila cose diverse contemporaneamente, e poi condividere ciò che hanno imparato”. Secondo Hinton, questa combinazione di immortalità e replicabilità ci dice che “dovremmo preoccuparci che l’intelligenza digitale prenda il posto dell’intelligenza biologica”.

Joshua Rothman, Why the Godfather of A.I. Fears What He’s Built, The New Yorker (20/11/2023), traduzione L.V. Nel disegno (Wikipedia) un’immagine simbolica dell’intelligenza artificiale.

Cammina?

Molti anni dopo – dopo che la vita aveva tirato i suoi dadi e la combinazione li aveva riportati vicini – capitava che Fruttero e Calvino si incontrassero nelle viuzze di Castiglione, in bicicletta, coi sacchetti della spesa sul manubrio. Un pomeriggio, con un certo imbarazzo, Calvino gli chiese di passare da lui, voleva fargli leggere qualcosa e avere il suo parere. Era il manoscritto, appena terminato, di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Nel pomeriggio, sul prato di casa si ripeteva il rito: due sedie, il celebre tè freddo di Chichita, le sigarette, qualche frutto (pesche). Fruttero fumava e leggeva, sorseggiando. Calvino era nervoso. Si sedeva e si alzava. Ogni tanto i due scambiavano qualche scarna parola. «Il nostro linguaggio» ricordava Fruttero, «quando ci capitava (raramente) di parlare di letteratura, era del resto ridotto a poche formule banalissime: “Cammina?”, “Prende?”, “Sta in piedi?”, “Funziona?”».

Alberto Riva, Ultima estate a Roccamare, Neri Pozza (2023)

Un gruppo di porcospini in una fredda giornata d’inverno

Mi sono ricordata che Freud teneva sulla scrivania la statuina di un porcospino. Gli piaceva la parabola di Schopenhauer su un gruppo di porcospini in una fredda giornata d’inverno. Quando si rannicchiavano l’uno contro l’altro, venivano punti dagli altrui aculei e allora si allontanavano; infreddoliti, cercavano di nuovo di accoccolarsi e stare vicini.

Parul Sehgal, How the Writer and Critic Jacqueline Rose Puts the World on the Couch, The New Yorker (21/8/2023), traduzione L.V. Nella foto (Freud Museum London) la statua di porcospino che Sigmund Freud teneva sulla scrivania.

Un anello di polvere artificiale

Jakutsk è una delle due grandi città al mondo costruite in aree di continuo permafrost, dove cioè il terreno congelato forma uno strato ininterrotto sotto lo zero. L’altra è Noril’sk, nel territorio russo di Krasnojarsk, dove i prigionieri dei gulag furono spediti negli anni Trenta a costruire un nuovo insediamento. Noril’sk ospita alcuni dei più grandi giacimenti di nichel del pianeta. Per servire le industrie minerarie e le fonderie, la città aveva bisogno di fabbriche, condomini, scuole, ospedali e auditorium. Molte di queste prime strutture non durarono a lungo. Valery Grebenets, professore di ingegneria all’Università statale di Mosca, ha lavorato a Noril’sk negli anni Ottanta. Alcuni dei suoi colleghi hanno raccontato storie di ingegneri che hanno dovuto subire gravi conseguenze quando i loro progetti sono collassati. “Quando iniziano a essere uccisi i propri vicini, uno inizia a pensare in modo un po’ più vivido”, aveva osservato cupamente Grebenets. Via via che nello studio del permafrost si facevano progressi, aveva continuato Grebenets, “le persone avevano cominciato a comprenderne le proprietà e a escogitare nuove idee”.
Una delle proposte più stravaganti era venuta da uno scienziato sovietico di nome Michail Gorodskij, che invitava a posizionare attorno alla Terra un anello di polvere artificiale, simile agli anelli di Saturno, al fine di creare una cupola di calore sopra i poli che avrebbe aumentato le temperature al punto da far svanire del tutto il permafrost.

Joshua Yaffa, The Great Siberian Thaw, The New Yorker (17/1/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un palazzo di Noril’sk con il termometro che a giugno 2016 ha segnato 29°C.