L’idea che potessero esistere neuroni capaci di rispondere selettivamente a stimoli complessi dell’ambiente come i volti era stata originariamente ipotizzata nell’Ottocento dallo psicologo William James, il quale si riferiva a queste ipotetiche cellule con il soprannome di «neuroni pontificali». L’ipotesi fu poi ripresa da vari altri studiosi, come il fisiologo Jerzy Konorski, che introdusse il termine «neuroni agnostici». Oggi questi neuroni sono meglio conosciuti come «cellule della nonna», etichettatura suggerita dal neurofisiologo Jerome (Jerry) Lettvin all’interno di una storiella divertente da lui ideata, ispirata al romanzo di Philip Roth Il lamento di Portnoy, per deridere l’idea che concetti complessi possano essere rappresentati dall’attività di un singolo neurone. Nella storia di Lettvin, per liberarsi dalle sue ossessioni sulla madre prepotente, Portnoy, anziché a uno psicanalista, decide di rivolgersi a un neurochirurgo, Akakij Akakievič, che ha scoperto nel cervello umano dei neuroni che rispondono unicamente alla vista della propria madre. Il dottor Akakievič apre il cervello di Portnoy e rimuove tutte le cellule della madre. L’operazione si rivela un grande successo e, raccontava Lettvin ai suoi studenti, il dottor Akakievič decide perciò di estendere le sue ricerche alle «cellule della nonna».
Giorgio Vallortigara, Il pulcino di Kant, Adelphi (2023). Nella foto (MIT Technology Review) Jerry Lettvin nella vasca da bagno in cui trascorreva abitualmente ore e ore a leggere.