Come ha osservato il biologo britannico Peter Medawar negli anni Cinquanta, le mutazioni genetiche dannose che non esplicano i propri effetti fino a tarda età potrebbero accumularsi lungo le generazioni, perché la selezione è troppo debole per rimuoverle. La conseguenza è l’invecchiamento a livello di specie. Elaborando le idee di Medawar, il biologo americano George C. Williams ha aggiunto che alcuni geni possono avere effetti utili in gioventù ma dannosi più tardi, quando la selezione ne trascurerebbe gli svantaggi. Sulla stessa linea di pensiero, negli anni Settanta, il biologo britannico Thomas Kirkwood ha proposto che l’invecchiamento sia in parte dovuto a un compromesso evolutivo tra crescita e riproduzione da un lato e manutenzione e riparazione dell’organismo dall’altro. Dedicare risorse a manutenzione e riparazione è vantaggioso soltanto se è probabile che un organismo continui a sopravvivere e riprodursi. Per molti organismi le minacce esterne sono troppo imponenti e numerose per resistere a lungo, quindi non c’è molta pressione evolutiva per preservare i loro corpi in età avanzata, che dunque si deteriorano.
Ferris Jabr, How Long Can We Live?, The New York Times (28/4/2021), traduzione L.V. Nella foto (Twitter) Ferris Jabr.