L’equivalente cetaceo di un’alzata di spalle

I capodogli hanno i cervelli più grandi del pianeta, sei volte di più di quelli umani. La loro vita sociale è ricca, complicata e, secondo alcuni, ideale. I membri adulti di una unità, che può comprendere da qualche individuo a poche decine, sono tutti di sesso femminile. I figli maschi possono viaggiare con il gruppo fino all’età di circa quindici anni; quindi, come dice Shane Gero, vengono “ostracizzati socialmente”. Alcuni continuano a girare attorno alle proprie madri e sorelle, inviando per mesi schiocchi da lontano senza ricevere risposta. Alla fine, però, afferrano il messaggio. I maschi completamente adulti sono creature solitarie. Avvicinano un gruppo di femmine, presumibilmente non loro parenti prossime, solo per accoppiarsi. Per segnalare il proprio arrivo emettono suoni profondi e rimbombanti, noti come “clang”. Nessuno sa esattamente cosa renda un capodoglio in corteggiamento attraente per una potenziale compagna. Gero mi ha raccontato di avere visto alcuni maschi rumorosi essere accolti con grande trambusto, mentre ad altri è stato riservato l’equivalente cetaceo di un’alzata di spalle.
Le femmine dei capodogli, invece, sono eccezionalmente prossime. Le adulte di una unità non solo viaggiano e cacciano insieme; sembrano anche consultarsi su decisioni importanti. Se nel gruppo c’è una neomamma, le altre si prendono cura del piccolo mentre lei si immerge per cercare il cibo. In alcune unità […] le femmine dei capodogli addirittura allattano i piccoli l’una dell’altra. Quando una famiglia è minacciata, le femmine adulte si raggruppano per proteggere la prole, mentre quando la situazione è calma i piccoli giocano e si divertono.

Elizabeth Kolbert, Talk to Me, The New Yorker (11/9/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) una mamma capodoglio e un piccolo.

La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

Come gocce di vivo turchese

Intanto il giovane si godeva il paesaggio. Appena lasciata la carovaniera era diventato come navigare, non in “alto mare”, ma in “alto deserto”. Ogni segno umano era completamente sparito. Certi montagnoni aridi, possenti, color crete senesi, si facevano sempre più eminenti e vicini. Erano loro i padroni esclusivi dell’orizzonte. Ma non pensiamoli vuoti, morti, opprimenti! Intanto a rallegrarli qua e là, come gocce di vivo turchese, apparivano i sorprendenti e preziosi papaveri azzurri del Tibet: sembra impossibile, ma questi fiori delicati, d’una tinta da genziana, amano proprio simili luoghi aridi e solitari.

Fosco Maraini, Case, amori, universi, La nave di Teseo (2019). Nella foto (Wikipedia) un papavero blu dell’Himalaya.