Scrivere richiede una certa cura

Avevo sei anni.
Prendevo in mano un foglio di carta assorbente e accarezzandolo col palmo della mano lo poggiavo dove il pennino aveva lasciato le forme ripetute, umide, leggermente rialzate delle lettere dell’alfabeto.
Quell’operazione di asciugatura era parte di un atto che altrimenti sarebbe rimasto imperfetto, insoddisfacente.
Stavo scoprendo che scrivere richiede una certa cura.

Giovanni Mariotti, Piccoli addii, Adelphi (2020). Nella foto (Wikipedia, Willem van de Poll, Nationaal Archief) Renée, figliastra del fotografo Willem Van der Poll, tampona con la carta assorbente una macchia d’inchiostro nel 1932.

Gotico stalinoide

L’Hotel Ukraina, dove Balanchine alloggiava con la compagnia, aveva una simile aria di vuota grandeur. Era monumentale, un edificio in pietra gialla dall’aspetto di una fortezza, con otto torrette e una torre centrale con un’alta guglia sormontata da una stella sovietica. Era una delle “sette sorelle” commissionate da Stalin per competere con i grattacieli americani (modellate in parte sul Manhattan Municipal Building). Sprovvisto di dimensioni umane, l’Hotel Ukraina era stato costruito in uno stile che Lincoln Kirstein, cofondatore della compagnia, aveva chiamato “Gotico stalinoide”. Completato nel 1957, sembrava già vecchio e fatiscente.
L’enorme atrio in marmo grigio somigliava a una stazione ferroviaria, con un grande ristorante da cui emanava un pervasivo odore sovietico di cipolle e cavoli. I trentasette piani e le oltre mille stanze erano serviti da pochi, lentissimi ascensori, presidiati da stolide signore in giacca e cravatta, e l’attesa per andare da un piano all’altro poteva superare la mezz’ora. Si diceva che il tredicesimo piano ospitasse l’apparato di intercettazione dell’intero edificio, e a ogni piano sedeva sempre una matrona in uniforme (con un lettino per dormire) per controllare chiavi e accessi. Una volta che un ospite superava il controllo, la camminata verso una camera poteva sembrare lunga chilometri, per tetri corridoi tappezzati di moquette. Le camere erano decorate in stile Biedermeier ormai logoro, con copriletti dai disegni orientali. A tutti era stato detto che i soffitti erano foderati di dispositivi di intercettazione e i ballerini si divertivano a cercare di scoprirli.


Jennifer Homans, George Balanchine’s Soviet Reckoning, The New Yorker (12/9/22), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia), da sinistra a destra, il violoncellista Mstislav Rostropovič, il coreografo George Balanchine e il capo coreografo del Teatro Bolshoi Jurij Grigorovič a un ricevimento in occasione del tour della compagnia del New York City Ballet a Mosca.