Immense quantità di energia a disposizione della gente comune

In “Fire Weather: A True Story from a Hotter World” (Knopf), John Vaillant propone ancora un nome diverso per la nostra nuova epoca: il Petrocene. Il Petrocene, sostiene Vaillant, è iniziato un secolo e mezzo fa con la scoperta del petrolio, che ha messo immense quantità di energia a disposizione della gente comune.
“Al volante di una Chevy Silverado, una donna che pesa 45 chili può generare più di 600 cavalli vapore”, osserva Vaillant, uno scrittore di Vancouver. “Prima del Petrocene, solo un re o un faraone avrebbero potuto evocare una tale potenza, e il suo equivalente avrebbe richiesto centinaia di schiavi e animali da tiro”.

Elizabeth Kolbert, The Perverse Policies That Fuel Wildfires, The New Yorker (25/3/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Larry D. Moore) John Vaillant.

L’inconfondibile firma virale di un herpesvirus

La scoperta del virus non è stata rapida. Il dottor Burkitt aveva inviato alcune biopsie tumorali a Londra da Kampala, in Uganda, ma in questi primi campioni il dottor Epstein non era riuscito a trovare tracce virali, secondo Darryl Hill, il ricercatore che ha commemorato il dottor Epstein in un articolo per l’Università di Bristol.
Un nuovo pacco contenente biopsie era stato spedito e quindi dirottato dall’aeroporto di Heathrow a un altro aeroporto, a Manchester, in Inghilterra, a causa della nebbia. I campioni al suo interno sembravano essersi deteriorati, aveva detto il dottor Hill.
“Quando i campioni arrivarono finalmente nelle mani di Tony, erano diventati torbidi, generalmente un segno di contaminazione batterica per cui avrebbero dovuto essere buttati via”, ha scritto il dottor Hill nel suo tributo. “Tony però non li buttò via e li esaminò attentamente”. “Con sua sorpresa scoprì che l’opacità era dovuta alle cellule tumorali linfoidi che, durante il trasporto, si erano staccate dalla biopsia e ora galleggiavano allegramente in sospensione”. Il dottor Hill ha proseguito nel racconto: “Tony aveva sfruttato quella scoperta casuale per far crescere in coltura alcune linee cellulari, derivate dal tumore, dimostrando che erano in grado di rimanere in vita indefinitamente”.
Studiando i nuovi campioni con un potente microscopio elettronico, il dottor Epstein era stato in grado di individuarvi l’inconfondibile firma virale di un herpesvirus. Il dottor Hill ha definito la scoperta un momento “eureka”.
Il dottor Epstein, la dottoressa Barr e il dottor Bert Achong, che aveva preparato i campioni per la microscopia elettronica, annunciarono la loro scoperta in un articolo scientifico pubblicato sul numero di marzo 1964 della rivista scientifica The Lancet.

Delthia Ricks, Dr. Anthony Epstein, Pathologist Who Discovered Epstein-Barr Virus, Dies at 102, The New York Times (6/3/2024). Nella foto (European Association for Haematopathology) la fotografia del campione di cellule di linfoma di Burkitt osservate al microscopio elettronico, in cui si vede la presenza dell’herpesvirus che poi prenderà il nome di virus di Epstein-Barr (EBV). La fotografia è stata pubblicata in un articolo sul numero di marzo 1964 della rivista scientifica The Lancet.

Una piramide composta da ben settecento piante di fucsia

A differenza di Elizabeth Lawrence, non sono una purista della botanica né vado sempre a cercare i nomi latini delle piante. Ma mi piace conoscere l’etimologia dei loro nomi di uso comune. E quante cose si possono imparare consultando semplicemente un dizionario! La parola “peonia” deriva dal greco antico: Paián o Paiéon era colui che guariva gli dei. (Cosa affligge gli dei? Forse ciò che affligge noi mortali). “Loto” deriva dal greco lōtos, una pianta mitica che dava l’oblio a coloro che ne mangiavano i frutti. (Ho mangiato la mia parte di semi di loto, una prelibatezza della cucina cinese, senza mai raggiungere l’oblio). “Fucsia”, una parola che ho spesso scritto “fuschia” per errore: quale mitica storia ti accompagna? Si scopre che le fucsie devono il proprio nome a Leonhard Fuchs, un medico e botanico tedesco del XVI secolo, da cui sono derivati anche il nome del colore e il soprannome, Fuchsienstadt, della sua città natale, Wemding, dove si trova una piramide composta da ben settecento piante di fucsia. Eppure Fuchs non vide mai alcun fiore di fucsia nel corso della propria vita. La pianta fu infatti scoperta nei Caraibi e denominata dal botanico e monaco francese Charles Plumier, che era nato 145 anni dopo Fuchs. Cosa aveva portato Plumier a chiamare il fiore in onore di Fuchs? Ci si può porre la domanda, ma ogni speculazione sarà più vicina a finzioni come quelle che ci dicono che la peonia era un tempo il medico degli dei e che il loto portava all’oblio.

Yiyun Li, What Gardening Offered After a Son’s Death, The New Yorker (30/10/2023), traduzione L.V. Nella foto (wemding.de) la piramide di settecento piante di fucsia di Wemding in Germania.

Una donna di nome Sophie Wolfe

Negli anni Paul Berg aveva spesso ricordato i suoi giorni da studente alla Abraham Lincoln High School di Brooklyn, dove è iniziato il suo percorso di una vita dedicata alla scienza. Aveva in particolare dato credito alla responsabile della stanza in cui erano conservati i materiali del dipartimento di scienze della scuola, una donna di nome Sophie Wolfe.
“Il suo amore per i giovani e l’interesse per la scienza l’avevano portata ad avviare un programma di club scientifici pomeridiani al di fuori dell’orario scolastico”, aveva scritto il Dr. Berg in un breve profilo autobiografico per il comitato Nobel. “Anziché rispondere alle domande che le ponevamo, ci incoraggiava a cercare da soli le soluzioni, per trovare le quali il più delle volte iniziavano dei mini progetti di ricerca. A volte ciò comportava fare degli esperimenti nel piccolo laboratorio che lei teneva, mentre altre volte andavamo a cercare le risposte in biblioteca”.
“La soddisfazione che derivava dall’avere risolto un problema con un esperimento era un’esperienza piuttosto inebriante, da dare quasi assuefazione”, aveva continuato. “Guardando indietro, mi rendo conto che nutrire la curiosità e l’istinto a cercare soluzioni è forse il contributo più importanti che un’educazione può dare. Con il tempo, molti dei fatti che ho appreso allora sono stati dimenticati, ma non ho mai perso l’entusiasmo della scoperta”.

Don R. Hecker, Paul Berg, Nobel-Winning Pioneer of Genetic Engineering, Is Dead at 96, The New York Times (21/2/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Paul Berg.

I giovani

La scoperta che si possono fare soldi vendendo merci agli adolescenti risale ai primi anni Quaranta, quando l’espressione “cultura giovanile” è apparsa per la prima volta sulla stampa. C’era una ragione per cui ciò accadeva proprio allora: la scuola superiore. Nel 1910 la maggior parte dei giovani lavorava e solo il 14% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni andava ancora a scuola. Nel 1940 la proporzione era diventata del 73%. Tra l’età della dipendenza e l’età adulta si era aperto uno spazio sociale ed era nato un nuovo gruppo demografico: i “giovani”.

Louis Menand, It’s Time to Stop Talking About “Generations”, The New Yorker (18/10/2021), traduzione L.V.

Iniziò a inviare sulla Terra immagini sublimi

Alla fine della Seconda guerra mondiale il fisico americano Lyman Spitzer, avendo visto quanto erano affidabili i razzi tedeschi V-2, si eccitò all’idea che qualcosa di simile potesse essere usato per lanciare un grande telescopio nello spazio. Nel 1946 aveva scritto un rapporto dal titolo “Vantaggi astronomici di un osservatorio extra-terrestre”. L’idea tuttavia non riuscì ad attrarre alcun finanziamento fino al 1977. Il progetto, che era iniziato con il nome di “Large Space Telescope”, si concretizzò poi nel telescopio spaziale Hubble. Il nome fu scelto in onore dell’astronomo Edwin Hubble, famoso per la sua avvenenza, per la bravura nel gioco del basket all’Università di Chicago, e per la scoperta, avvenuta nel 1929 (tramite il telescopio di Mount Wilson, vicino a Los Angeles), che ogni punto nello spazio si sta allontanando da ogni altro punto – che l’universo si sta espandendo.
Il telescopio Hubble fu infine lanciato nello spazio nell’aprile del 1990, e da quel momento cominciò a inviare sulla Terra immagini sfocate di galassie a spirale che sembravano girelle astrali con la glassa fusa. Hubble non funzionava come avrebbe dovuto. Per un errore di molatura, lo specchio era un po’ troppo piatto. Sebbene per dimensione fosse di molto inferiore allo spessore di un capello, l’errore si dimostrò gravido di conseguenze. Un po’ di ricerca si poteva comunque fare con l’Hubble zoppicante, ma si trattava di una delusione drammaticamente costosa. Erano passati solo quattro anni da quando il Challenger era esploso al decollo, e di fronte alla proposta di finanziare una missione per riparare il telescopio Hubble, il Congresso si era mostrato piuttosto tiepido, almeno inizialmente.
Nel 1993 alcuni astronauti vestiti come omini “marshmallow” scesero da una navicella nello spazio e, contro ogni pulsione narrativa per il fallimento, riuscirono a riparare il telescopio orbitante (ci vollero undici giorni, cinque passeggiate spaziali, duecento strumenti, e un po’ di improvvisazione per chiudere alcune porte deformate). Hubble iniziò a inviare sulla Terra immagini sublimi, che ci informavano sulla polvere di stelle di cui siamo fatti (se vi piace pensarla così). Con la sua capacità trasformativa, Hubble ha permesso alla NASA di recuperare l’aura sovrannaturale di prodezza scientifica. Inoltre ci ha insegnato che l’universo è notevolmente più antico di quanto avessimo pensato in precedenza; che pennacchi di vapore acqueo emergono da una luna di Giove ricoperta di ghiaccio; e che i buchi neri supermassivi esistono.

Rivka Galchen, NASA’s New Telescope Will Show Us the Infancy of the Universe, The New Yorker (9/8/2021), traduzione L.V. Nella foto (NASA) un momento della riparazione del telescopio Hubble, avvenuta nel 1993.

Dagli strattoni che sentiva sulla corda

La scoperta che i pipistrelli possono orientarsi con precisione volando nella più completa oscurità avvenne nel 1793 a opera di un ingegnoso sacerdote italiano, Lazzaro Spallanzani (1729-99). Spallanzani aveva notato più volte che i pipistrelli che entravano nella sua stanza di notte riuscivano a volare nonostante la luce fioca di una singola candela. Decise così di mettere alla prova la loro capacità di volare di notte catturandone uno e legando una corda attorno a una delle sue zampe. Spenta la candela, Spallanzani liberò l’animale e dagli strattoni che sentiva sulla corda capì che stava di nuovo volando per la stanza, del tutto indifferente, in apparenza, alla completa assenza di luce. In ulteriori esperimenti (che certamente non avrebbero soddisfatto i moderni standard etici) accecò i pipistrelli e scoprì che non solo potevano cacciare con successo, ma anche trovare la strada per tornare al campanile dove li aveva catturati.

David Barrie, Supernavigators, The Experiment (2019), traduzione L.V.

Perché una pulce di mare debba preoccuparsi della posizione della luna

Non è evidente perché una pulce di mare, una creatura tanto piccola e primitiva in apparenza, debba preoccuparsi della posizione della luna. La risposta è che le pulci di mare sono estremamente esigenti riguardo all’umidità. Se si seccano muoiono, ma se sono sommerse dall’acqua salata annegano. Hanno quindi bisogno di muoversi costantemente avanti e indietro mentre le maree salgono e scendono. Inoltre, dopo le loro spedizioni notturne in cerca di cibo, devono anche essere in grado di tornare in una bella zona di sabbia umida, trovando la strada. Naturalmente è assolutamente vitale che si muovano nella giusta direzione. La pulce di mare è la Riccioli d’oro del mondo degli artropodi.
Già negli anni Cinquanta due scienziati italiani, Leo Pardi (1915-90) e Floriano Papi (1926-2016), fecero la straordinaria scoperta che le pulci di mare usavano sia il sole sia la luna come bussole, per avvicinarsi o allontanarsi dal mare, secondo la necessità. Questa capacità sembra dipendere da due orologi biologici separati, uno calibrato sui movimenti giornalieri del sole e uno, leggermente diverso, tarato sul ciclo lunare.

David Barrie, Supernavigators, The Experiment (2019), traduzione L.V. Nella foto (viene da qui) Leo Pardi, Karl von Frisch e Floriano Papi (circa 1952).

Questo è senza precedenti

Anthony_S._Fauci,_M.D.,_NIAID_Director_(26759498706)In quale altro momento della storia americana recente saremmo stati in grado come nazione di tenere meglio sotto controllo una pandemia come questa?

Per alcuni aspetti oggi siamo meglio attrezzati, grazie ai progressi tecnologici. Vent’anni fa, per esempio, non saremmo mai stati in grado di preparare vaccini candidati pronti a entrare nella fase 3 di una sperimentazione clinica ad appena pochi mesi dalla scoperta di un nuovo virus. Questo è senza precedenti.
Ma c’è stato un tempo in cui c’era molta più fiducia nelle autorità e nel governo. È molto, molto difficile convincere il Paese a collaborare in modo davvero unito e compatto. Forse l’ultima volta che siamo riusciti a farlo è stato dopo l’11 settembre.

Jennifer Senior, I Spoke With Anthony Fauci. He Says His Inbox Isn’t Pretty, The New York Times (21/6/20), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, NIAID) Anthony Fauci.

 

L’antica scoperta del sapone

saponePotrebbe essere andata così, un po’ per caso, qualche migliaia di anni fa. Secondo una leggenda, dai frequenti sacrifici di animali la pioggia lavava via grasso e cenere che finivano in un fiume vicino, dove si formava una schiuma con una straordinaria capacità di pulire la pelle e i vestiti. O forse l’ispirazione venne dal mondo vegetale, nelle soluzioni schiumose prodotte bollendo o schiacciando alcune piante. Comunque sia avvenuta, l’antica scoperta del sapone ha modificato la storia umana. I nostri antenati non potevano ovviamente prevederlo, ma il sapone è diventato una delle difese più efficaci a nostra disposizione contro gli agenti patogeni invisibili.

Ferris Jabr, Why Soap Works, The New York Times (13/3/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un sapone.