Questa combinazione di immortalità e replicabilità

Se rimanesse un’attività di ricerca scientifica, un’A.I. mortale potrebbe portarci più vicini a una replica del nostro cervello. Ma Hinton è arrivato a pensare, con rammarico, che l’intelligenza digitale potrebbe essere più potente. Nell’intelligenza analogica, “se il cervello muore, muore anche la conoscenza”, ha detto. Nell’intelligenza digitale, invece, “se un particolare computer muore, le forze delle sue connessioni possono essere utilizzate su qualsiasi altro computer. E anche se dovessero morire tutti i computer, una volta immagazzinate da qualche parte tutte le forze delle connessioni, basterebbe creare un altro computer digitale ed eseguirle. Diecimila reti neurali possono imparare diecimila cose diverse contemporaneamente, e poi condividere ciò che hanno imparato”. Secondo Hinton, questa combinazione di immortalità e replicabilità ci dice che “dovremmo preoccuparci che l’intelligenza digitale prenda il posto dell’intelligenza biologica”.

Joshua Rothman, Why the Godfather of A.I. Fears What He’s Built, The New Yorker (20/11/2023), traduzione L.V. Nel disegno (Wikipedia) un’immagine simbolica dell’intelligenza artificiale.

Che l’argomento non fosse mai arcano

Nel 1968 il professor Mendelsohn fondava il Journal of the History of Biology.
“La biologia, in particolare, deve essere studiata nei suoi rapporti con le altre scienze e con le correnti intellettuali del suo tempo”, aveva scritto in un saggio introduttivo nel primo numero della rivista. “Può anche essere esaminata per le sue interazioni con le istituzioni della società da cui emergono i suoi risultati”.
Qualunque fosse il ramo della scienza su cui stava scrivendo o tenendo conferenze, faceva in modo che l’argomento non fosse mai arcano.
Agli studenti di dottorato diceva che avrebbero dovuto essere in grado di uscire su Harvard Square e spiegare gli argomenti delle proprie tesi alla gente per strada. In una lezione del 2013 al Dartmouth College, aveva parlato della rivoluzione scientifica del XVI e XVII secolo, della rivoluzione industriale e delle recenti rivoluzioni digitale e biologica, e aveva concluso domandandosi se i progressi non corressero il rischio di diventare così complessi che il grande pubblico non sarebbe stato in grado di capirli o di prendere decisioni informate sulle loro applicazioni – una prospettiva che non accoglieva con favore.
“Le rivoluzioni scientifiche richiedono una più sviluppata partecipazione dei cittadini, il che è difficile, perché il livello di conoscenza richiesto potrebbe essere elevato e una delle sfide è come colmare questo divario”, ha affermato.
Aveva aggiunto: “La scienza è per molti aspetti troppo importante per le nostre vite – credo che potremmo dire – per essere lasciata soltanto agli esperti”.

Neil Genzlinger, Everett Mendelsohn, Who Linked Science and Society, Dies at 91, The New York Times (15/7/2023). Nella foto (Harvard University) Everett I. Mendelsohn.

In modo che piacesse alle donne

Falloppio fu uno dei più grandi anatomisti del suo tempo e un’autorità scientifica a piuttosto improbabile sull’anatomia riproduttiva femminile. Fu il primo a descrivere accuratamente le tube che conducono dall’ovaio all’utero (le aveva chiamate “trombe uterine”). Successivamente furono denominate “tube di Falloppio” in suo onore, anche se lui non riuscì a coglierne la funzione. Falloppio aveva anche coniato il termine vagina e smentito l’idea popolare che il pene entrasse nell’utero durante il rapporto. Ma la cosa più ironica di tutte, per un membro del clero cattolico, fu che Falloppio aveva anche sviluppato il primo preservativo profilattico al mondo, come protezione contro la sifilide. Per questo aveva usato un piccolo cappuccio di lino imbevuto di una soluzione di sale ed erbe, e talvolta latte, con cui rivestire il glande del pene. L’aggeggio zuppo era tenuto in posizione da un nastro rosa, in modo che “piacesse alle donne”.

Lucy Cooke, Bitch, Penguin (2022), traduzione L.V. Nell’immagine (Wikipedia) Gabriele Falloppio in un ritratto anonimo del sedicesimo secolo.

Accanto al cibo

La parola “parassita”, come notano gli autori, deriva dal greco parásitos, che significava “accanto al cibo”; quello che però non dicono del tutto è che ha sempre comunicato un senso di disprezzo morale. Il significato biologico è infatti emerso solo nel Settecento, sulla scia della rivoluzione scientifica. Per gli antichi scrittori satirici greci e romani, il termine denotava quello che per molti di noi oggi è il significato figurato: uno scroccone, una persona che cena alla tavola di qualcun altro e a spese altrui. “Come i topi, noi mangiamo sempre il cibo degli altri”, dice uno spudorato attaccabrighe in una delle commedie di Plauto. I parassiti hanno sempre goduto, piuttosto letteralmente, di cattiva fama.

Jerome Groopman, In Praise of Parasites?, The New Yorker (12/12/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) il fungo Armillaria mellea, un parassita degli alberi.

Promosso o bocciato

A dire il vero, ho studiato attentamente solo anatomia e fisiologia; alle altre materie – patologia medica e chirurgica, terapie, igiene ecc. – ho dedicato l’attenzione strettamente necessaria a passare. A ciò aveva forse contributo un certo ministro della Gloriosa che, per devozione all’eguaglianza democratica, aveva ridotto a due i possibili risultati degli esami: promosso o bocciato. Confesso che non ho mai capito il beneficio educativo di eliminare i voti. A un’età in cui la pigrizia e la sconsideratezza trovano tante opportunità di colpire la volontà, che male c’è nello stimolare l’emulazione o addirittura la vanità? Lasciamo che avvenga il miracolo, anche se a farlo è il diavolo. Se nel cuore dello studente rimane qualche residuo di passione malsana, presto la vita baderà a eliminarla. L’importante è far crescere l’eredità scientifica acquisita e mantenere l’abitudine al lavoro.

Santiago Ramón y Cajal, Recollections of my life, traduzione dallo spagnolo all’inglese di E. Horne Craigie e Juan Cano, MIT Press (1989), traduzione L.V.

Abbassando i soffitti

Le case dei borghesi erano dense di quadri, mobili, suppellettili, libri e carte di varie età e stili, come in un’eclettica ricapitolazione degli ultimi secoli, che a loro volta ricapitolavano millenni. Sono state sostituite dagli ambienti spogli dei nuovi ricchi attuali, simili a camere chirurgiche, disinfettate da ogni tradizionale residuo – come nel Ground zero -, tanto vuote quanto identiche nel monacale stile di un lusso tecnologico sfrenato nascosto sottotraccia (abbassando i soffitti). In questa impressionante folata di oblio, scevro di cultura scientifica e umanistica e fradicio di relazioni e comunicazioni effimere, piacevoli appuntamenti e mode fuggevoli come meteoriti, ogni staffetta volta a trasmettere la fiaccola delle civiltà è stata rimossa, quasi si fosse ricominciato a vivere su una tabula rasa, nella quale il passato più che una brace è ritenuto una noiosa e boriosa lungaggine.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nella foto, la famosa scena nella cucina, in “Mon oncle” di Jacques Tati (1958).

Scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo

Primo_LeviSovente ho messo piede su ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo. C’è chi si torce le mani e lo definisce un abisso, ma non fa nulla per colmarlo; c’è anche chi si adopera per allargarlo, quasi che lo scienziato e il letterato appartenessero a due sottospecie umane diverse, reciprocamente alloglotte, destinate a ignorarsi e non interfeconde. È una schisi innaturale, non necessaria, frutto di lontani tabù e della controriforma, quando non risalga addirittura a un’interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto. Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile.

Primo Levi, citato da Giovanna Massariello Merzagora in I luoghi di Levi, Liceo Classico D’Azeglio, Torino (2008). Nella foto (Wikimedia) Primo Levi.

Se ne mangiaste una o due navi da carico

Hans RoslingOgni sei mesi c’è una «nuova scoperta scientifica« su una sostanza chimica di sintesi che è presente in bassissime quantità negli alimenti e che potrebbe uccidervi se ne mangiaste una o due navi da carico al giorno per tre anni. A questo punto, le persone molto colte fanno un’espressione preoccupata e ne discutono davanti a un bicchiere di vino rosso. Un bilancio delle vittime pari a zero non sembra avere alcun peso in tali discussioni. Il livello di paura pare dipendere unicamente dalla natura «chimica» della sostanza invisibile.

Hans Rosling, Factfulness, traduzione Roberta Zuppet, Rizzoli (2018). Nella foto (Jörgen Hildebrandt, gapminder.org) Hans Rosling.