Il ladro di uova

La mutevole storia dell’Oviraptor coglie alcuni dei cambiamenti avvenuti nella paleontologia. Nel 1923 in una spedizione nel deserto del Gobi furono scoperte alcune uova di dinosauro, che si presume appartenessero al Protoceratops, poiché nelle vicinanze c’erano molti fossili di Protoceratops. Una specie apparentemente diversa era stata trovata al di sopra un gruppo di uova ed era stata chiamata Oviraptor, ladro di uova. Sembrava una scena del crimine fossilizzata. Nel 1993 alcuni scienziati erano di nuovo alla ricerca di fossili nel Gobi quando trovarono un uovo simile, questa volta con un embrione conservato all’interno: quello di un Oviraptor. Il ladro di uova era in realtà un genitore protettivo e nidificante.

Rivka Galchen, Reinventing the Dinosaur, The New Yorker (13/11/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) la regione del deserto del Gobi, in Mongolia, dove sono stati trovati i fossili di Oviraptor.

Amore per la provvisoria

I produttori di solito organizzano delle proiezioni di prova prima che il compositore abbia terminato la partitura, e in questi casi il regista aggiunge di solito una colonna sonora segnaposto, chiamata “musica provvisoria”. Burwell ha detto di non amare questa pratica perché, una volta che i registi hanno visto una scena con la musica provvisoria, per loro diventa difficile immaginarsela in altro modo. Nel settore il fenomeno è come “amore per la provvisoria”. La musica provvisoria può anche lasciare tracce nelle colonne sonore definitive. “Mi è capitato di andare al cinema e pensare, hmm, scommetto che per questo film hanno usato la colonna sonora del Gladiatore come musica provvisoria, perché suona proprio così”, ha detto Burwell.

David Owen, The Polymath Film Composer Known as “the Third Coen Brother”, The New Yorker (14/11/22), traduzione L.V. Nella foto (Christine Sciulli) Carter Burwell ad Amagansett (2016).

Neppure il ragno è turbato

Immaginate la scena seguente: siete in una stanza con un gufo, un pipistrello, un topo, un ragno, una zanzara e un serpente a sonagli. Improvvisamente tutte le luci si spengono. Invece di tirare fuori il telefono per chiamare un disinfestatore, vi prendete un momento per riflettere sulla situazione. Il pipistrello, vi rendete conto, non ha problemi a orientarsi, dal momento che utilizza l’ecolocazione. Il gufo ha un udito così buono che è in grado di trovare il topo nell’oscurità. Lo stesso può fare il serpente a sonagli, rilevando il calore emanato dal roditore. Neppure il ragno è turbato dall’interruzione di corrente, perché percepisce il mondo attraverso le vibrazioni. La zanzara segue l’anidride carbonica che state emettendo e atterra sul vostro stinco. Cercate di cacciarla, ma poiché siete così dipendenti dalla vista la mancate, e nel mentre finite per mettere il piede sul serpente a sonagli.

Elizabeth Kolbert, The Strange and Secret Ways That Animals Perceive the World, The New Yorker (13/6/22), traduzione L.V.

Con veli che odorano di rosolio e di spezie

L’aria dell’Iran e quella dell’India sono indicibilmente diverse. E non parlo di aria in senso generico; no, sto parlando proprio di aria fisica, miscela della miscela di gas che respiriamo. In Iran è secca asciutta, frizzante, leggera, scherzosa: qui, appena scendi, l’aria ti abbraccia e ti soffoca come una zia troppo grassa affettuosa e dolciastra, con veli che odorano di rosolio e di spezie, di cucina e di tempio. Non sai proprio se restare commosso o leggermente disgustato. Poi la vasta zia India ti consola subito con un indescrivibile tramonto. In Iran il sole discende castamente oltre il filo dei monti di zaff color turchese; qui ogni tramonto è un empireo del Barozzi, un’orgia di barocco, la scena per un dramma di dèi.

Fosco Maraini in una lettera alla figlia Toni, citata in Toni Maraini, La lettera da Benares, Sellerio (2007)

Credi che Tosca portasse gli occhiali?

Non ricordo se sia stata quella sera che mi ha raccontato della sua miopia, di come, prima di uscire in proscenio per cantare, andasse, col sipario chiuso, a toccare tutti gli oggetti di scena per essere sicura di potersi muovere senza sbattere contro spigoli inattesi.
«Non potevi portare gli occhiali?» le ho ribattuto, da stupida.
E lei si è messa a ridere.
«Credi che Tosca portasse gli occhiali; o che Norma avesse le lenti sul naso?».
Mi sono messa a ridere anch’io.
«E che è successo» ho insistito perché avevo capito che dietro quella storia c’era un episodio preciso. Infatti mi ha raccontato che una volta, senza avvertirla, all’ultimo momento, lo scenografo aveva ideato un laghetto artificiale in mezzo alla scena. Lei è uscita con le sue lunghe e pesanti gonne da regina egiziana e, non sapendo del laghetto, ci era entrata dentro con tutto il suo costume che si è infradiciato.
«Ho sentito il freddo alle caviglie e ho capito che stavo nell’acqua» ha detto ridendo, «ma non potevo tornare indietro, così ho fatto finta di niente e ho continuato a cantare con l’acqua che mi infradiciava i vestiti».
Si vergognava non poco della sua miopia ma aveva imparato a conviverci. Mi ha anche raccontato che in realtà, quand’era in scena, non vedeva il direttore d’orchestra.
«E come facevi a seguire la musica?».
«Andavo a orecchio e ti posso assicurare che non ho mai sbagliato una entrata».

Dacia Maraini, Caro Pier Paolo, Neri Pozza (2022). Nella foto (Wikipedia) Maria Callas.

Così mi sono legato alle pietre che non ingannano

L’abisso archeologico è certamente buio ma anche perfettamente stabile, sicuro sotto i nostri piedi, perché i morti mai deludono o tradiscono dato che molto già sai di loro – come un profeta all’incontrario – e devi solamente completare dizione, scena, mobilio e costume; insomma i morti sono già dati, devi solo cercarli e se ne hai bisogno rimangono fedeli: non possono abbandonarti o farti del male. Così mi sono legato alle pietre che non ingannano.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021)

Un pastore che contava un gregge di professori

Mi raccontò che erano ottanta, nella celletta angusta della prigione di Erevan, tutta gente istruita – docenti universitari, vecchi rivoluzionari, scultori, architetti, attori, medici famosi – e mi raccontò di quanto fossero lunghi e tormentosi gli appelli, con le guardie che perdevano il conto ogni volta e dovevano ricominciare. Un giorno una guardia era entrata insieme a un vecchio arcigno che dopo aver squadrato velocemente l’accozzaglia umana sui pancacci e sul pavimento se n’era andato. La stessa scena si sarebbe ripetuta quotidianamente. Scoprirono poi che il vecchio era un pastore. L’amministrazione del carcere utilizzava la sua straordinaria capacità di contare all’istante greggi di centinaia, migliaia di pecore per controllare i detenuti. Era buffo: un pastore che contava un gregge di professori, scrittori, medici e attori.

Vasilij Grossman, Il bene sia con voi!, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi (2014)

Mi ha sempre tenuto in guardia

La pratica delle scienze mediche, ne sono convinto, ha avuto un profondo influsso sulla mia attività letteraria, ha notevolmente allargato il campo delle mie osservazioni, mi ha arricchito di cognizioni il cui vero pregio può comprendere solo chi è medico a sua volta… Nell’arte, le convenzioni non permettono sempre una piena adesione ai dati scientifici: non si può descrivere o rappresentare sulla scena una morte per veleno così com’essa avviene realmente. Ma l’adesione ai dati scientifici deve farsi sentire, cioè bisogna che il lettore o lo spettatore capiscano che lo scrittore, al di là delle convenzioni alle quali è obbligato, ha una reale competenza in materia. La conoscenza delle scienze naturali, del metodo scientifico, mi ha sempre tenuto in guardia, e ho cercato, ove possibile, di conformarmi ai dati scientifici e, dove impossibile, di non scrivere affatto.

Anton Čechov citato da Fausto Malcovati in Il medico, la moglie, l’amante, Marco y Marcos (2015), nella collana “Il mondo è pieno di gente strana” a cura di Paolo Nori.

Ho seguito il robot

Stavo aspettando insieme al robot, e intanto osservavo i dormitori silenziosi. Infine sono apparsi tre studenti, che si sono avvicinati da direzioni diverse, mascherati e con in mano i cellulari. Ognuno di loro ha inserito un codice su uno schermo touch sul retro del robot, e uno scomparto si è aperto, mostrando un pacchetto all’interno.
Una dei tre studenti mi ha detto di aver ordinato il suo pacco tramite Taobao, il più grande sito di e-commerce cinese, di proprietà del gruppo Alibaba. Prima dell’epidemia gli studenti recuperavano i pacchi in un deposito del campus gestito da Cainiao, un’altra società di proprietà quasi esclusiva di Alibaba, ma adesso anche il robot effettuava le consegne. La studentessa mi ha detto che la macchina le aveva telefonato e le aveva mandato un messaggio mentre si stava avvicinava al suo dormitorio.
Ho seguito il robot per la mezz’ora successiva, supponendo che alla fine mi avrebbe condotto dal suo padrone. Ogni volta che con la bici mi avvicinavo troppo, suonava un clacson; se gli sterzavo davanti, il robot si fermava. Quando ho provato a gridare, non ho ricevuto risposta. A intervalli regolari la macchina accostava – “Daoda zhandian! ” [NdT In arrivo alla fermata!] – e alcuni studenti mascherati apparivano, stringendo in mano i telefoni e dirigendosi verso di me. La scena nel campus silenzioso sembrava un po’ un film dell’orrore: “I ragazzi del corona”.
Alla fine il robot ha parcheggiato davanti a un deposito Cainiao in un angolo remoto del campus. Un addetto con una giacca blu è uscito e ha iniziato a caricarlo di pacchi. Mi ha detto: “Adesso di questi ne abbiamo tre”. Mi ha spiegato che poiché i lavoratori di Cainiao tornavano ogni sera nelle loro case fuori dal campus, i robot erano un modo per ridurre le interazioni con gli studenti.

Peter Hessler, How China Controlled the Coronavirus, The New Yorker (17/8/2020), traduzione L.V.

Messe lì dall’impresario del sogno

downloadEro seduto su una cassa o qualcosa di simile, e mia madre era anche lei nella stanza, e c’erano altre due persone che bevevano il tè, sedute con noi allo stesso tavolo – un mio collega d’ufficio e sua moglie, due facce che Sebastian non aveva mai visto e che erano state messe lì dall’impresario del sogno – un po’ a caso, tanto per riempire la scena.

Vladimir Nabokov, La vera vita di Sebastian Knight, traduzione di Germana Cantoni De Rossi, Adelphi (1992)