La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

Un miliardo di persone potrebbe essere in movimento

Una delle tante ingiustizie che aggravano i cambiamenti climatici è che i costi più alti saranno sostenuti da coloro che hanno contribuito meno al problema. Diverse nazioni insulari poco elevate, tra cui Tuvalu e Kiribati, sono destinate semplicemente a scomparire. In Bangladesh ogni giorno arrivano nella capitale Dhaka circa duemila persone, molte spinte dalle tempeste o dall’innalzamento del livello del mare che hanno reso difficile la vita nei villaggi. In Pakistan, la scorsa estate, le inondazioni causate da piogge monsoniche sovraccariche hanno ucciso un migliaio di persone e ne hanno costrette altre seicentomila in campi di accoglienza.
Nel 2016 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stimava che, a livello globale, 21 milioni di persone sarebbero state mediamente sfollate ogni anno a causa di eventi meteorologici. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite ha previsto che entro il 2050 un miliardo di persone potrebbe essere in movimento. Nei prossimi decenni “enormi masse di popolazione dovranno cercare nuove case”, ha scritto Gaia Vince, una giornalista britannica. E voi o “sarete tra questi, o tra quelli che li accoglieranno”.

Elizabeth Kolbert, Climate change from A to Z, The New Yorker (28/11/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wondering Gaia) Gaia Vince.