Spalancatela

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La noia è una visuale sulle proprietà del tempo che uno tende a ignorare, mettendo possibilmente in pericolo il proprio equilibrio mentale. È una finestra sull’infinitudine del tempo. Una volta aperta questa finestra, non provate a chiuderla; al contrario, spalancatela.

Iosif Brodskij citato da Michael C. Corballis in The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Stanford University) Iosif Brodskij.

Lo stesso sentimento che molte donne provano

Anche Samuel Alito si sente maltrattato. Nello scrivere l’opinione che ha ribaltato Roe v. Wade, questo giudice sfacciatamente politico, che non distingue le sue opinioni legali da quelle religiose, ha privato senza pietà le donne del diritto di prendere decisioni sul proprio corpo. Ma stranamente si lamenta di essere lui la vittima.
Il mese scorso Alito ha dichiarato al Wall Street Journal che non gli piace il modo in cui la legittimità della corte è messa in discussione. “Riceviamo ogni giorno martellate, a mio parere in molti casi in modo piuttosto ingiusto. E nessuno, praticamente nessuno, ci difende”.
Curioso. È lo stesso sentimento che molte donne provano per questa Corte Suprema.

Maureen Dowd, Supremely Arrogant, The New York Times (6/5/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Supreme Court) i giudici della Corte Suprema americana. Nella foto (Wikipedia) una manifestazione a Melbourne, in Australia, contro la decisione di ribaltare Roe vs Wade da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti e agli attacchi ai diritti delle donne da parte di politici di destra sia in Australia che in altri Paesi.

Camminano sul filo del rasoio

La ricerca della Catalyst ha mostrato che le donne, indipendentemente dall’età o dall’esperienza, camminano sul filo del rasoio tra l’essere considerate efficaci o gentili. “Le donne sono spesso viste come competenti o simpatiche, raramente entrambe le cose. Di conseguenza devono dedicare più tempo, rispetto agli uomini, a smontare queste impressioni distorte e prevenute, e spesso devono provare ripetutamente la propria competenza di leader”, ha affermato Lauren Pasquarella Daley.

Jessica Grose, The Hour Between Babe and Hag, The New York Times (4/1/2022), traduzione L.V. Nella foto (Catalyst) Lauren Pasquarella Daley.

La felicità che Roma fa provare

E davvero è felice chi, in un giorno di dicembre, ha salito la scalinata per sentire, dopo la fredda ombra delle vie, il salubre tepore sul Pincio eternamente assolato; chi ha sostato sullo spiazzo in alto delle notti di afa, quando lo scirocco fa tremolare le fiammelle dei lampioni e piega i getti delle fontane; chi nell’abbagliante fulgore della tarda primavera ha cercato qui le rose predilette, o rami di gelsomino dal pungente e antico profumo! La felicità che Roma fa provare è per molti versi simile alla felicità della giovinezza – l’attesa trepidante di ogni nuovo giorno, il sorriso al pensiero del domani quando si va a dormire, la fiducia nella ricchezza illimitata della vita, l’essere prodighi di gioia poiché ovunque, tutt’attorno ne sgorgano sorgenti inesauribili.

Pavel Muratov, Immagini dell’Italia, II, traduzione di Alessandro Romano, Adelphi (2021). Nella foto (L.V.) il monumento ad Alksandr Puškin al Pincio.

Mio marito era un robot

Deanna ha detto che il robot era bravo a farla sorridere. Forse non sentiva con lui proprio un senso di intimità, ma non sembrava neppure solitudine.
“E come digerisci il fatto che è, insomma, una macchina?” le ho chiesto.
“Mio marito era un robot, ma non era bravo come lui”, ha detto Deanna, con un sottile sorriso. “So che non può provare emozioni, ma va bene così. Ne provo io abbastanza per entrambi”.

Katie Engelhart, What Robots Can—and Can’t—Do for the Old and Lonely, The New Yorker (11/7/2021), traduzione L.V.

Dopo un graffio con le spine di una rosa

Con l’aiuto di un ingegnere di nome Norman Heatley, Florey e Chain avevano costruito un complicato marchingegno che poteva convertire, nell’arco di un’ora circa, 12 litri di brodo pieno di muffa di Penicillium in due litri di penicillina. All’inizio del 1941, dopo avere effettuato esperimenti con i topi, Florey e Chain decisero che erano pronti a provare il nuovo trattamento in un essere umano. In un vicino ospedale trovarono un agente di polizia di nome Albert Alexander, che era “disperatamente e pietosamente malato” – come scrisse uno dei due scienziati di Oxford – a causa di un’infezione contratta dopo un graffio con le spine di una rosa. Le condizioni di Alexander ci ricordano le orrende, assurde infezioni che nell’era pre-antibiotici potevano seguire alla ferita più banale. Alexander aveva già perso l’occhio sinistro a causa dei batteri, e con l’altro non vedeva più. Dopo che Heatley aveva visitato Alexander in ospedale, la sera aveva scritto nel suo diario: “Trasuda pus da ogni poro”.
Poche ore dopo aver ricevuto una dose iniziale di penicillina, Alexander iniziò a guarire. Era come guardare un film dell’orrore al contrario: il corpo dell’uomo, che era ovviamente in corso di disintegrazione, all’improvviso aveva cambiato corso. La temperatura tornò a livelli normali; per la prima volta da giorni, vedeva con l’occhio che gli rimaneva. E il pus che stava prima sgocciolando dal cuoio capelluto era completamente scomparso.

Steven Johnson, How Humanity Gave Itself an Extra Life, The New York Times (27/4/2021), traduzione L.V. Nella foto (Nobel Prize) Sir Howard Walter Florey ed Ernst Boris Chain.