No, non eravamo brava gente

Come si diceva, di una legge simile si parlava da tempo e se ne coglievano i segnali neppure troppo nascosti, ma aveva finito per prevalere nella maggioranza della popolazione una sorta di indifferenza: lui, inteso come Mussolini – era il pensiero accomodante diffuso tra i piú -, non farà come Hitler, il dittatore nazista che nel 1935 aveva fatto varare le leggi di Norimberga per la discriminazione dei cittadini ebrei nati e residenti in Germania, in fondo noi italiani siamo brava gente. Speranza vana, ma soprattutto mal riposta.
No, non eravamo brava gente e già nell’estate del 1938, soltanto pochi mesi prima, in Italia era cominciata la pubblicazione de La difesa della razza, giornale che anticipava ciò che stava per accadere. Proprio dalle pagine di quella rivista, il Manifesto degli scienziati razzisti detta la nuova linea al Paese, una linea gradita al regime e ai suoi alleati tedeschi: «È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. […] La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana».

Ugo Savoia, Dalla parte giusta, Neri Pozza (2023)

La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

E la brutalità irrompe

Jaron Lanier ha condiviso la sua filosofia secondo cui, nella storia, quando la politica, la cultura e la tecnologia diventano troppo teoriche e sofisticate, tendono a perdere il loro potere e la brutalità irrompe.
“I bolscevichi avevano questa retorica tremendamente sofisticata e fantasiosa e tutte queste idee complicate”, ha detto Lanier. “Stavano costruendo la propria economia sociale. Poi, in pratica, è successo che è arrivato Stalin e ha detto: ‘No, in realtà si tratta soltanto di dominazione e violenza, al diavolo tutto il resto'”.
“Penso che l’attuale ondata di populismo abbia queste caratteristiche”, ha aggiunto Lanier. “Le gradazioni sempre più fini di pensiero su ogni tipo di problema, dal genere all’intersezionalità, da questa a quella teoria, sono così sofisticate che richiedono molta pazienza. Sono teorie troppo endogamiche per essere forti. Così entrano nel gioco queste cose molto rozze”.
“Si discute in modo sempre più sofisticato di come fare il blockchain, i token non fungibili, le criptovalute, con contratti integrati negli algoritmi. Personalmente sono convinto che questo approccio troppo complesso alla tecnologia vada nella stessa direzione di culture o politiche che diventano troppo sofisticate e piene di sé.
“Fondamentalmente i russi sono arrivati e hanno detto: ‘Fanculo tutte le vostre idee. Ora ci prendiamo brutalmente questa roba e la usiamo per il potere’. Gli agenti di Putin che si occupano di psicologia hanno esaminato tutto ciò che facciamo sui social media e hanno detto: ‘Ci entriamo e usiamo ciò che troviamo per indebolirvi. Le idee non ci interessano'”.
“Penso che gli ideali siano grandiosi, ma cosa succede quando gli idealisti si lasciano prendere troppo da sé e dal proprio desiderio di diventare ancora più sofisticati al fine di perfezionare i propri progetti? Penso che poi si ritorni alla brutalità”.
Al telefono Lanier ha offerto però una nota di ottimismo su Trump, Putin e i loro simili: “Una delle grandi verità della storia è che anche i grandi ingannatori si ingannano”.

Jaron Lanier intervistato da Maureen Dowd in Kim and Pete, or Vladimir and Volodymyr?, The New York Times (9/4/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Jaron Lanier.

La felicità che Roma fa provare

E davvero è felice chi, in un giorno di dicembre, ha salito la scalinata per sentire, dopo la fredda ombra delle vie, il salubre tepore sul Pincio eternamente assolato; chi ha sostato sullo spiazzo in alto delle notti di afa, quando lo scirocco fa tremolare le fiammelle dei lampioni e piega i getti delle fontane; chi nell’abbagliante fulgore della tarda primavera ha cercato qui le rose predilette, o rami di gelsomino dal pungente e antico profumo! La felicità che Roma fa provare è per molti versi simile alla felicità della giovinezza – l’attesa trepidante di ogni nuovo giorno, il sorriso al pensiero del domani quando si va a dormire, la fiducia nella ricchezza illimitata della vita, l’essere prodighi di gioia poiché ovunque, tutt’attorno ne sgorgano sorgenti inesauribili.

Pavel Muratov, Immagini dell’Italia, II, traduzione di Alessandro Romano, Adelphi (2021). Nella foto (L.V.) il monumento ad Alksandr Puškin al Pincio.

E quali sarebbero i miei difetti?

«Ljuba, perché non mi ami?», domandai.
«Perché sei un verme, sei vile, non hai spina dorsale, non hai fegato.»
«E poi?»
«Perché sei insulso, non hai testa, non hai carattere, non hai sensibilità.»
«E poi?»
«Non sai amare, non hai cuore.»
«E poi?»
«Hai un pene minuscolo.»
«Nient’altro?»
«Sì, Visko. Non hai mai un pensiero per me, sei un egoista, un parassita, sai solo prendere, vivi a mie spese, non hai un’attività, degli interessi, mi stai prosciugando, mi irriti in continuazione. Quando la smetterai di tormentarmi?»
Fu percorsa da un brivido di ribrezzo e schifo che la scosse in tutto il corpo, poi da un altro e da un altro ancora.
Mi ancorai per bene con la ventosa al muco delle sue budella per far passare la sfuriata, ripulii la proboscide dal sangue e domandai:
«E quali sarebbero i miei difetti

Alessandro Boffa, Sei una bestia, Viskovitz, Quodlibet (2021)

Aveva l’abitudine di togliersi la parrucca e di lanciarla

«Ha una mente straordinaria» scrisse Caterina a Voltaire a proposito di Diderot. «Non si incontra certo tutti i giorni una persona di tal fatta». In effetti, il filosofo francese era straordinario sotto diversi aspetti. Era un uomo appassionato e talvolta veniva assalito da una sorta di frenesia dialettica. Quando si lasciava trasportare da un pensiero, parlava con voce sempre più alta e sempre più velocemente finché, alzatosi dalla sedia, cominciava a misurare a grandi passi la stanza, agitando le braccia e gridando. Aveva l’abitudine di togliersi la parrucca e di lanciarla. In quei casi, Caterina la recuperava e gliela porgeva; allora egli la ringraziava e si infilava in tasca quell’indesiderato posticcio di peli di cavallo incipriati.

Carolly Erickson, La grande Caterina, Mondadori (1995)

Aggiungere qualcosa all’esperienza

Nessuna equazione può tradurre esattamente un evento, quale esso sia. Essa idealizza necessariamente e va al di là dell’esperienza. Il fatto che ciò sia inevitabile deriva dal processo stesso del nostro pensiero, che consiste nell’aggiungere qualcosa all’esperienza e nel formulare un’immagine mentale. La fenomenologia non dovrebbe dunque vantarsi di non superare l’esperienza ma al contrario incitarci a farlo quanto più possibile.

Ludwig Boltzmann citato da citato da Giuseppe Mussardo in L’alfabeto della scienza, Dedalo (2020).

A Wuhan il governo aveva inviato 1800 squadre di epidemiologi

2020_03_30A Wuhan il governo aveva inviato 1800 squadre di epidemiologi, ciascuna composta da almeno cinque persone, per tracciare i contatti dei cittadini infetti. Il rapporto dell’OMS ha osservato che lo sforzo di contenimento era stato possibile grazie al “profondo impegno del popolo cinese nell’azione collettiva”. A livello individuale, tuttavia, le persone a volte hanno espresso qualche riserva. Durante uno dei miei scambi con Zhang, il farmacista di Wuhan, ho menzionato che la maggior parte delle persone che conoscevo erano favorevole. Mi ha risposto: “Tutti brontolano molto, ma tutti obbediscono rigorosamente alle regole. È piuttosto contraddittorio, ma è la Cina. Le nostre tradizioni culturali dettano il nostro pensiero. Useremo la parola ‘vittoria’ per descrivere la fine dell’epidemia, anche se personalmente non mi piace questa descrizione”.

Peter Hessler, Life on Lockdown in China, The New Yorker, traduzione L.V. (30/3/2020)

Possiamo più o meno indovinare a cosa stai pensando

2019_12_02I sistemi operativi Android sono comunemente dotati di un giroscopio, un accelerometro e un rilevatore di campo magnetico; i loro sensori possono calcolare la frequenza cardiaca e contare i passi. Questo flusso costante di informazioni consente al telefono di monitorare se stai dormendo o sei sveglio; se stai guidando, camminando, facendo jogging o andando in bicicletta; se sei nello Starbucks al piano terra o nell’ufficio dell’avvocato al decimo. Peter Lord, di Oracle, ha fatto una presentazione simile a una TED, che includeva citazioni inquietanti di Eric Schmidt, l’ex presidente di Google: “Possiamo più o meno indovinare a cosa stai pensando”.

Brian Barth, Big Tech’s Big Defector, The New Yorker (2/12/19), traduzione L.V.

Come monete nella propria fessura

9780907871620-ukFu solo a partire dall’inverno del 1896, quando avevo ormai compiuto 22 anni, che il desiderio di imparare si impadronì di me. Avevo sete di conoscenza, anche la più vaga, in molte e vaste sfere del pensiero. Stavo collezionando un ampio vocabolario, mi piacevano molto le parole e godevo quando le più adatte andavano al loro posto, come monete nella propria fessura.

Winston Churchill, My Early Life, Eland (2000), traduzione L.V.