Illusione di validità

Daniel Kahneman era nato il 5 marzo 1934 da una famiglia di ebrei lituani emigrati in Francia all’inizio degli anni Venti. Dopo che la Francia era finita sotto il dominio della Germania nazista, durante la Seconda guerra mondiale, Daniel, come altri ebrei, era stato costretto a indossare una stella di Davide sopra i suoi vestiti. Suo padre, capo ricercatore di una fabbrica chimica, fu catturato e internato in una stazione di transito prima della deportazione verso un campo di sterminio, ma venne poi rilasciato in circostanze misteriose. La famiglia fuggì prima in Costa Azzurra e poi nella Francia centrale, dove sono vissuti in un pollaio convertito in rifugio. Il padre di Daniel morì poco prima del D-Day, nel giugno 1944, e Daniel, allora studente di terza media, e sua sorella Ruth, finirono con la madre Rachel nella Palestina controllata dagli inglesi (Daniel era nato a Tel Aviv durante una lunga visita di sua madre presso alcuni parenti).
Si era quindi laureato in psicologia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, completando gli studi universitari in due anni. Nel 1954, dopo la fondazione dello Stato di Israele, fu arruolato nelle forze di difesa israeliane come sottotenente.
Dopo un anno come capo plotone, fu trasferito nel ramo di psicologia, dove gli furono affidati incarichi occasionali per valutare i candidati al corso di addestramento ufficiali.
Tuttavia, la capacità dell’unità di prevedere le prestazioni era talmente scarsa che egli coniò l’espressione “illusione di validità”, intendendo con ciò un pregiudizio cognitivo per cui si mostra eccessiva fiducia nell’accuratezza dei propri giudizi. Due decenni più tardi quell’“illusione” divenne uno degli elementi più frequentemente citati nella letteratura scientifica in psicologia.

Robert D. Hershey Jr., Daniel Kahneman, Who Plumbed the Psychology of Economics, Dies at 90, The New York Times (27/3/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Daniel Kahneman.

La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

È per me difficile osservare

Vengo da una famiglia che si attiene ai precetti cattolici sull’aborto e rispetto le opinioni dei miei parenti. Ma è per me difficile osservare la chiesa che cerca di controllare la sessualità delle donne, dopo che un numero scioccante dei suoi stessi sacerdoti ha molestato sessualmente bambini e adolescenti per decenni ed è stato poi riciclato in altre parrocchie, mentre la chiesa stessa ha coperto completamente lo scandalo. È anche difficile osservare la chiesa esprimere la propria posizione contro l’aborto nel quadro del prendersi cura delle donne, mentre continua a mantenere le donne in ruoli subalterni all’interno della chiesa stessa.

Maureen Dowd, Too Much Church in the State, The New York Times (14/5/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Maureen Dowd.

Senza fissa dimora

Filippo sarà pure stato imparentato con metà delle teste coronate d’Europa, ma la sua famiglia era stata spedita in esilio e lui era il principe di nessun luogo, senza un soldo.
Fin dall’infanzia il trilingue Filippo aveva rimbalzato da uno all’altro dei suoi parenti europei. Mentre era a Gordonstoun, lo spartano collegio scozzese dove era stato spedito, non aveva idea di dove avrebbe trascorso le vacanze scolastiche. Firmava il libro degli ospiti delle case di campagna dove era invitato con “senza fissa dimora”.

Tina Brown, Prince Philip, the Man Who Walked Two Paces Behind the Queen, The New York Times (9/4/2021), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Mon Repos, la casa natale di Filippo a Corfù.

In conseguenza di uno sfortunato errore

CHT234668Il paziente ammesso era orologiaio. La sua perdita della ragione era segnata da una caratteristica molto sorprendente: immaginava di aver perso la testa sul patibolo, che essa fosse stata gettata indiscriminatamente in mezzo alle teste di molte altre vittime, che i giudici, dopo essersi pentiti della condanna crudele, avessero ordinato che quelle teste venissero restituite ai rispettivi proprietari e posate sulle loro rispettive spalle. Ma in conseguenza di uno sfortunato errore, l’uomo incaricato di gestire la faccenda aveva messo sulle sue spalle la testa di uno dei suoi compagni di sventura. L’idea di questo cambio di testa occupava i suoi pensieri notte e giorno, al punto che i suoi parenti decisero di spedirlo all’Hôtel-Dieu. Da lì fu trasferito nel manicomio di Bicêtre. Nulla poteva eguagliare le sue esplosioni, estroverse e chiassose, di umorismo gioviale. Parlava, urlava, ballava, e poiché nella sua follia maniacale non vi era alcun atto di violenza, gli fu permesso di girare liberamente per l’ospedale, al fine di sfogare la sua effervescenza tumultuosa. “Guarda questi denti”, gridava, “i miei erano belli, ma questi sono marci. La mia bocca era sana, questa è malata. Che differenza tra questi capelli e i miei, prima che mi cambiassero la testa”.

Philippe Pinel, citato in A History of Delusions – Napoleon and ‘Delusions of Grandeur’, a cura di Daniel Freeman, BBC 4 (16/8/19), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Bridgeman Art LibraryAnna Mérimée, Ritratto di Philippe Pinel (prima del 1826).