Il suono più forte della storia moderna

Molti libri sui rumori menzionano il vulcano indonesiano Krakatoa che, nell’agosto del 1883, emise quello che viene comunemente considerato il suono più forte della storia moderna. L’eruzione fu udibile fino a quasi cinquemila chilometri di distanza. Il capitano di una nave britannica, che si trovava a circa quaranta miglia da lì, aveva scritto: “Le esplosioni sono così violente, che i timpani di oltre metà del mio equipaggio si sono rotti. I miei ultimi pensieri sono per la mia cara moglie. Sono convinto che il Giorno del Giudizio sia arrivato”.

Alex Ross, What Is Noise?, The New Yorker (22-29/4/2024), traduzione L.V. Nella foto (Biblioteche dell’Università di Leida) l’eruzione del vulcano di Krakatoa nel 1883.

La morte di ogni citazione spontanea

È già da molto tempo che le redazioni si sono, ovviamente, ridotte fino a quasi scomparire, a causa dei cambiamenti economici e della rivoluzione digitale.
In questo momento sto cercando la prova della loro esistenza in un’inquietante nave fantasma. Di tanto in tanto sento dei giornalisti che al telefono stanno adulando o incitando una fonte riluttante, ma anche questo avviene in sordina perché molti dei giornalisti più giovani preferiscono comunicare con le fonti tramite email o messaggi di testo.
“Un problema di questo approccio”, ha detto Jane Mayer del New Yorker, che aveva iniziato con me a The Star, “è che se intervisti le persone per iscritto, hanno il tempo di considerare e modificare le loro risposte alle tue domande, il che significa la morte di ogni citazione spontanea, inaspettata, sconsiderata e divertente”.

Maureen Dowd, Requiem for the Newsroom, The New York Times (29/4/2023). Nella foto (Wikipedia, Larry Moore) Jane Meyer.

Dopodiché le definizioni sono dibattute

Una grande nave è una magione galleggiante, con una gerarchia scritta direttamente nella terminologia. Se ha un equipaggio che lavora a bordo è uno yacht. Se supera i 30 metri è un superyacht. Dopodiché le definizioni sono dibattute, ma la gente generalmente concorda sul fatto che qualunque cosa più lunga di 70 metri è un megayacht e oltre i 90 è un gigayacht. Il mondo contiene all’incirca 5400 superyacht e un centinaio di gigayacht.

Evan Osnos, The Haves and the Have-Yachts, The New Yorker (25/7/22), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) il gigayacht Azzam, lungo oltre 180 m.

Mulini a vento!

Amangassett, 9 ottobre 1976

[…] A Rodi sono stato nel ’35 quando era ancora colonia italiana. Carabinieri e fascisti nel porto. Caffè pieni di ufficiali. Sono stato lì un giorno mentre la nave Campidoglio (Genova, Livorno, Napoli, Catania, Messina, Pireo, Rodi, Costantinopoli, Burgas, Costanza) caricava. Ricordo specialmente mulini a vento! Come farfalle bianche. Arrivato a Bucarest malato (forse paratifo) causa dolci turchi.

Saul Steinberg, Lettere a Aldo Buzzi 1945-1999 a cura del destinatario, Adelphi (2002). Nella foto (viene da qui) una cartolina di Rodi (1921).

Eppure ricominciò tutto da capo

La cosa che mi interessa davvero di Wallace è che, a differenza di Darwin, è un uomo che si è fatto totalmente da solo. Non aveva una grande fortuna, non aveva ricevuto un’istruzione particolarmente buona, eppure ha fatto quello che ha fatto. Quando partì per l’Amazzonia, la sua idea era di finanziare le proprie ricerche vendendo gli esemplari che avrebbe raccolto. Ma ciò che gli accadde sulla via del ritorno avrebbe annientato chiunque. La sua nave prese fuoco mentre stavano navigando verso l’Inghilterra, e lui perse tutto. Dovette abbandonare tutti i suoi esemplari prima di salire su una scialuppa di salvataggio. Il lavoro di una vita era andato in fumo e anche lui era quasi morto prima di poter essere salvato. Eppure ricominciò tutto da capo, viaggiando per anni attraverso le foreste pluviali del Sud-est asiatico.

Jason Chapoman citato da David Barrie in Supernavigators, The Experiment (2019), traduzione L.V. Nella foto (BHL, George Beccaloni) Alfred Russel Wallace nel 1869.

Da qui si può scappare solo sulla luna

E la terza città della mia biografia è diventata New York.
New York è un camaleonte. Il grande sorriso sulla sua faccia si tramuta facilmente in una smorfia di biasimo. New York è serenamente affabile e mortalmente pericolosa. Munificamente generosa e morbosamente avara. È pronta a coprirti d’oro, ma è capace di ridurti sul lastrico senza un attimo d’indugio.
La sua architettura ricorda un mucchio di giocattoli. È talmente spaventosa da raggiungere una sua particolare armonia.
La sua estetica ha la tonalità di una catastrofe ferroviaria. È una sfida alle leggi della geometria scolastica. Irride la gravità terrestre. Richiama alla memoria le tele dei cubisti di terz’ordine.
New York è reale. Non incute alcun fremito museale. È stata create per vivere, per lavorare, per divertirsi e per morire.
Qui non ci sono monumenti storici. Il presente, il passato e il futuro sono attaccati allo stesso cavallo.
Se scoppiasse una rivoluzione non ci sarebbe nulla da assaltare.
Qui non si ha la percezione dello spazio. Si ha la percezione di una nave su cui sono stipati milioni di passeggeri. È una città così variegata che capisci che qui c’è un angolino anche per te.
Penso che New York sarà la mia ultima città, quella decisiva e definitiva.
Da qui si può scappare solo sulla luna.

Sergej Dovlatov, Il giornale invisibile, a cura di Laura Salmon, Sellerio (2009). Nella foto (viene da qui) Sergej Dovlatov a New York.

E si sedevano attorno alla radio con una tazza di tè

Stanley,_Falkland_IslandsPer molto tempo gli abitanti [delle Falklands] potevano sapere solo raramente quando qualcuno sarebbe arrivato, perché a Camp non c’erano telefoni e la posta era distribuita una volta al mese. Quando la nave postale portava lettere per una delle isole esterne, qualcuno sulle isole principali accendeva dei fuochi per far sapere alla gente da dove provenivano: un fuoco per le Falklands, due fuochi per l’Inghilterra. Successivamente, quando a Stanley arrivava posta diretta a un’isola esterna, era smistata in sacchi che venivano poi lanciati sull’isola stessa dal portellone di un aereo. Nel 1950 il governo istituì un servizio radio-telefonico che collegava quaranta fattorie; lo svantaggio e il fascino di questo sistema era che le persone potevano sentire le chiamate degli uni e degli altri. Ogni mattina alle dieci, un dottore a Stanley teneva consulti a distanza tramite il radio-telefono, e tutti interrompevano ciò che stavano facendo e si sedevano attorno alla radio con una tazza di tè per ascoltare gli isolani descrivere i loro dolori, le loro tossi, i loro problemi ginecologici e intestinali.

Larissa MacFarquhar, How Prosperity Transformed the Falklands, The New Yorker (6-13/7/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Stanley, isole Falklands.

Una metafora in movimento

AN00168811_001_lMentre si muoveva sul tavolo, questo piccolo galeone suonava della  musica che, dalle parti del meccanismo che sono rimaste, possiamo ricostruire abbastanza bene. Cosa avranno pensato all’epoca gli ospiti a una cena nel Sud della Germania, guardando questo divertente e sorprendente oggetto in azione? Ovviamente avranno ammirato lo splendore dell’orologio dentro questo questo automa giocoso, ma saranno stati anche pienamente consapevoli che si trattava di una metafora in movimento, un simbolo della nave dello Stato. Questa idea dello Stato come nave e dei suoi sovrani come timonieri o capitani è molto antica nella cultura europea. È spesso usata da Cicerone e in effetti la parola “governatore” deriva dal “gubernator” latino. Ancora più affascinante per il tema di questo programma è il fatto che la radice greca di “gubernator” è “kybernetes”, che è anche l’origine della parola cibernetica. Così le nozioni di governo, comando e robotica sono tutte presenti insieme nella lingua e in questo galeone.

The mechanical galleon, A History of the World in 100 Object, Producer: Anthony Denselow, BBC 4 (20/9/2010), traduzione L.V. Nella foto (British Museum) il galeone meccanico.

 

A morte per il terzo

IMG_4623Grandi quantità di legname erano richieste per costruire navi da guerra. Per una nave come la Vasa servivano all’incirca mille querce. Il taglio delle foreste era strettamente regolamentato. Nel 1608 fu approvata una legge che stabiliva che “chi abbatte una quercia deve essere condannato a una multa di quaranta marchi per il primo reato, di ottanta marchi per il secondo e a morte per il terzo”.

Museo Vasa, Stoccolma (agosto 2019), traduzione L.V, foto M.V.

 

 

Trasportava un carico di frutta secca

db0f5cc7249a59de6e8f1239ae2a7bf8_w240_h_mw_mh_cs_cx_cySul mare liscio come l’olio della baia di Sebastopoli, sotto il fuoco disordinato delle mitragliatrici piazzate sulla riva (le truppe bolsceviche avevano appena conquistato il porto), salpai con la famiglia alla volta di Costantinopoli e del Pireo, su una nave greca piccola e malmessa, la Nadežda (Speranza), che trasportava un carico di frutta secca.

Vladimir Nabokov, Parla, ricordo, traduzione di Guido Ragni, a cura di Anna Raffetto, Adelphi (2010)