La storia dell’automazione delle centrali telefoniche – un’invenzione nata per pura ripicca – ha inizio in un’agenzia di pompe funebri. Nel 1880, così si racconta, Almon Strowger era l’unico impresario di pompe funebri di El Dorado, nel Kansas. Ben presto però ne arrivo un altro in città, e Strowger si accorse che i suoi affari erano diminuiti drasticamente. Saltò fuori che la moglie del nuovo arrivato lavorava alla centrale, e quando le persone chiamavano chiedendo di Strowger lei le indirizzava all’attività del marito. Strowger, frustrato, si chiese come poter creare una centrale «senza ragazze, senza parolacce, senza intoppi e senza attese».
Nel 1892 Strowger brevettò il suo centralino automatico, che sostituiva l’operatore umano – potenzialmente disonesto – con un magnete. Allo stesso tempo creò il telefono a disco, quel bel marchingegno d’antan dotato di un disco con un foro sopra ciascun numero. Se si voleva chiamare il numero trentotto, si infilava il dito nel foro del telefono sopra il tre e si ruotava il disco. Quando quest’ultimo tornava nella posizione iniziale (grazie al meccanismo della molla), inviava tre impulsi elettrici alla linea. Componendo l’otto si mandavano otto impulsi.
Roma Agrawal, Dadi e bulloni, traduzione di Andrea Asioli, Bollati Boringhieri (2023). Nella foto (Wikipedia) il telefono a candeliere di Strowger con quadrante automatico (1905).