Un’invenzione nata per pura ripicca

La storia dell’automazione delle centrali telefoniche – un’invenzione nata per pura ripicca – ha inizio in un’agenzia di pompe funebri. Nel 1880, così si racconta, Almon Strowger era l’unico impresario di pompe funebri di El Dorado, nel Kansas. Ben presto però ne arrivo un altro in città, e Strowger si accorse che i suoi affari erano diminuiti drasticamente. Saltò fuori che la moglie del nuovo arrivato lavorava alla centrale, e quando le persone chiamavano chiedendo di Strowger lei le indirizzava all’attività del marito. Strowger, frustrato, si chiese come poter creare una centrale «senza ragazze, senza parolacce, senza intoppi e senza attese».
Nel 1892 Strowger brevettò il suo centralino automatico, che sostituiva l’operatore umano – potenzialmente disonesto – con un magnete. Allo stesso tempo creò il telefono a disco, quel bel marchingegno d’antan dotato di un disco con un foro sopra ciascun numero. Se si voleva chiamare il numero trentotto, si infilava il dito nel foro del telefono sopra il tre e si ruotava il disco. Quando quest’ultimo tornava nella posizione iniziale (grazie al meccanismo della molla), inviava tre impulsi elettrici alla linea. Componendo l’otto si mandavano otto impulsi.

Roma Agrawal, Dadi e bulloni, traduzione di Andrea Asioli, Bollati Boringhieri (2023). Nella foto (Wikipedia) il telefono a candeliere di Strowger con quadrante automatico (1905).

Mi arresi

Mi trovavo alla Scala, dove ero stato ingaggiato come segretario artistico. Allora non esistevano telefoni cellulari e le notizie fra continenti lontani come l’Europa e l’America non arrivavano con la celerità di quelle odierne.
Il debutto in Aida di Luciano Pavarotti all’Opera di San Francisco era stato un grande successo. Ma l’invidia e il malanimo di qualche collega erano riusciti a far credere che si fosse trattato di un fiasco clamoroso. Questa vox populi aveva preoccupato non poco i vertici della Scala, che volevano aprire la stagione lirica proprio con Aida e con Pavarotti nel ruolo di Radamès. Fui quindi convocato urgentemente nello studio del sovrintendente. Preoccupatissimo, Carlo Maria Badini mi informò che aveva già prenotato i posti sull’aereo per Berlino per lui e per me.
«Dobbiamo assolutamente ascoltare Pavarotti domani sera in Aida», mi disse. «Hai saputo del fiasco di Luciano a San Francisco?»
«No», gli risposi, «Adua, la moglie, mi ha detto che è stato un grande successo».
«Non ci credo, le mogli e i mariti degli artisti sono poco affidabili!! Controlleremo de visu, vai a preparare la valigia».
«Ma… Carlo…», gli risposi debolmente, «Io ho il sacro terrore dell’aereo. Ricordi che sono fuggito al momento della partenza per Mosca, un attimo prima della chiusura del portellone del DC 8, e che poi ho preso il treno con il Maestro Gavazzeni?».
S’incupì, «Allora andrò da solo! Avrei preferito che ci fossi anche tu, con il tuo orecchio…».
Mi arresi. «A che ora è la recita di domani?».
«Alle 19», rispose precipitosamente.
Guardai l’orologio.
«Sono le 16. Andrò con la mia macchina, ci vedremo per le 19 di domani a Berlino».
«Il viaggio è lungo, non puoi guidare da solo!»
«Attendo fra qualche minuto Lidia, mia moglie, andrò con lei».
«Non puoi farcela! I trecento chilometri da percorrere nella Germania dell’Est sono quasi impraticabili, la strada non permette grandi velocità».
Dopo aver annunciato a una Lidia sbalordita, appena arrivata da Bologna per trascorrere un tranquillo weekend a Milano, che si partiva immediatamente per Berlino, senza bagagli e senza cambiarci d’abito, ci mettemmo in macchina.
Il giorno dopo alle 18, io e Lidia, dopo un viaggio avventuroso, eravamo in albergo per rinfrescarci. Quando Luciano mi vide in teatro sogghignò.
«Leo, cosa ci fai qui?». E, con la rapida intelligenza che lo distingueva, continuò: «Eh, capisco, gli esami non finiscono mai!».

Leone Magiera, Cantanti all’Opera, Edizioni Curci (2023). Nella foto (Youtube) Luciano Pavarotti in Radames, Aida, primi anni Ottanta.

Vegliando sulla casa come una cicogna

Il paesaggio di Calvino cambia, scriverà Citati, quando anche lui, come Fruttero & Lucentini, arriva in Maremma. Quella di Castiglione della Pescaia, nella pineta, diventa la vera casa, paesaggio mediterraneo che ricorda a Calvino quello ligure dell’infanzia, il mare, la macchia, il giardino. «Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell’esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna».

Alberto Riva, Ultima estate a Roccamare, Neri Pozza (2023)

Quando uno di noi morirà

Una sintesi sempre attuale di quella patologia, il bisogno di nascondere la morte, sta per Jacquelin Rose “nella battuta che Freud aveva riportato in Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. Marito e moglie sono seduti insieme a parlare del loro futuro. E il marito dice: ‘Quando uno di noi morirà, io mi trasferirò a Parigi’”.

Parul Sehgal, How the Writer and Critic Jacqueline Rose Puts the World on the Couch, The New Yorker (21/8/2023), traduzione L.V. Nella foto la copertina del libro di Sigmund Freud, “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte(Edizioni Studio Tesi, 2023).

Il bugnato di grosse pietre rozzamente scalpellate

All’altro estremo della città, verso Sud-Ovest, Erode fece costruire il nuovo palazzo reale: «i suoi edifici superarono persino il Tempio in ampiezza e splendore», dice Giuseppe Flavio. Vicino sorgevano tre torri chiamate Hippicus (dal nome d’un amico), Phasael (in ricordo d’un fratello), e Mariamne (in memoria della moglie). Parti della base di una delle torri sono visibili ancora oggi. Il bugnato di grosse pietre rozzamente scalpellate, che dona alle pareti un’espressione di forza rupestre, è tipico delle costruzioni del periodo erodiano. Pare che questa tecnica costruttiva sia stata riportata in Europa dai crociati; è possibile che i palazzi di Firenze (Strozzi, Pitti, Riccardi e via dicendo), con la loro aria tra fortilizio e residenza, abbiano qualche remota parentela stilistica con la Gerusalemme d’Erode.

Fosco Maraini, Le pietre di Gerusalemme, a cura di Maria Gloria Roselli, Il Mulino (2022). Nella foto (Wikimedia) a sinistra una parte della torre di Phasael.

L’irrequietezza fantastica di Zavattini

Altro dolce ricordo di quel periodo romano: come l’irrequietezza fantastica di Zavattini si placasse nelle patriarcali cene in via Sant’Angela Merici 40 (per affetto? pudore? rispetto per le radici?) con la madre centenaria, la moglie, i numerosi figli, i fratelli, il dialetto e le sublimi fettuccine emiliane.

Silvana Mauri, Ritratto di una scrittrice involontaria, Nottetempo (2006). Nella foto (Wikipedia, Paolo Monti) Cesare Zavattini nella periferia di Roma (1975).

L’uomo era una meraviglia

Ho visto Carter insegnare catechismo nella chiesa battista che alcuni suoi amici avevano fondato negli anni Settanta, dopo che la sua chiesa precedente aveva rifiutato di integrarsi. Alcuni a Plains, in Georgia, disdegnando le sue opinioni sull’integrazione, avevano cercato di boicottare il suo business di noccioline, ma la maggior parte era poi tornata sui propri passi. “Avevo le noccioline migliori”, aveva detto a Gerald Rafshoon.
Ero con l’ex presidente mentre festeggiava il suo 93° compleanno con un concerto; aveva chiesto al pianista di suonare “Imagine”. Indossando un paio di jeans e una cintura con una grande fibbia con le iniziali “JC”, mi aveva mostrato il letto a baldacchino in noce, nel quale dormiva con sua moglie Rosalynn e che aveva intagliato lui stesso.
L’uomo era una meraviglia. La fermezza e la rettitudine erano ancora tutte lì. Grazie a Dio, non si era rammollito. Per usare il modo di descriverlo preferito di uno dei suoi figli, era rimasto intenso. Sentiva ancora l’amarezza per essere stato disprezzato e tenuto a distanza dai suoi successori Bill Clinton e Barack Obama.
Tra gli ex presidenti, si è distinto per decenza e onestà. A differenza di Clinton e Obama, non è andato a Hollywood. Tramite il Carter Center ha lavorato indefessamente per eradicare malattie come la filaria di Medina, o verme di Guinea, e per sorvegliare le elezioni in oltre cento Paesi.

Maureen Dowd, From Carter to M.T.G.: What a Peach State Plummet, The New York Times (25/2/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Jimmy Carter in bicicletta a Plains, in Georgia, nel 2008.

Uno speziale molto somigliante a Johannes Brahms

Carlo Maria Giulini, per una singolare circostanza, è nato nel 1914 a Barletta, in provincia di Bari. Suo padre era direttore di stabilimento nelle imprese di legname del padre di Giangiacomo Feltrinelli. A Barletta acquistava e vendeva partite di merce. Alla fine della guerra venne trasferito a Bolzano (dove uno dei fratelli di Carlo Maria, Alberto, ancora abita). In quel primo dopoguerra Bolzano era interamente asburgica, la città più meridionale del disfatto impero austroungarico nel quale la musica aveva avuto una così grande parte. Tra gli altri aveva bottega, sulla piazza del sobborgo dove la famiglia Giulini s’era stabilita, uno speziale molto somigliante a Johannes Brahms, compresi i favoriti e la gran capigliatura, ottimo musicista dilettante. Con quel farmacista, racconta Giulini, ho fatto la mia prima musica da camera. Mio padre m’aveva regalato un violino e col violino sotto il braccio andavo alla farmacia. Lo speziale lasciava la bottega alla moglie e insieme ad altri due compagni salivamo nelle camere sovrastanti la farmacia a fare quartetto. Bolzano allora era così.

Corrado Augias, In vacanza con Marcella e la Nona di Beethoven, Repubblica (8/8/1990). Nella foto (Minima Musicalia) Carlo Maria Giulini.

Travestirsi da pompieri

I piromani hanno spesso l’abitudine di travestirsi da pompieri. Mark Zuckerberg di Meta (Facebook in origine), durante la campagna elettorale del 2020 ha lasciato, al pari di qualunque altro americano, che la disinformazione e l’incitamento all’odio andassero fuori controllo sulle sue piattaforme, per poi donare – con sua moglie, Priscilla Chan – 300 milioni di dollari in aiuti per proteggere quella stessa elezione dalle medesime forze che aveva contribuito a scatenare. Google, dopo aver concorso, con la sua enorme forza di mercato nella pubblicità online, a fare a brandelli la raccolta dei notiziari locali di tutto il Paese, ha fatto una giravolta promettendo di donare 15 milioni di dollari alla campagna “Support Local News”. A un certo punto un membro della famiglia Sackler, la cui azienda Purdue Pharma aveva prodotto e promosso l’OxyContin contribuendo a diffondere l’epidemia di oppiacei, ha riflettuto in alcuni messaggi di una chat di gruppo che ho potuto esaminare e pubblicare sulla mia newsletter, The.Ink, sul fatto che l’azienda avrebbe dovuto “impegnarsi a creare una fondazione, cui destinare un miliardo di dollari nei prossimi dieci anni, in modo da avere un ruolo di primo piano nella gestione dell’epidemia”.

Anand Giridharadas, Elon Musk Is a Problem Masquerading as a Solution, The New York Times (26/4/2022), traduzione L.V. L’immagine del costume da pompiere viene da qui.

Guarì e sopravvisse

Tre Luigi di Francia scompaiono in pochi anni dal palcoscenico del mondo. Con leggero anticipo sul Re Sole. Nell’aprile del 1711 il Gran Delfino Luigi, in età di 50 anni. Suo figlio Luigi, duca di Borgogna, non ne ha per anco raccattato l’eredità che un insanabile morbillo gli rapisce la non bella moglie, nuora del Gran Delfino, la gentile e un po’ sventata Adelaide di Savoia, di cui Voltaire ha tessuto così cavallerescamente le lodi. Dalla moglie il contagio si estende al marito, ai figli. Luigi duca di Borgogna, nipote del Re Sole, e il suo primogenito Luigi duca di Bretagna, bimbo di sette anni, inseguono Adelaide nella tomba di famiglia, alla distanza di pochi giorni l’un dall’altro, nell’aprile del 1712. «Tout est mort ici,» scriveva madama di Maintenon a un’amica, ansiosa di notizie. Con che si vede, manzonianamente, come i più fondati disegni dei re possono essere smontati dal morbillo della Divina Provvidenza.
Il secondogenito del duca di Borgogna e quarto Luigi (dopo il Re Sole) era in culla ammalato: guarì e sopravvisse. Toccò a lui, sicché, di maturare a Luigi decimoquinto.

Carlo Emilio Gadda, I Luigi di Francia, Adelphi (2021). Nella foto (Wikipedia, Museo del Prado) Pierre Gobert, Il giovane Luigi XV (1714).