La fede nel dualismo

Lo psicologo Paul Bloom, nel libro dal titolo Descartes’ Baby, si spinge fino a suggerire che siamo effettivamente nati per essere dei dualisti filosofici, come lo era lo stesso Cartesio, e per credere che la mente sia separata dal corpo. Il dualismo, suggerisce Bloom, è innato.
Questo non vuole ovviamente dire che le nostre menti siano separate dai nostri corpi: è solo che siamo predisposti a crederlo. È davvero difficile convincere la maggior parte delle persone, eccetto noi baldi psicologi e materialisti neuroscienziati, che siamo semplicemente creature di carne e ossa, con processi fisici all’interno delle nostre teste che dettano i nostri pensieri e le nostre azioni. La fede nel dualismo, ossia l’idea che la mente possa sfuggire al corpo e ai vincoli del mondo fisico, è del resto un aspetto del pensiero errante.

Michael C. Corballis, The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, no Fronteiras do Pensamento) Paul Bloom.

Computazione mortale

Negli ultimi anni passati a Google, Hinton ha concentrato i suoi sforzi sulla creazione di un’intelligenza artificiale più simile alla mente, utilizzando tipi di hardware che emulassero più da vicino il cervello. Nelle A.I. di oggi la forza delle connessioni tra i neuroni artificiali è memorizzata numericamente: è come se il cervello tenesse una contabilità di se stesso. Invece nel cervello analogico tale forza è incorporata fisicamente nelle connessioni tra neuroni. Hinton ha cercato di creare una versione artificiale di questo sistema, utilizzando particolari tipi di chip.
“Se ci riuscissi, sarebbe fantastico”, mi ha detto. I chip sarebbero in grado di imparare variando le proprie “conduttanze”. Poiché la forza di ogni connessione sarebbe integrata nell’hardware, sarebbe impossibile copiarle tutte da una macchina all’altra: ogni intelligenza artificiale dovrebbe imparare da sola. “Dovrebbero andare a scuola”, ha detto. “Ma si passerebbe da consumare un megawatt a trenta watt”. Mentre parlava, Hinton si era sporto in avanti, fissando i suoi occhi nei miei, e per un attimo ho intravisto l’evangelizzatore. Hinton ha chiamato quest’approccio “computazione mortale” poiché la conoscenza acquisita da ogni A.I. andrebbe perduta una volta smontato l’hardware. “Rinunceremmo all’immortalità”, ha detto. “In letteratura si rinuncia a essere un dio per la donna che si ama, vero? In questo caso, otterremmo qualcosa di molto più importante, ovvero l’efficienza energetica”. Tra le altre cose, l’efficienza energetica incoraggia l’individualità. Il mondo è in grado di sostenere miliardi di cervelli, tutti diversi, perché un cervello umano può funzionare anche solo con farina d’avena. E ciascun cervello può continuare ad apprendere, anziché essere addestrato una sola volta prima di essere buttato nel mondo là fuori.

Joshua Rothman, Why the Godfather of A.I. Fears What He’s Built, The New Yorker (20/11/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Ramsey Cardy) Geoffrey Hinton.

Meno di un secondo per mettersi in pari

Hinton aveva fatto un calcolo a mente. Supponiamo che nel 1985 avesse iniziato a eseguire un programma su un veloce computer di ricerca di allora e che lo avesse lasciato in esecuzione finoora. Se oggi avesse iniziato a eseguire lo stesso programma, sui sistemi più veloci attualmente in uso nell’intelligenza artificiale, avrebbe impiegato meno di un secondo per mettersi in pari.

Joshua Rothman, Why the Godfather of A.I. Fears What He’s Built, The New Yorker (20/11/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Ramsey Cardy) Geoffrey Hinton.

Se voi star sano

Se voi star sano, osser[v]a questa norma:
non mangiar sanza voglia e cena leve,
mastica bene e quel che in te riceve
sia ben cotto e di semplice forma.
Chi medicina piglia, mal s’informa.
Guarti dall’ira e foggi l’aria grieve;
su diritto sta, quando da mensa leve;
di mezzogiorno fa che tu non do[r]ma.
El vin sia temperato, poco e spesso,
non for di pasto né a stommaco voto.
Non aspettar né indugiar il cesso.
Se fai esercizio, sia di picciol moto.
Col ventre resuppino e col capo depresso
non star, e sta coperto ben di notte.
El capo ti posa e tien la mente lieta.
Fuggi lussuria e attienti alla dieta.

Leonardo da Vinci, Codice Atlantico (p. 213 v. 1515), grazie a Marco Vacchetti. Nella foto (Wikipedia, Torino, Biblioteca Reale) Leonardo da Vinci, Autoritratto (circa 1517-18).

Tutti parlano

Una delle più grandi lezioni che ho imparato scrivendo di affari esteri da paesi autocratici è che, per quanto un luogo possa essere rigidamente controllato, per quanto un dittatore possa essere brutale e dal pugno di ferro, TUTTI PARLANO.
Sanno chi ruba, chi tradisce, chi mente, chi ha una relazione con chi. Inizia con un mormorio e spesso rimane lì, ma tutti parlano.
Anche Putin chiaramente lo sa. Sa che, anche se riuscisse a conquistare qualche chilometro in più dell’Ucraina orientale e a tenersi la Crimea, nel momento in cui fermerà questa guerra, la sua gente farà tutti i conti più crudeli sul suo piano B, iniziando da una sottrazione.
La Casa Bianca ha riferito la scorsa settimana che circa 100.000 combattenti russi sono stati uccisi o feriti in Ucraina negli ultimi cinque mesi e che circa 200.000 sono stati uccisi o feriti da quando Putin ha iniziato questa guerra a febbraio 2022.
È un grande numero di perdite — anche per un grande Paese — e si vede che Putin è preoccupato che la sua gente ne parli, perché, oltre a criminalizzare ogni forma di dissenso, ad aprile si è affrettato a varare una nuova legge con misure ancora più pesanti contro la renitenza alla leva. Ora chiunque non si presenta subisce restrizioni sulle attività bancarie, sulla vendita di proprietà e persino sulla possibilità di ottenere la patente di guida.
Putin non si spingerebbe a tanto se non temesse che, nonostante i suoi sforzi, tutti stiano mormorando su quanto la guerra stia andando male e su come evitare di essere arruolati.
Leggete in proposito il recente articolo di Leon Aron, storico della Russia di Putin e studioso dell’American Enterprise Institute, sulla visita di Putin a marzo nella città ucraina di Mariupol occupata dai russi, pubblicato sul Washington Post.
“Due giorni dopo che la Corte penale internazionale ha accusato Putin di crimini di guerra e ha emesso un mandato di arresto”, ha scritto Aron, “il presidente russo è andato per alcune ore a Mariupol. È stato filmato mentre faceva una sosta nel ‘microdistretto Nevskij’, mentre ispezionava un nuovo appartamento e ascoltava per alcuni minuti gli inquilini esprimere calorosamente la loro riconoscenza. Mentre se ne stava andando, nel video si è sentita una voce appena udibile che da lontano gridava: ‘Eto vsyo nepravda!’ – ‘Sono tutte bugie!’”.
Aron mi ha detto che i media russi in seguito hanno cancellato ‘Sono tutte bugie’ dall’audio, ma il fatto che fosse stato lasciato lì potrebbe essere stato un atto sovversivo da parte di qualcuno nella gerarchia ufficiale dei media russi. Tutti parlano.

Thomas L. Friedman, Vladimir Putin Is the World’s Most Dangerous Fool, The New York Times (9/5/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Leon Aron.

Cavare dal pieno

Perciò, se ci si limita al computer come mezzo per scrivere, cioè ai vari sistemi di videoscrittura, non c’è alcuna incompatibilità: anzi, la facilità con cui si cancella, corregge, aggiunge e sostituisce agevola il flusso della mente alla carta. Forse lo agevola perfino troppo; la mancanza di diaframmi (scrivere al video è molto meno faticoso che con qualunque altro mezzo) può spingere alla prolissità e nuocere alla pregnanza, ma è anche vero l’inverso: la cancellatura è istantanea e non lascia cicatrici sulla carta, cavare dal pieno è facilissimo e indoloro.

Primo Levi, La poesia può andare d’accordo con il computer? Pagine sparse 1947-1987, Opere complete a cura di Marco Belpoliti, Einaudi (1997). Letto al Museo della Chimica, Settimo Torinese (12/11/22). Nella foto (Gianni Giansanti, einaudiSO) Primo Levi con una macchina da scrivere e un computer.

Com’è per un pipistrello essere un pipistrello

La versione più famosa di questa domanda si trova nel saggio “What it is like to be a bat?”, pubblicato nel 1974 dal filosofo Thomas Nagel. I pipistrelli sono sufficientemente imparentati con gli esseri umani, aveva osservato Nagel, perché noi li riteniamo capaci di ciò che chiameremmo esperienza. Ma come possiamo entrare nelle loro testoline pelose? La difficoltà non sta solo nel fatto che non possono parlare. È che il loro Umwelt ci è completamente estraneo.
Si potrebbe provare a immaginare, aveva scritto Nagel, “di avere una vista molto scarsa e di percepire il mondo circostante tramite un sistema di segnali sonori riflessi ad alta frequenza”, o di “avere del tessuto attaccato alle braccia, che ci consente di svolazzare all’alba e al tramonto per acchiappare insetti con la bocca”. Ma questo non ci aiuterebbe molto.
“Ma se io voglio sapere com’è per un pipistrello essere un pipistrello”, aveva provato a insistere Nagel, “appena provo a immaginarlo, mi ritrovo limitato dalle risorse della mia mente, che sono inadeguate”. La domanda “Com’è essere un pipistrello?”, aveva concluso, è una domanda a cui le persone non potranno mai rispondere perché va “oltre la nostra capacità di pensare e immaginare”.

Elizabeth Kolbert, The Strange and Secret Ways That Animals Perceive the World, The New Yorker (13/6/22), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Thomas Nagel.

Peccato che non sia tutta margini

Dei saggi precetti del testo, pochi o nessuno penetrano nella mente, mentre le peregrinazioni e i sogni dell’immaginazione invadono le pagine del testo stesso, i cui margini si ricoprono di crescite parassite di versi, paesaggi, episodi bellici e allegre caricature. I miei libri di latino – Cornelio Nepote, l’Ars poetica di Orazio ecc. – vinti in questa battaglia, si trasformavano rapidamente in album in cui la mia immaginazione straripante deponeva quotidianamente la propria fantastica progenie, e man mano che i margini del libro diventavano troppo stretti per contenere comodamente tutte le mie felici “fughe nell’ideale”, più di una volta avevo esclamato, “Che peccato che una grammatica non sia tutta margini”.

Santiago Ramón y Cajal, Recollections of my life, traduzione dallo spagnolo all’inglese di E. Horne Craigie e Juan Cano, MIT Press (1989), traduzione L.V. Nella foto (Wikimedia) Santiago Ramón y Cajal.

Frati che cantano tra le rovine

“Fu a Roma, il 15 ottobre 1764, quando stavo meditando tra le rovine del Campidoglio mentre alcuni frati scalzi cantavano i vespri nel Tempio di Giove, che l’idea di scrivere della decadenza e della caduta della città si è avviò nella mia mente”. Queste sono le parole di Edward Gibbon, e il libro che aveva immaginato era, ovviamente, “Declino e caduta dell’impero romano”. Il brano è tratto dall’autobiografia di Gibbon, ed è stato citato più volte perché sembra distillare i sei volumi del famoso libro in un’immagine: frati che cantano tra le rovine della civiltà che la loro religione ha distrutto. E forse possiamo immaginare, come in un’incisione di Piranesi, il giovane inglese (Gibbon aveva ventisette anni) appollaiato sui gradini dell’antico tempio, a contemplare la storia di come il cristianesimo fece precipitare un continente in mille anni di superstizione e fanatismo, e deciso a fare di quella storia la base per un’opera che sarebbe diventata uno dei monumenti letterari dell’Illuminismo.

Louis Menand, The People Who Decide What Becomes History, The New Yorker (18/4/2022), traduzione L.V.