Potrebbero fare qualcosa di meglio

Winston_Churchill_1941_photo_by_Yousuf_Karsh

Nel 1950 Winston Churchill, tra il primo e il secondo incarico come Primo Ministro, aveva coniato la parola “summit” per descrivere la sua speranza in un incontro di alto livello con i sovietici. Churchill non riuscì mai a organizzare il suo summit – solo in seguito, nelle relazioni tra i sovietici e l’Occidente, i summit sarebbero diventati un elemento ricorrente – ma in un discorso al Parlamento nel 1953 aveva esposto la sua visione per un incontro, in un ambiente appartato, durante il quale, “tra coloro che sono riuniti potrebbe nascere un sentire comune, sul fatto che potrebbero fare qualcosa di meglio che non fare a pezzi la razza umana, loro stessi inclusi”.

Evan Osnos, Biden and Xi’s Blunt Talk, The New Yorker (27/11/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Sir Winston Churchill ritratto da Yousuf Karsh (1941).

La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

Che l’argomento non fosse mai arcano

Nel 1968 il professor Mendelsohn fondava il Journal of the History of Biology.
“La biologia, in particolare, deve essere studiata nei suoi rapporti con le altre scienze e con le correnti intellettuali del suo tempo”, aveva scritto in un saggio introduttivo nel primo numero della rivista. “Può anche essere esaminata per le sue interazioni con le istituzioni della società da cui emergono i suoi risultati”.
Qualunque fosse il ramo della scienza su cui stava scrivendo o tenendo conferenze, faceva in modo che l’argomento non fosse mai arcano.
Agli studenti di dottorato diceva che avrebbero dovuto essere in grado di uscire su Harvard Square e spiegare gli argomenti delle proprie tesi alla gente per strada. In una lezione del 2013 al Dartmouth College, aveva parlato della rivoluzione scientifica del XVI e XVII secolo, della rivoluzione industriale e delle recenti rivoluzioni digitale e biologica, e aveva concluso domandandosi se i progressi non corressero il rischio di diventare così complessi che il grande pubblico non sarebbe stato in grado di capirli o di prendere decisioni informate sulle loro applicazioni – una prospettiva che non accoglieva con favore.
“Le rivoluzioni scientifiche richiedono una più sviluppata partecipazione dei cittadini, il che è difficile, perché il livello di conoscenza richiesto potrebbe essere elevato e una delle sfide è come colmare questo divario”, ha affermato.
Aveva aggiunto: “La scienza è per molti aspetti troppo importante per le nostre vite – credo che potremmo dire – per essere lasciata soltanto agli esperti”.

Neil Genzlinger, Everett Mendelsohn, Who Linked Science and Society, Dies at 91, The New York Times (15/7/2023). Nella foto (Harvard University) Everett I. Mendelsohn.

In un’altalena di licenziamenti e riassunzioni

Vivaldi prestò servizio alla Pietà sia come maestro di violino (e molti altri strumenti) che come compositore, lungo tutto l’arco della sua vita, fino al 1740, pur in un’altalena di licenziamenti e riassunzioni. La prassi voleva infatti che ogni anno i maestri venissero riconfermati con una votazione (ballottazione) fra i governatori; la precarietà di questo servizio discendeva da un imperativo di ferreo risparmio: un maestro non serviva più non appena le «figlie» fossero state messe in grado di fare da sole. La complessa e funzionale gerarchia interna delle «figlie» consentiva una costante e omogena trasmissione del sapere musicale dalle più grandi alle più piccole, dalle più istruite alle principianti. Tuttavia, per quanto ben congegnato, questo meccanismo non poteva prescindere dall’apporto esterno dei maestri: dopo qualche anno essi dovevano esser riassunti, non appena il livello qualitativo delle esecuzioni del «coro» cominciava a deteriorarsi.

Federico Maria Sardelli, Il volto di Vivaldi, Sellerio (2021)

Un miliardo di persone potrebbe essere in movimento

Una delle tante ingiustizie che aggravano i cambiamenti climatici è che i costi più alti saranno sostenuti da coloro che hanno contribuito meno al problema. Diverse nazioni insulari poco elevate, tra cui Tuvalu e Kiribati, sono destinate semplicemente a scomparire. In Bangladesh ogni giorno arrivano nella capitale Dhaka circa duemila persone, molte spinte dalle tempeste o dall’innalzamento del livello del mare che hanno reso difficile la vita nei villaggi. In Pakistan, la scorsa estate, le inondazioni causate da piogge monsoniche sovraccariche hanno ucciso un migliaio di persone e ne hanno costrette altre seicentomila in campi di accoglienza.
Nel 2016 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stimava che, a livello globale, 21 milioni di persone sarebbero state mediamente sfollate ogni anno a causa di eventi meteorologici. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite ha previsto che entro il 2050 un miliardo di persone potrebbe essere in movimento. Nei prossimi decenni “enormi masse di popolazione dovranno cercare nuove case”, ha scritto Gaia Vince, una giornalista britannica. E voi o “sarete tra questi, o tra quelli che li accoglieranno”.

Elizabeth Kolbert, Climate change from A to Z, The New Yorker (28/11/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wondering Gaia) Gaia Vince.