Ideali per le rapide annotazioni dei piloti

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Al civico 60 di corso Re Umberto a Torino una lapide ricorda la casa dove nacque colui che «semplificò la quotidianità della scrittura». Il signore in questione è Marcel Bich, nato nella città piemontese nel 1914 e in seguito trasferitosi con la famiglia in Francia. Qui, nel secondo dopoguerra, acquisto e perfezionò il brevetto dell’inventore ungherese Bíró, sulla base del quale avviò la produzione industriale di quella che sarebbe diventata probabilmente lo strumento di scrittura più comune e diffuso nel mondo: la penna Bic. Laszló Jozsef Bíró ideò infatti la penna che porta il suo nome e che garantiva maggiore autonomia della penna stilografica, e soprattutto non dipendeva da frequenti operazioni di ricarica. La penna di Bíró trovò subito un acquirente nella Royal Air Force britannica. Le penne a inchiostro erano infatti inadatte per il volo perché spandevano facilmente, mentre le nuove penne a sfera – denominate dalla Raf Eterpen -erano ideali per le rapide annotazioni dei piloti. L’inventore ungherese non fu però in grado di raggiungere mercati più ampi, cosa che invece riuscì a Bich, grazie anche alle migliorie apportate tra le quali quella dell’involucro trasparente che consentiva di controllare in qualsiasi momento la quantità residua di inchiostro.

Piero Martin, Le 7 misure del mondo, Laterza (2021). Nella foto la targa in memoria della nascita di Marcel Bich (1914-1994), in corso Re Umberto 60 a Torino.

E la brutalità irrompe

Jaron Lanier ha condiviso la sua filosofia secondo cui, nella storia, quando la politica, la cultura e la tecnologia diventano troppo teoriche e sofisticate, tendono a perdere il loro potere e la brutalità irrompe.
“I bolscevichi avevano questa retorica tremendamente sofisticata e fantasiosa e tutte queste idee complicate”, ha detto Lanier. “Stavano costruendo la propria economia sociale. Poi, in pratica, è successo che è arrivato Stalin e ha detto: ‘No, in realtà si tratta soltanto di dominazione e violenza, al diavolo tutto il resto'”.
“Penso che l’attuale ondata di populismo abbia queste caratteristiche”, ha aggiunto Lanier. “Le gradazioni sempre più fini di pensiero su ogni tipo di problema, dal genere all’intersezionalità, da questa a quella teoria, sono così sofisticate che richiedono molta pazienza. Sono teorie troppo endogamiche per essere forti. Così entrano nel gioco queste cose molto rozze”.
“Si discute in modo sempre più sofisticato di come fare il blockchain, i token non fungibili, le criptovalute, con contratti integrati negli algoritmi. Personalmente sono convinto che questo approccio troppo complesso alla tecnologia vada nella stessa direzione di culture o politiche che diventano troppo sofisticate e piene di sé.
“Fondamentalmente i russi sono arrivati e hanno detto: ‘Fanculo tutte le vostre idee. Ora ci prendiamo brutalmente questa roba e la usiamo per il potere’. Gli agenti di Putin che si occupano di psicologia hanno esaminato tutto ciò che facciamo sui social media e hanno detto: ‘Ci entriamo e usiamo ciò che troviamo per indebolirvi. Le idee non ci interessano'”.
“Penso che gli ideali siano grandiosi, ma cosa succede quando gli idealisti si lasciano prendere troppo da sé e dal proprio desiderio di diventare ancora più sofisticati al fine di perfezionare i propri progetti? Penso che poi si ritorni alla brutalità”.
Al telefono Lanier ha offerto però una nota di ottimismo su Trump, Putin e i loro simili: “Una delle grandi verità della storia è che anche i grandi ingannatori si ingannano”.

Jaron Lanier intervistato da Maureen Dowd in Kim and Pete, or Vladimir and Volodymyr?, The New York Times (9/4/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Jaron Lanier.