Spalancatela

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La noia è una visuale sulle proprietà del tempo che uno tende a ignorare, mettendo possibilmente in pericolo il proprio equilibrio mentale. È una finestra sull’infinitudine del tempo. Una volta aperta questa finestra, non provate a chiuderla; al contrario, spalancatela.

Iosif Brodskij citato da Michael C. Corballis in The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Stanford University) Iosif Brodskij.

L’immagine di una coppia coraggiosa che lavora umilmente la propria terra

I sorprendenti abiti dei modelli di Grant Wood non erano fatti in casa; li aveva ordinati da Sears, Roebuck & Co. a Chicago. E la finestra gotica che aveva attirato la sua attenzione? Neppure lei era il prodotto di una particolare cultura locale. Eldon esisteva da appena un decennio quando fu installata quella finestra. Anch’essa era stata ordinata per corrispondenza da Sears.
Qualunque fosse la provenienza degli abiti, l’immagine di una coppia coraggiosa che lavora umilmente la propria terra finì per rappresentare l’America rurale. Wood descrisse la coppia come dei “ferròtipi del mio album di famiglia” e, in effetti, i suoi genitori avevano coltivato un terreno in Iowa. Ma quel tipo di agricoltura segnò solo un breve periodo della storia della famiglia Wood. I suoi nonni materni erano albergatori, non agricoltori, e quelli paterni erano stati proprietari di schiavi della Virginia. Quando Wood aveva dieci anni, la sua famiglia lasciò la fattoria per la città di Cedar Rapids, dove Wood decise di diventare gioielliere.

Daniel Immerwahr, Beyond the Myth of Rural America, The New Yorker (16/10/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Art Institute of Chicago) Grant Wood, American Gothic (1930).

Reclutò sua sorella e il suo dentista

Chiedere a un amico di accostare la macchina per esaminare un insolito dettaglio architettonico non è, mi dicono, un modo per farsi benvolere. Ma alcuni di noi non possono farne a meno. Per il pittore Grant Wood, a richiedere una sosta era stata un’incongrua finestra gotica in una casa di legno, peraltro modesta, a Eldon in Iowa. Aveva l’aspetto di un cottage che imitava una cattedrale. Wood aveva cercato di immaginare che tipo di persone “avrebbero potuto vivere in una casa del genere”. Reclutò sua sorella e il suo dentista come modelli e li vestì con abiti vecchio stile. Il risultato fu “American Gothic”, il quadro dipinto da Grant Wood nel 1930 e verosimilmente l’opera d’arte più famosa mai prodotta negli Stati Uniti.

Daniel Immerwahr, Beyond the Myth of Rural America, The New Yorker (16/10/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Art Institute of Chicago) Grant Wood, American Gothic (1930).

Finestra, no

Tosi va da Morandi: “Fui ricevuto dalle due sorelle; ricordo un cortile, mobili dell’Ottocento, tanti tavoli con i suoi vasi, le sue rose, i suoi bicchieri, pareti chiare, una Bologna rosa”. Morandi gli dice di non essere mai stato a teatro in vita sua (“Non so cosa sia il teatro, non ho mai visto aprirsi un sipario”): “Era un uomo di infinita modestia, meraviglioso, un grande artista. Avevo portato i miei bozzetti e glieli mostrai, spiegandogli che, contro il parere di Luchino, volevo togliere la finestra e fare il cielo dello stesso colore del suolo. Fu d’accordo con me: ‘Finestra, no’, disse. Gli chiesi di scriverlo di propria mano sul bozzetto e lui lo fece, aggiungendo: ‘Il cielo sempre dello stesso colore del suolo’. Visconti accettò le correzioni di Morandi e da allora in poi si fidò dei miei giudizi, perché capì che in quel caso avevo avuto ragione”.

Su Piero Tosi e Giorgio Morandi in nota di Giovanni Agosti in Giovanni Testori, Luchino, a cura di Giovanni Agosti, Feltrinelli (2022). Nella foto (Wikipedia) lo studio bolognese di Giorgio Morandi fotografato da Paolo Monti.

Scroscia il tuono grandioso dell’usignolo ucraino

Conoscete la notte ucraina? Oh, voi non conoscete la notte ucraina! Contemplatela. Dal mezzo del cielo guarda la luna. L’immensa volta celeste si è aperta, si è dilatata ancor più immensamente. Arde e respira. La terra è tutta avvolta di luce argentea; e l’aria meravigliosa è fresca e soffocante, piena di voluttà, e muove un oceano di profumi. Notte divina! Notte incantevole! Le selve, piene di tenebra, stanno immote, ispirate, e gettano un’ombra enorme. Son silenziosi e quieti gli stagni; la fredda oscurità delle loro acque è rinchiusa fra le mura verde cupo dei giardini. Verginali macchie di viscioli e ciliegi hanno proteso timidamente le loro radici verso il fresco della fonte e di tanto in tanto le loro foglie balbettano, quasi scontente e indignate, quando il vento notturno, sublime sventato, si avvicina un attimo furtivo, e le bacia. Tutto il paesaggio dorme. E in alto tutto respira, tutto è stupendo, tutto è solenne. E l’anima prova un senso d’infinito e meraviglia, mentre folle di visioni argentee sorgono armoniosamente dal suo profondo. Notte divina! Notte incantevole! E a un tratto tutto si anima: i boschi, gli stagni, le steppe. Scroscia il tuono grandioso dell’usignolo ucraino, e pare che anche la luna rimanga ad ascoltarlo in mezzo al cielo… Come incantato, sonnecchia sull’altura il villaggio. Ancor più bianchi, ancor più nitidi scintillano alla luna i gruppi delle case; ancor più accecanti si stagliano nell’oscurità i loro muri bassi. Le canzoni tacciono. Tutto è silenzio. La gente devota dorme già. Solo qua e là qualche stretta finestra è ancora illuminata. Sono poche le soglie davanti a cui una famiglia si attarda a consumare la cena.

Nikolaj Gogol’, Veglie alla fattoria presso Dikan’ka, traduzione di Emanuela Guercetti, BUR Rizzoli (2018)

Avvolta di crepuscolo

Si voltò, si calcò il colbacco di sghimbescio e orgogliosamente si allontanò dalla finestra, pizzicando piano le corde della bandura. In quel momento la maniglia di legno della porta girò; la porta si aprì cigolando, e una ragazza nella sua diciassettesima primavera, avvolta di crepuscolo, guardandosi timidamente intorno e senza lasciare la maniglia di legno, varcò la soglia. Nella penombra ardevano sorridenti, come stelline, i suoi begli occhi; brillava la collana di corallo rosso, e allo sguardo d’aquila del giovane non sfuggì neppure il rossore che si era acceso pudicamente sulle sue guance.

Nikolaj Gogol’, Veglie alla fattoria presso Dikan’ka, traduzione di Emanuela Guercetti, BUR Rizzoli (2018)

Un crepaccio cittadino

Scarmigliata, con la camicia azzurra sgualcita e gli occhi impiastrati di nero, stava sdraiata a letto; il braccio con il polso ornato dal vecchio braccialetto d’argento, ancora dai tempi della Russia, toccava quasi il pavimento.
Lui era in piedi accanto alla finestra, col cappotto. La finestra dava su un cortiletto largo tre metri, un umido e buio crepaccio cittadino. Stava per piovere. Sopra di sé vedeva altre finestre, ma per quanto si sporgesse, il cielo restava invisibile. Del fumo cadeva dall’alto in quel crepaccio. Con voce rauca cantilenò:
Pioggia smetti sull’istante
noi andremo al Sol Levante
Tanja non sentì bene le ultime parole e sbadigliando ripetè:
«… noi andremo al ristorante».

Nina Berberova, Il lacchè e la puttana, traduzione di Donatella Sant’Elia, Adelphi (1991)

Arrivano le troie

1151-3Ebbe inizio una vera e propria persecuzione. Mi imputarono di tre reati penali. Parassitismo, insubordinazione all’autorità, «detenzione impropria di arma bianca».
Tutte e tre le imputazioni erano false.
La milizia veniva praticamente ogni giorno.
Ma a quel punto adottai delle misure difensive.
Abitavamo al quinto piano senz’ascensore. Alla finestra di fronte si intravedeva sempre Gena Sachno. Era un giornalista alcolizzato e, come molti ubriaconi, era d’animo estremamente nobile. Per giornate intere stava alla finestra a ingurgitare vino da due soldi.
Se la milizia si dirigeva verso l’entrata di casa nostra, Gena sollevava il ricevitore.
– Arrivano le troie – annunciava laconico.
Ed io subito chiudevo la porta col gancio.
Così vivevamo.

Sergej Dovlatov, Noialtri, traduzione di Laura Salmon, Sellerio (2000)