La fede nel dualismo

Lo psicologo Paul Bloom, nel libro dal titolo Descartes’ Baby, si spinge fino a suggerire che siamo effettivamente nati per essere dei dualisti filosofici, come lo era lo stesso Cartesio, e per credere che la mente sia separata dal corpo. Il dualismo, suggerisce Bloom, è innato.
Questo non vuole ovviamente dire che le nostre menti siano separate dai nostri corpi: è solo che siamo predisposti a crederlo. È davvero difficile convincere la maggior parte delle persone, eccetto noi baldi psicologi e materialisti neuroscienziati, che siamo semplicemente creature di carne e ossa, con processi fisici all’interno delle nostre teste che dettano i nostri pensieri e le nostre azioni. La fede nel dualismo, ossia l’idea che la mente possa sfuggire al corpo e ai vincoli del mondo fisico, è del resto un aspetto del pensiero errante.

Michael C. Corballis, The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, no Fronteiras do Pensamento) Paul Bloom.

Stupefatto di trovare una cella vuota

Romani ed ebrei si muovevano e vivevano spiritualmente su piani diversi. I romani non riuscivano a capire gli ebrei, con tutti i loro scrupoli, le loro fobie, le loro stranezze, gli ebrei vedevano nei romani il trionfo del materialismo, dell’empietà e li odiavano per le offese continue alla purezza della fede.
Quando Pompeo, dopo giornate di feroci combattimenti, dopo che i suoi erano passati sui corpi sventrati di migliaia d’ebrei, riuscì finalmente a penetrare nel Sancta sanctorum del Tempio – riferisce Tacito – restò stupefatto di trovare una cella vuota. Tutti quei mesi di resistenza, tutto quel sangue, tutte quelle sofferenze per cosa? Per difendere dell’aria! «Gerusalemme era conquistata, ma rimaneva inesplicabile», dice Join-Lambert.

Fosco Maraini, Le pietre di Gerusalemme, a cura di Maria Gloria Roselli, Il Mulino (2022). Nella foto (Wikimedia) Jean Fouquet, Pompeo profana il Tempio di Gerusalemme (circa 1470).

L’occhio non osa abbracciarli

Lontano dalla terra ucraina, attraversata la Polonia, passata anche la popolosa città di Leopoli, s’inseguono i contrafforti di alte montagne. Un monte dietro l’altro, come catene di roccia, solcano la terra e la cingono con un baluardo di pietra, perché il mare fragoroso e impetuoso non la penetri. Le catene di roccia entrano in Valacchia e in Transilvania, e come una muraglia a ferro di cavallo si ergono fra i popoli di Galizia e d’Ungheria. Non ci sono monti simili dalle nostre parti. L’occhio non osa abbracciarli; e sulla vetta di alcuni l’uomo non ha mai messo piede. Mirabile è anche il loro aspetto: forse è il mare sfrenato che durante una burrasca ha travolto le ampie rive, ha levato in un turbine le onde orribili, che trasformandosi in pietra sono rimaste immobili nell’aria? O forse sono pesanti nubi staccatisi dal cielo che hanno ingombrato la terra? Perché hanno lo stesso colore grigio, e la loro bianca cima brilla e scintilla al sole. Fino ai Carpazi sentirai parlare russo, e oltre i monti suonerà ancora qua e là una parola familiare; ma già la fede è diversa, e diversa è la lingua. Là vive il numeroso popolo ungherese; cavalca, si batte e trinca non meno dei cosacchi; e non lesina monete d’oro per una bardatura o per delle vesti preziose. Fra i monti vi sono laghi vasti e maestosi. Sono immobili come vetro, e come uno specchio riflettono le cime nude dei monti e le loro verdi pendici.

Nikolaj Gogol’, Veglie alla fattoria presso Dikan’ka, traduzione di Emanuela Guercetti, BUR Rizzoli (2018)

Sono tutti gangster

L’ipotesi brillante e incisiva del sociologo Charles Tilly era che il tiranno rappresentasse semplicemente la natura della leadership di ogni stato moderno, solo con un piumaggio più vivido. A suo avviso tutti gli stati, lungi dall’essere derivati ​​da un qualche contratto sociale, nascono come racket di estorsioni e in gran parte rimangono tali. Nel suo classico saggio dal titolo “War Making and State Making as Organized Crime” (1985), Tilly ha insistito sul fatto che nel mondo reale non c’è mai alcun “consenso dei governati”, ma soltanto la sottomissione degli intimoriti. Lo stato e i suoi attori non sono un servizio di sicurezza pensato per proteggervi dagli invasori, ma un sistema concepito per farvi pagare per proteggervi da loro. L’Ozone Park di John Gotti è il modello di uno stato moderno. Non avete ceduto una certa dose di libertà in cambio di protezione dalla violenza, poiché la violenza proviene dalle stesse persone a cui avete ceduto la vostra libertà. Il nostro tentativo di individuare una categoria speciale di dittatori sarebbe come tentare di distinguere il capo di una famiglia mafiosa dal boss mafioso di una commissione. Sono tutti gangster.
La fede liberale nella modernizzazione – l’idea che l’istruzione, la crescita della società civile e il bisogno di una classe dirigente finiranno per arginare e rendere un'”anatra zoppa” qualunque gangster possa ottenere il potere – sembra essere uno studio sul fallimento, che rafforza la natura evidentemente intrattabile del problema della tirannia. Nella realtà i tecnocrati e i dirigenti sono quasi sempre impotenti di fronte a uno stato autoritario. La ribellione richiede un coraggio straordinario, mentre l’obbedienza richiede solo un comportamento automatico e predefinito.

Adam Gopnik, How to Build a Twenty-first-Century Tyrant, The New Yorker (23/5/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Charles Tilly.

Due scrittori allegri

COF_29_8_prova_fruttero_testi.inddE poi c’è la, come dire, solarità del loro pessimismo. Nessuna fiducia negli esseri umani, o meglio molta fiducia in certi rari esseri umani e nessuna negli esseri umani in generale, soprattutto quando si associano in scuole, lobby, partiti; nessuna tenerezza per le grandi cause, specie quando impongono di mettere tra parentesi, in vista di un bene più grande, quella common decency che F&L apprezzavano in un uomo come Orwell; nessuna fede nell’aldilà – poteva essere la ricetta per una di quelle prose depressive da tramonto dell’Occidente. Invece, anziché produrre amarezza, questa attitudine ha prodotto in loro una specie di serenità zen, e un’ironia tanto sorridente da non sembrare italiana (l’ironia italiana è quasi sempre sanguinosa), e anche la semplice gioia di partecipare per qualche attimo alla festa dei folli che è l’esistenza umana. In ogni loro pagina si respira quest’aria, persino in quelle che scrive Fruttero per commemorare l’amico suicida: erano questa cosa mai vista, due scrittori allegri.

Claudio Giunta, Su “Opere di bottega” di Fruttero e Lucentini, Domenicale del Sole 24 ore (8/12/2019)

Il moderno veniva rigirato contro se stesso

imageLa moderna tecnologia dell’informazione veniva utilizzata al servizio di idee retrograde: il moderno veniva rigirato contro se stesso dal medievale, al servizio di una visione del mondo che non gradiva la modernità stessa – modernità razionale, ragionevole, innovativa, secolare, scettica, stimolante, creativa, l’antitesi della fede mistica, statica, intollerante e inflessibile.

Salman Rushdie, Joseph Anton, Vintage (2013), traduzione L.V.