La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

Ma chi ne aveva bisogno?

Davidov, l’addetto al censimento, aveva aperto la porta senza bussare, era entrato zoppicando nella stanza e si era seduto stancamente. Aveva tirato fuori il suo taccuino ed era pronto a iniziare il lavoro. Rosen, l’ex venditore di caffè, macilento, con gli occhi pieni di disperazione, sedeva immobile sulla sua branda, a gambe incrociate. La stanza quadrata, pulita ma fredda, illuminata da una lampadina fioca, aveva pochi arredi: la branda, una sedia pieghevole, un tavolino, delle vecchie cassapanche non verniciate – niente armadi, ma chi ne aveva bisogno? – e un piccolo lavandino con un ruvido pezzo di sapone verde, appoggiato sul suo supporto – ne sentivi l’odore dall’altra parte della stanza.

Bernard Malamud, Take pity, The Complete Stories, Farrar, Straus and Giroux (1997), traduzione L.V.

Com’è per un pipistrello essere un pipistrello

La versione più famosa di questa domanda si trova nel saggio “What it is like to be a bat?”, pubblicato nel 1974 dal filosofo Thomas Nagel. I pipistrelli sono sufficientemente imparentati con gli esseri umani, aveva osservato Nagel, perché noi li riteniamo capaci di ciò che chiameremmo esperienza. Ma come possiamo entrare nelle loro testoline pelose? La difficoltà non sta solo nel fatto che non possono parlare. È che il loro Umwelt ci è completamente estraneo.
Si potrebbe provare a immaginare, aveva scritto Nagel, “di avere una vista molto scarsa e di percepire il mondo circostante tramite un sistema di segnali sonori riflessi ad alta frequenza”, o di “avere del tessuto attaccato alle braccia, che ci consente di svolazzare all’alba e al tramonto per acchiappare insetti con la bocca”. Ma questo non ci aiuterebbe molto.
“Ma se io voglio sapere com’è per un pipistrello essere un pipistrello”, aveva provato a insistere Nagel, “appena provo a immaginarlo, mi ritrovo limitato dalle risorse della mia mente, che sono inadeguate”. La domanda “Com’è essere un pipistrello?”, aveva concluso, è una domanda a cui le persone non potranno mai rispondere perché va “oltre la nostra capacità di pensare e immaginare”.

Elizabeth Kolbert, The Strange and Secret Ways That Animals Perceive the World, The New Yorker (13/6/22), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Thomas Nagel.

Con un occhio di gatto

Una favola irlandese racconta di un sovrano che perde un braccio in battaglia. Una volta mutilato, un re non può governare. Ma un dottore si presenta alla porta del re. Il custode, che è cieco da un occhio, non lo lascia entrare. Il dottore sostituisce l’occhio cieco del custode con un occhio di gatto, curandogli la vista. Il medico quindi rimpiazza il braccio mancante del sovrano con quello di un porcaro. Si dice che il custode con l’occhio di gatto rimanga sveglio la notte, in cerca di topi.

Rivka Galchen, The Medical Miracle of a Pig’s Heart in a Human Body, The New Yorker (28/2/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un occhio di gatto.

Gli aveva chiesto di entrare in acqua

Alla fine degli anni Novanta Lukašėnka aveva proposto di unire Russia e Bielorussia in un unico Paese, che immaginava avrebbe guidato lui. Invece Vladimir Putin è salito al potere e ha iniziato a interferire con l’indipendenza della Bielorussia. I due uomini sono apparsi spesso insieme, Putin imperscrutabile e minuto, Lukašėnka esuberante e imponente. Ma era sempre evidente chi dominava; in una foto del 2018 Lukašėnka era in piedi con le gambe molto divaricate per abbassarsi all’altezza di Putin. Durante un incontro dello scorso anno sul Mar Nero, i media russi hanno mostrato Lukašėnka che se la spassava tra le onde gelate, mentre Putin era rimasto al sicuro sulla terraferma. La televisione di Stato ha riferito che Putin gli aveva chiesto di entrare in acqua. “A Putin piace umiliarlo”, ha detto Paviel Latušhka, un ex ministro bielorusso.

Dexter Filkins, The Accidental Revolutionary Leading Belarus’s Uprising, The New Yorker (13/12/2021) traduzione L.V.

Quanto sarebbe stato difficile girare “The Aryan Papers”

Kubrick abbandonò l’idea di girare The Aryan Papers dopo avere appreso che Spielberg stava facendo un film sull’Olocausto, Schindler’s List. Aveva stimato che i due film sarebbero usciti all’incirca nello stesso periodo e non voleva che fossero in competizione. Ma dovevano esserci anche altre ragioni. Christiane ha ricordato che Stanley era sempre più depresso e turbato dall’argomento. “Se uno mostra le atrocità come sono realmente accadute”, ha detto Christiane anni dopo, “ciò comporta la totale distruzione degli attori. Stanley non era in grado di spiegare i motivi delle uccisioni. Diceva: ‘Morirò per questo, e anche gli attori ne moriranno, per non parlare del pubblico’”. Una scena nella sceneggiatura principale, datata 5 ottobre 1992, che descrive alcune donne violentate dai collaboratori ucraini dei nazisti, fa capire quanto sarebbe stato difficile girare The Aryan Papers: “Le violentavano pubblicamente, singolarmente, in gruppo, per terra, appoggiandole contro le pareti distrutte delle case. Alcune donne venivano fatte inginocchiare, i soldati le tenevano da dietro per i capelli, e nelle loro bocche spalancate entrava un pene dopo l’altro”.

David Mikics, Stanley Kubrick – American Filmmaker, Yale University Press (2020), traduzione L.V.

A differenza degli studenti

Una nuova norma impediva agli studenti all’interno del campus di uscire, a meno che avessero ricevuto un permesso speciale. Ogni varco d’ingresso dell’università era stato dotato di scanner per il riconoscimento facciale, calibrati per i volti coperti. Il giorno in cui sono arrivato, la guardia mi ha detto di tenere la maschera durante la scansione. Su uno schermo è apparso il mio nome, insieme alla mia temperatura corporea e al mio numero di documento identificativo dell’università. Come docente potevo attraversare i varchi in entrambe le direzioni, a differenza degli studenti.

Peter Hessler, How China Controlled the Coronavirus, The New Yorker (17/8/2020), traduzione L.V.

Il tenore alto / 6

b896e8b34602ffb90a8a5537b8721f4c copiaPer Joan fu la goccia che fece traboccare il vaso. “Sono una donna semplice”, disse, “e non sono particolarmente graziosa, e devo cantare davanti alla regina, e il tenore non può nemmeno entrare dal lato giusto, e ho questa catena avvolta intorno alle caviglie, e finirò per cadere nella buca dell’orchestra”.
E si precipitò in camerino urlando.
Era molto raro che Joan avesse un tracollo del genere.
“Andate da lei con una bevanda zuccherata”, disse Norman Ayrton. Norman era il direttore di produzione e un grande amico di Joan. “Datele un sacco di zucchero, così si calma”.

Herbert Breslin, Anne Midgette, The King and I: The Uncensored Tale of Luciano Pavarotti’s Rise to Fame by his Manager, Friend and Sometime Adversary, Mainstream Publishing (2004), traduzione LV, grazie ad Alessandro Roveri. Nella foto (Pinterest) Joan Sutherland e Luciano Pavarotti.

Puntate precedenti:
Il tenore alto / 1
Il tenore alto / 2
Il tenore alto / 3
Il tenore alto / 4
Il tenore alto / 5