Le nostre ronde serali erano spietate

Prima che col dopoguerra arrivasse il DDT, gli insetti infestavano le case — specie quelle di campagna — in misura difficile da immaginare per le generazioni successive, tanto di uomini quanto di insetti.
Tutte le sere io e mia madre perlustravamo le stanze, e il duro legno di castagno degli zoccoli destri — che temporaneamente impugnavamo combattendo in precario equilibrio sui sinistri — si abbatteva su millepiedi, forbicine, scorpioni e altre creature minuscole e senza nome, coaguli o assemblaggi di filamenti, di glassa lucente, di sangue nerastro.
Le nostre ronde serali erano spietate.
All’indomani dell’ecatombe le pareti tornavano a nereggiare.

Giovanni Mariotti, Piccoli addii, Adelphi (2020)

Ideali per le rapide annotazioni dei piloti

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Al civico 60 di corso Re Umberto a Torino una lapide ricorda la casa dove nacque colui che «semplificò la quotidianità della scrittura». Il signore in questione è Marcel Bich, nato nella città piemontese nel 1914 e in seguito trasferitosi con la famiglia in Francia. Qui, nel secondo dopoguerra, acquisto e perfezionò il brevetto dell’inventore ungherese Bíró, sulla base del quale avviò la produzione industriale di quella che sarebbe diventata probabilmente lo strumento di scrittura più comune e diffuso nel mondo: la penna Bic. Laszló Jozsef Bíró ideò infatti la penna che porta il suo nome e che garantiva maggiore autonomia della penna stilografica, e soprattutto non dipendeva da frequenti operazioni di ricarica. La penna di Bíró trovò subito un acquirente nella Royal Air Force britannica. Le penne a inchiostro erano infatti inadatte per il volo perché spandevano facilmente, mentre le nuove penne a sfera – denominate dalla Raf Eterpen -erano ideali per le rapide annotazioni dei piloti. L’inventore ungherese non fu però in grado di raggiungere mercati più ampi, cosa che invece riuscì a Bich, grazie anche alle migliorie apportate tra le quali quella dell’involucro trasparente che consentiva di controllare in qualsiasi momento la quantità residua di inchiostro.

Piero Martin, Le 7 misure del mondo, Laterza (2021). Nella foto la targa in memoria della nascita di Marcel Bich (1914-1994), in corso Re Umberto 60 a Torino.

Il Paese si diede alla caccia alle balene

Il Giappone aveva sofferto di una crisi alimentare che era durata dal dopoguerra fino agli anni Sessanta e che era stata innescata dalla distruzione delle catene di approvvigionamento e dei terreni agricoli. Su consiglio del generale Douglas MacArthur, il supervisore nominato durante l’occupazione da parte degli Stati Uniti, il Paese si diede alla caccia alle balene. La carne di balena era servita come fonte di proteine ​​a basso costo ai bambini delle scuole elementari e medie, e divenne anche un simbolo di capacità di ripresa nazionale. Sebbene oggi la carne di balena sia consumata in quantità molto limitate – meno di 50 grammi per persona all’anno – la caccia alle balene è ancora fortemente sovvenzionata dallo stato, e la maggior parte dei prodotti sono immagazzinati e non consumati. Nel 2019 un ricercatore dell’Università di Rikkyo ha stimato in 3700 tonnellate le scorte giapponesi di carne di balena. Dopo che la Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC) ha imposto una moratoria globale, il Giappone ha continuato imperterrito. Fino al 2019, quando il Paese è uscito dall’IWC, il Giappone ha apertamente sfruttato una scappatoia nella moratoria, che consente di uccidere balene a fini di ricerca e di vendere ogni residuo di carne come cibo. Tra il 2005 e il 2014, circa 3600 balenottere minori sono state uccise dai balenieri giapponesi nell’Oceano Australe, a fronte di soli due articoli pubblicati in riviste scientifiche con valutazione tramite peer review.

Amia Srinivasan, What Have We Done to the Whale?, The New Yorker (24/8/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) due balenottere trascinate a bordo di una nave baleniera giapponese.