Vago ma eccitante…

Quando è nato Internet? La risposta dipende, naturalmente, da come si definisce Internet. Sarebbe però plausibile sostenere che ciò sia accaduto nel 1989, quando Tim Berners-Lee, allora ricercatore al Cern, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare vicino a Ginevra, aveva sottoposto al suo supervisore un documento dal titolo: “Gestione delle informazioni: una proposta”. Berners-Lee aveva di fatto prodotto il primo schema del mondo dei link cliccabili noto come World Wide Web. Il supervisore gli restituì il documento con un commento di una riga, scarabocchiato in alto: “Vago ma eccitante…”.
La valutazione rimane vera; Internet è ancora oggi ricco di promesse ma nebuloso nei contorni. C’è una ragione per cui l’attuale dibattito sul suo controllo è così intenso. Come Internet è governato – e da chi – determina cosa è Internet. La posta in gioco nel conflitto in corso tra gli stati-nazione e i mercati non è, in altre parole, meramente gestionale; è anche esistenziale.
Internet si indurirà in un parco giochi oligarchico oppure diventerà un luogo più docile (e forse meno innovativo), come auspicano i regolatori europei, qualcosa di simile a un servizio pubblico digitale? Ampie sezioni di Internet si piegheranno al potere di tiranni e populisti illiberali, determinati a eliminare quella che Xi Jinping ha criticato come “energia negativa nascosta” della rete? Oppure l’influenza più consequenziale sarà esercitata dal modello che l’India sta sperimentando, di un giardino recintato in cui l’impresa privata può prosperare, ma entro i confini stabiliti dallo stato?

Akash Kapur, Can the Internet Be Governed?, The New Yorker (5/2/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Tim Berners-Lee. 

Questa combinazione di immortalità e replicabilità

Se rimanesse un’attività di ricerca scientifica, un’A.I. mortale potrebbe portarci più vicini a una replica del nostro cervello. Ma Hinton è arrivato a pensare, con rammarico, che l’intelligenza digitale potrebbe essere più potente. Nell’intelligenza analogica, “se il cervello muore, muore anche la conoscenza”, ha detto. Nell’intelligenza digitale, invece, “se un particolare computer muore, le forze delle sue connessioni possono essere utilizzate su qualsiasi altro computer. E anche se dovessero morire tutti i computer, una volta immagazzinate da qualche parte tutte le forze delle connessioni, basterebbe creare un altro computer digitale ed eseguirle. Diecimila reti neurali possono imparare diecimila cose diverse contemporaneamente, e poi condividere ciò che hanno imparato”. Secondo Hinton, questa combinazione di immortalità e replicabilità ci dice che “dovremmo preoccuparci che l’intelligenza digitale prenda il posto dell’intelligenza biologica”.

Joshua Rothman, Why the Godfather of A.I. Fears What He’s Built, The New Yorker (20/11/2023), traduzione L.V. Nel disegno (Wikipedia) un’immagine simbolica dell’intelligenza artificiale.

Un simbolo del fallimento della Repubblica islamica

Ad aprile 2023 la Guida Suprema ha affermato che la rimozione del velo era un atto “religiosamente e politicamente peccaminoso”. Mohammad Hadi Rahimi Sadegh, il capo del seminario della provincia di Teheran, ha avvertito che se non si fosse affrontato il problema della rimozione del velo “niente sarebbe rimasto del sistema islamico”. Ma l’obbligo della hijab è, in un certo senso, un’invenzione del defunto Ayatollah Khomeini, al pari della struttura legale della Repubblica islamica stessa, che risponde sia a Dio sia alla volontà del popolo. I funzionari hanno ampliato la sorveglianza digitale e video, utilizzando filmati di donne senza velo per negare servizi e imporre multe, anche se persistono a sostenere che la persuasione e il “lavoro culturale” siano i modi migliori per incoraggiare l’osservanza alle norme. Quando sono atterrata in un aeroporto regionale, durante un recente viaggio in Iran, sul mio telefono è arrivato un SMS che mi informava che “l’hijab è un’immunità, non una limitazione” e mi chiedeva di rispettare me stessa e gli altri obbedendo alla legge.
Haleh Esfandiari ha affermato che lo Stato è intrappolato in un dogma di propria creazione: se di fronte alle proteste iniziali, avesse semplicemente rilassato i controlli sull’uso della hijab, avrebbe potuto disinnescare la rabbia degli iraniani. Invece lo Stato ha risposto con una feroce ondata di repressione, arrestando migliaia di persone, uccidendo circa cinquecento manifestanti e giustiziandone molti altri al termine di processi farsa. “Mesi fa la questione era l’hijab”, mi ha detto Esfandiari. “Ora la gente vuole rovesciare il regime”. Le studentesse delle scuole femminili hanno rappresentato una sfida particolare. “Queste sono giovani nate sotto questo regime, che sono stati indottrinate dalle sue scuole, e a cui è stato detto cosa fare, è stato detto di pregare, è stato detto di mettersi il cappuccio in testa dall’età di sei o sette anni”, ha detto Esfandiari. “La loro ribellione è un simbolo del fallimento della Repubblica islamica”.

Azadeh Moaveni, The Protests Inside Iran’s Girls’ Schools, The New Yorker (14/8/2023). Nella foto (University of Pennsylvania) Haleh Esfandiari.

Che l’argomento non fosse mai arcano

Nel 1968 il professor Mendelsohn fondava il Journal of the History of Biology.
“La biologia, in particolare, deve essere studiata nei suoi rapporti con le altre scienze e con le correnti intellettuali del suo tempo”, aveva scritto in un saggio introduttivo nel primo numero della rivista. “Può anche essere esaminata per le sue interazioni con le istituzioni della società da cui emergono i suoi risultati”.
Qualunque fosse il ramo della scienza su cui stava scrivendo o tenendo conferenze, faceva in modo che l’argomento non fosse mai arcano.
Agli studenti di dottorato diceva che avrebbero dovuto essere in grado di uscire su Harvard Square e spiegare gli argomenti delle proprie tesi alla gente per strada. In una lezione del 2013 al Dartmouth College, aveva parlato della rivoluzione scientifica del XVI e XVII secolo, della rivoluzione industriale e delle recenti rivoluzioni digitale e biologica, e aveva concluso domandandosi se i progressi non corressero il rischio di diventare così complessi che il grande pubblico non sarebbe stato in grado di capirli o di prendere decisioni informate sulle loro applicazioni – una prospettiva che non accoglieva con favore.
“Le rivoluzioni scientifiche richiedono una più sviluppata partecipazione dei cittadini, il che è difficile, perché il livello di conoscenza richiesto potrebbe essere elevato e una delle sfide è come colmare questo divario”, ha affermato.
Aveva aggiunto: “La scienza è per molti aspetti troppo importante per le nostre vite – credo che potremmo dire – per essere lasciata soltanto agli esperti”.

Neil Genzlinger, Everett Mendelsohn, Who Linked Science and Society, Dies at 91, The New York Times (15/7/2023). Nella foto (Harvard University) Everett I. Mendelsohn.

La morte di ogni citazione spontanea

È già da molto tempo che le redazioni si sono, ovviamente, ridotte fino a quasi scomparire, a causa dei cambiamenti economici e della rivoluzione digitale.
In questo momento sto cercando la prova della loro esistenza in un’inquietante nave fantasma. Di tanto in tanto sento dei giornalisti che al telefono stanno adulando o incitando una fonte riluttante, ma anche questo avviene in sordina perché molti dei giornalisti più giovani preferiscono comunicare con le fonti tramite email o messaggi di testo.
“Un problema di questo approccio”, ha detto Jane Mayer del New Yorker, che aveva iniziato con me a The Star, “è che se intervisti le persone per iscritto, hanno il tempo di considerare e modificare le loro risposte alle tue domande, il che significa la morte di ogni citazione spontanea, inaspettata, sconsiderata e divertente”.

Maureen Dowd, Requiem for the Newsroom, The New York Times (29/4/2023). Nella foto (Wikipedia, Larry Moore) Jane Meyer.

Sperare di risultare simpatici all’algoritmo

È ora arrivato il momento di decriptare la “civilizzazione” digitale che sta inesorabilmente prendendo piede, ancora più rapidamente dopo il Covid-19. Che ci fa cercare l’anima gemella (e il just fuck, dixit il direttore del dipartimento d’economia dell’École normale supérieure e fondatore dell’École d’économie de Paris) su Tinder, e le notizie, o piuttosto la conferma delle nostre convinzioni, su Twitter. Dobbiamo sperare di risultare simpatici all’algoritmo per un nuovo posto di lavoro, mentre per svolgere quello che abbiamo ci affidiamo alla linea ADSL che consente il lavoro a distanza, senza la seccatura dei colleghi. Ma l’Homo Numericus, che attraverso la rivoluzione digitale aspira a costruire un mondo nel quale tutte le voci siano udibili, senza verità rivelate, si scopre pieno di contraddizioni: vorrebbe controllare tutto ma in realtà si comporta in modo irrazionale e impulsivo e con la sua compulsiva attività sui social trasferisce gratuitamente agli algoritmi una quantità impressionante di informazioni che lo rendono un sorvegliato speciale.

Andrea Goldstein, Homo Numericus tra idee e realtà, Il Sole 24 Ore Domenica (18/12/2022). Nell’immagine, la copertina di Homo Numericus di Daniel Cohen, Albin Michel (2022).

Con l’accusa di incitare alla sovversione

La polizia aveva ammonito Xie Yang, un avvocato per i diritti umani, di non recarsi a Shanghai per visitare la madre di un dissidente. Lui è andato comunque all’aeroporto.
L’app sul suo telefono che riporta il codice sanitario era verde, il che significava che poteva viaggiare. Il codice sanitario è un pass digitale che indica una possibile esposizione al coronavirus. Changsha, la sua città natale, non aveva casi di Covid-19 ed erano settimane che lui non viaggiava.
L’app è poi diventata rossa, segnalandolo come persona ad alto rischio. Gli addetti alla sicurezza dell’aeroporto hanno cercato di metterlo in quarantena, ma Xie ha resistito. Xie ha accusato le autorità di intromettersi nel suo codice sanitario per impedirgli di viaggiare.
“Il Partito Comunista Cinese ha trovato il sistema migliore per controllare le persone”, Xie ha dichiarato in un’intervista telefonica a dicembre. Il signor Xie, che ha un atteggiamento critico nei confronti del governo, è stato infine arrestato a gennaio, dalla polizia, con l’accusa di incitare alla sovversione e di provocare problemi.

Chris Buckley, Vivian Wang, Keith Bradsher, Living by the Code: In China, Covid-Era Controls May Outlast the Virus, The New York Times (30/1/2022), traduzione L.V. Nella foto (Lex-Atlas: Covid-19) un pass digitale cinese.

Aveva inventato un politico

L’organizzazione Turning Point, che ha ricevuto piccole sovvenzioni dalla Bradley Foundation, ha sede in Arizona e ha avuto un ruolo significativo nella radicalizzazione dello stato, in parte amplificando la paura e la rabbia per le presunte frodi elettorali. Il direttore operativo di Turning Point, Tyler Bowyer, è membro del Comitato nazionale repubblicano ed ex presidente del Partito repubblicano della contea di Maricopa. Un amico di Bowyer, Jake Hoffman, gestisce la Rally Forge, una società di marketing digitale con sede in Arizona, ed è il consulente maggiormente remunerato da Turning Point. Nell’estate del 2020, la Rally Forge ha aiutato Turning Point a usare i social media per diffondere disinformazione incendiaria sulle imminenti elezioni. A settembre il Washington Post ha riportato che la Rally Forge, per conto della Turning Point Action, aveva pagato dei ragazzi affinché pubblicassero migliaia di messaggi ingannevoli ed emulativi di propaganda, proprio come aveva fatto la Russia durante la campagna del 2016. Gli adulti che dirigevano le operazioni avevano ordinato ai ragazzi di ritoccare la formulazione dei loro post, in modo da eludere il rilevamento da parte delle aziende tecnologiche. Alcuni messaggi sono stati pubblicati dagli account dei ragazzi, mentre altri sono stati postati sotto falso nome. Molti post affermavano che i voti per corrispondenza avrebbero “portato a frodi” e che i Democratici avevano architettato di rubare la Presidenza.
Turning Point Action ha negato di gestire una fabbrica di troll, sostenendo che i ragazzi impiegati erano autentici, ma uno studio dell’Internet Observatory presso il Cyber ​​Policy Center di Stanford ha documentato la truffa, insieme ad altre pratiche discutibili di Rally Forge. Nel 2016 l’azienda aveva inventato un politico, completo di fotografia ritoccata, che si sarebbe candidato come indipendente contro Andy Biggs, un repubblicano di estrema destra che cercava di ottenere un seggio al Congresso dell’Arizona. Lo stratagemma, evidentemente mirato a sottrarre voti all’avversario democratico di Biggs, non andò lontano, ma non fu certo l’unica truffa perpetrata dall’azienda. Il Guardian ha mostrato che Rally Forge ha anche creato America Progress Now, un falso gruppo di sinistra, che nel 2018 aveva promosso online i candidati del Partito dei Verdi, apparentemente per danneggiare i Democratici in diverse competizioni elettorali.

Jane Mayer, The Big Money Behind the Big Lie, The New Yorker (9/8/2021), traduzione L.V. Nella foto (Wikimedia) un cartello che indica un seggio elettorale.

Per la democrazia del 5G

CoverStory-story_mccall_museum“Ci siamo sempre tenuti alla larga dalla politica industriale, ma potremmo ritrovarci nella necessità di fare investimenti pubblico-privati, o solo pubblici, per la ‘democrazia del 5G’, ha dichiarato il senatore Mark Warner.
Se l’America non compete con i progressi della Cina, rischia di perdere la propria voce nelle decisioni etiche da prendere su alcune nuove tecnologie preoccupanti. A partire dal 2017 la Cina ha eretto una sorta di recinto digitale e fisico attorno ai musulmani nella regione dello Xinjiang, che è senza precedenti. Si stima che oltre un milione di persone siano state internate in strutture ufficialmente conosciute come “centri di formazione professionale”. Milioni di altre sono monitorate ogni giorno con telecamere per il riconoscimento facciale, impronte digitali, uso dei telefoni cellulari e dati biometrici, raccolti attraverso un programma di esami obbligatori noto come “Esami medici per tutti”. Numerose province hanno cominciato a raccogliere campioni di DNA, al fine di “migliorare la gestione e il controllo della popolazione”, come afferma un avviso della polizia. La prospettiva che la Cina possa estendere o esportare il modello Xinjiang ha messo in luce la posta in gioco nel futuro delle tecnologie intrusive.

Evan Osnos, The Future of America’s contest with China, The New Yorker (13/1/2020)

Verso un promesso paese delle meraviglie digitale

zuboff_new_photo_L’ascesa negli ultimi due decenni del capitalismo della sorveglianza è stata sostanzialmente incontrastata. “Il digitale”, ci hanno detto, andava veloce e chi faceva fatica sarebbe rimasto indietro. Non sorprende che così tanti di noi si siano affrettati a seguire il vivace coniglio bianco nel suo tunnel verso un promesso paese delle meraviglie digitale dove, come Alice, siamo caduti preda dell’illusione. Nel paese delle meraviglie, abbiamo celebrato i nuovi servizi digitali per la loro gratuità, ma ora vediamo che i capitalisti della sorveglianza che stanno dietro questi servizi considerano noi dei prodotti gratuiti. Abbiamo pensato di cercare su Google, ma ora capiamo che è Google a cercare noi. Abbiamo ipotizzato di utilizzare i social media per connetterci, ma abbiamo appreso che la connessione è il modo in cui i social media ci utilizzano. Non ci siamo quasi chiesti perché la nostra nuova TV o il nuovo materasso avessero una informativa sulla privacy, ma abbiamo iniziato a capire che le politiche sulla “privacy” sono in realtà politiche di sorveglianza.

Shoshana Zuboff, You Are Now Remotely Controlled, The New York Times (26/1/20), traduzione L.V. Nella foto (Luiss University Press) Shoshana Zuboff.