Così tante difficoltà a reprimerle

Un numero maggiore di ragazze provenienti da contesti tradizionali e da zone rurali è entrato nel sistema educativo. I loro genitori, che le avevano tenute lontane dalla scuola durante l’era dello Scià, in una società islamica si sono sentiti a proprio agio a permettere loro di ricevere un’istruzione. Secondo la Banca Mondiale, le iscrizioni femminili alle università sono balzate dal 3% nel 1977 al 67% nel 2015. Molte di queste donne hanno lasciato la propria casa per studiare in città lontane, dove hanno sviluppato nuovi valori e visioni del mondo, per poi scoprire che poco altro stava cambiando in Iran. Le donne istruite e altamente qualificate hanno lottato per assicurarsi posti di lavoro che corrispondessero alle loro nuove competenze. Gran parte dell’Iran è rimasto però fedele a un sistema patriarcale, in cui gli uomini spesso chiedevano che le loro mogli non lavorassero affatto. “La Repubblica Islamica ha inavvertitamente creato una popolazione femminile che oggi in Iran esiste come risposta e reazione alle sue stesse politiche”, mi ha detto Narges Bajoghli, professoressa di studi sul Medio Oriente presso la School of Advanced International Studies dell’Università Johns Hopkins a Baltimora. “Stanno rivendicando i loro diritti secondo le modalità che hanno imparato nelle scuole e nell’atmosfera della Repubblica islamica, ed è per questo che lo Stato ha così tante difficoltà a reprimerle”.

Azadeh Moaveni, The Protests Inside Iran’s Girls’ Schools, The New Yorker (14/8/2023). Nella foto (Johns Hopkins University) Narges Bajoghli.

Rompeva parecchi piatti

Le cause alla base dei sintomi della sclerosi multipla iniziarono a essere individuate grazie al lavoro di Jean-Martin Charcot, un medico francese dell’Ottocento, oggi considerato il fondatore della moderna neurologia. Figlio e nipote di carrozzieri e il maggiore di quattro fratelli, Charcot fu scelto dal padre come il figlio che avrebbe ricevuto un’istruzione avanzata e costosa. Studiò medicina all’Università di Parigi. […] Dopo essere diventato medico, Charcot andò a lavorare all’ospedale Salpêtrière, una vecchia fabbrica di munizioni che era stata trasformata, nelle sue parole, in un “grande manicomio (della miseria umana)”.
La Salpêtrière ospitava circa cinquemila pazienti, affetti da malattie croniche di vario tipo, soprattutto del sistema nervoso. “In altre parole si può dire che abbiamo a disposizione una sorta di museo vivente delle patologie, dotato di notevoli risorse”, aveva scritto Charcot. La sua più importante mossa scientifica può sembrare, col senno di poi, ordinaria. Aveva cominciato a differenziare e classificare i ricoverati alla Salpêtrière in base ai sintomi, per poi seguirli nel tempo, anche dopo la loro morte, studiando i loro cadaveri.
Un caso in particolare attirò la sua attenzione sulla distruzione che aveva osservato nel cervello e nel midollo spinale di alcuni cadaveri. Charcot aveva assunto come domestica una donna di nome Luc, che aveva difficoltà motorie. Charcot aveva notato che i tremori di Luc peggioravano quando si muoveva e diminuivano quando era a riposo, con un andamento diverso da quello riscontrato nel Parkinson. (Charcot, con il collega Alfred Vulpian, fu il primo a distinguere tra loro le due malattie). Luc rompeva parecchi piatti. Poiché i suoi sintomi erano peggiorati, aveva dovuto essere ricoverata alla Salpêtrière. Aveva la neurosifilide? Un tumore? Quando morì, nel 1866, Charcot ne studiò il cervello e il midollo spinale. Poté così vedere i segni di ciò che avrebbe poi chiamato sclerosi multipla disseminata. I suoi disegni di queste lesioni, effettuati dalle osservazioni al microscopio, mostrano goccioline di mielina – la guaina che riveste i nervi – che fluttuano libere a partire dall’assone, la principale fibra nervosa dei neuroni. Charcot aveva doti artistiche e spesso diceva che ciò che rende bravo un medico è la capacità di vedere senza preconcetti. Oggi sappiamo che molti degli svariati sintomi della sclerosi multipla si verificano quando la mielina attorno all’assone si sfilaccia. Un’analogia che talvolta viene proposta è che il sistema nervoso è come la parte elettrica di una lampada, e la mielina è come la guaina protettiva che isola i cavi elettrici; quando quella guaina si consuma, tante cose possono andare storte.

Rivka Galchen, A New Approach to M.S. Could Transform Treatment of Other Diseases, The New Yorker (26/7/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) una sezione di cervello umano con lesioni da sclerosi multipla, in uno dei primi disegni di Jean-Martin Charcot.

Qui è cominciata la sua ricerca sulle batterie

Come ha scritto nel libro delle sue memorie, “Witness to Grace” (2008), John B. Goodenough è stato il figlio indesiderato di un professore agnostico di religione della Yale University e di una madre con cui non ha mai legato. Senza amici tranne tre fratelli, un cane e una domestica, è cresciuto in solitudine, affetto da dislessia in una famiglia emotivamente distante. Mandato in collegio a 12 anni, di rado ha ricevuto notizie dai genitori.
Con pazienza, aiuto psicologico e intensi sforzi per migliorarsi, ha superato le sue difficoltà di lettura. Ha studiato latino e greco in collegio a Groton e ha poi perfezionato la matematica alla Yale University, la meteorologia nell’aeronautica militare durante la Seconda guerra mondiale e la fisica con Clarence Zener, Edward Teller ed Enrico Fermi all’Università di Chicago, dove ha conseguito il dottorato nel 1952.
Al Lincoln Laboratory del MIT, negli anni ’50 e ’60, è stato membro di gruppi di ricerca che hanno contribuito a gettare le basi per la memoria ad accesso casuale (RAM) dei computer e ha inoltre sviluppato piani per il primo sistema di difesa aerea della nazione. Nel 1976, quando si erano esauriti i finanziamenti federali per il suo lavoro al MIT, si è trasferito a Oxford per insegnare e per gestire un laboratorio di chimica. Qui è cominciata la sua ricerca sulle batterie.

Robert D. McFadden, John B. Goodenough, 100, Dies; Nobel-Winning Creator of the Lithium-Ion Battery, The New York Times (26/6/2023), traduzione L.V.

Allineamento e allucinazioni

Tra i ben noti problemi della ricerca per sviluppare intelligenza artificiale (A.I.), due riguardano il mantenere l'”allineamento” e l’evitare le “allucinazioni”. Per allineamento si intende la capacità dell’intelligenza artificiale di realizzare gli obiettivi dei propri creatori umani o, in altre parole, di trattenersi dal causare danni al mondo. Le allucinazioni riguardano invece l’adesione alla realtà; quando i sistemi di A.I. si confondono, hanno la cattiva abitudine di inventarsi cose anziché ammettere le proprie difficoltà. Per affrontare entrambi i problemi in ChatGPT, i ricercatori di OpenAI ne hanno messo a punto il modello linguistico con ciò che è noto come “apprendimento rinforzato dal riscontro umano”. Fondamentalmente l’azienda ha assunto persone reali per interagire con la sua A.I. Mentre gli umani parlavano con la macchina, ne valutavano le risposte, essenzialmente insegnandole quali tipi di risposte sono buone e quali non lo sono.

Farhad Manjoo, ChatGPT Has a Devastating Sense of Humor, The New York Times (16/12/2022), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, National Cancer Institute) un hot dog.

Che a volte duravano più di mezz’ora

Sulla scarsamente documentata vita personale di Mondrian, Hans Janssen è in difficoltà a contrastare un’immagine caricaturale che fa risalire a una biografia del 1956 di Michel Seuphor, un confidenziale apostolo belga. Seuphor aveva ritratto l’artista come, nella parafrasi di Janssen, “un asceta che non amava la compagnia degli amici, si comportava in modo strano con le donne ed era concentrato ossessivamente su un approccio rigoroso e geometrico all’arte e alla vita”. Con abbondanti testimonianze Janssen stabilisce invece che, quando non era rintanato a lavorare, Mondrian era affascinante, conviviale ed esuberante e, sebbene poco incline a legarsi, aveva delle relazioni. Sebbene formale e riservato, Mondrian era sempre vestito in maniera elegante, cordiale e gentile nei modi e, soprattutto, era un appassionato ballerino dilettante, abile fin dagli esordi nell’one-step, nel foxtrot e nel charleston. Janssen riferisce che, tra le donne di Amsterdam, il giovane Mondrian “si era fatto una reputazione per baci intriganti e prolungati, che a volte duravano più di mezz’ora”.

Peter Schjeldahl, The Mysteries of Mondrian, The New Yorker (3/10/2022), traduzione L.V. Nell’immagine (Wikipedia, Kunstmuseum Den Haag) Piet Mondrian, Autoritratto (1918).

Fin da bambino sognava di capire chi siamo e da dove veniamo

Eppure, nonostante le difficoltà, siamo riusciti a leggere il DNA dei nostri “nonni” e “bisnonni, grazie alla perseveranza di chi ha osato tentare un’impresa considerata impossibile o folle, e grazie alle tecniche sofisticatissime che hanno avuto la meglio. Gli ultimi risultati spettacolari, dal genoma dei Neandertal a quello recuperato dal dito dell’uomo di Denisova, sono solo la cima visibile di una montagna di dati e scoperte che continua a crescere a una velocità da cardiopalmo per i ritmi a cui erano abituati i paleontologi. Il merito è soprattutto di Svante Pääbo, uno scienziato che fin da bambino sognava di capire chi siamo e da dove veniamo.

Lisa Vozza, Che cosa ci ha reso umani?, Biologia e dintorni – Aula di scienze Zanichelli (2/10/2011). Nella foto (Nobel Prize Outreach, Linda Vigilant) Svante Pääbo, il 3 ottobre 2022, dopo avere ricevuto la notizia del suo premio Nobel per la fisiologia o la medicina.

Continuavano a morirmi

Per tutti i quattro anni del suo primo mandato, il presidente Reagan aveva avuto qualche difficoltà a instaurare qualsiasi tipo di relazione con le sue controparti in Unione Sovietica. “Continuavano a morirmi”, aveva spiegato in seguito. Al suo vicepresidente, George H.W. Bush, era toccato partecipare ai funerali. “Voi morite, io volo” diceva Bush con caustica ironia.

Peter Baker, How Reagan and Bush Overcame Skepticism to Collaborate With Gorbachev, The New York Times (31/8/2022). Nella foto (Wikipedia) George H.W. Bush, Michail Sergeevič Gorbačëv e Ronald Reagan nel 1988.

C’era un detto tra i piloti

L’isola di Ascensione è talmente piccola e remota che a volte anche i navigatori umani hanno avuto difficoltà a trovarla. Durante la Seconda guerra mondiale, gli aerei che dovevano volare in missione dagli Stati Uniti alla Birmania, sorvolando il Brasile e l’Africa, usavano l’isola di Ascensione come scalo per il rifornimento di carburante. Se non riuscivano a localizzare l’isola, erano costretti ad ammarare nell’Atlantico meridionale. C’era un detto tra i piloti: “Manchi l’Ascensione e tua moglie si becca una pensione”.

David Barrie, Supernavigators, The Experiment (2019), traduzione L.V. Nella foto (Military History Now) la base aerea Wideawake sull’isola di Ascensione durante la Seconda guerra mondiale.

Un suggerimento che la Chiesa non ha ancora applicato a se stessa

Storicamente, uno dei punti deboli della Chiesa al riguardo è anche uno dei suoi punti di forza: il fatto di avere accesso a un immenso bacino di manodopera profondamente devota ed estremamente poco costosa. Questo è anche il motivo per cui la Chiesa, per mancanza di competenze, è spesso sembrata in svantaggio; le sue attività tendono ad essere gestite da suore e clero, che abbondano e costano poco, piuttosto che da laici esperti e con titoli di studio superiori. “L’intero modello economico della Chiesa non funziona con persone che hanno bisogno di nutrire bambini, mandarli a scuola e possedere un’auto”, ha detto Molly Burhans. “Anche questa è una questione morale, perché vediamo insegnanti laici che insegnano nelle scuole cattoliche e non possono permettersi di mandare i propri figli nella stessa scuola”. Nella sua lettera di Pasqua dell’anno scorso, Papa Francesco ha osservato che la pandemia aveva enormemente esacerbato le già grandi difficoltà economiche in cui si trovavano molte persone in tutto il mondo. “Questo potrebbe essere il momento di considerare un salario di base universale”, ha scritto il Papa. Un suggerimento che la Chiesa non ha ancora applicato a se stessa.

David Owen, How a Young Activist Is Helping Pope Francis Battle Climate Change, The New Yorker (8/2/21), traduzione L.V.

Far parlare Faussone

Primo_Levi

Lei forse sa che una delle maggiori difficoltà nello scrivere in italiano è introdurre il discorso diretto, perché l’italiano è poco parlato e l’italiano parlato è una lingua abbastanza povera. È più ricco spesso il dialetto dell’italiano o il gergo. Per questo mi è venuto estremamente naturale far parlare Faussone in questo certo suo modo che non è una mia invenzione: è veramente il modo con cui si parla in officina, in Piemonte per lo meno. In altre officine, in Lombardia o in Campania, si parlerà diversamente, ma qui si parla così. Mi è venuto spontaneo lasciarlo parlare in questo modo sintatticamente piuttosto povero, però estremamente preciso; quando si riferisce a cose tecniche, le cose che lui sa, di cui conosce il nome, la sua competenza si estende anche al linguaggio.

Primo Levi, citato da Giovanna Massariello Merzagora in I luoghi di Levi tra letteratura e memoria, a cura di Giorgio Brandone e Tiziana Cerrato, Liceo Classico “D’Azeglio” Torino (2008). Nella foto (Wikimedia) Primo Levi.