Questa relazione simbiotica non esiste più

Nel corso di gran parte della storia del mondo occidentale i più ricchi sono stati visti, nelle loro comunità, come una presenza potenzialmente sfavorevole. Per tentare di placare questo sentimento hanno usato le proprie ricchezze per sostenere le loro società in tempi di crisi come pestilenze, carestie o guerre.
Questa relazione simbiotica non esiste più. I ricchi di oggi, la cui prosperità si è in gran parte preservata durante la Grande Recessione e la pandemia di Covid-19, si sono opposti a riforme volte a toccare le loro risorse per finanziare politiche di mitigazione di ogni tipo.
Si tratta di uno sviluppo storico eccezionale. Contribuire a pagare il conto delle grandi crisi è stata per lungo tempo la principale funzione sociale attribuita ai ricchi dalla cultura occidentale. In passato, quando i più ricchi sono stati percepiti come insensibili alla difficile situazione delle masse, e soprattutto quando sembravano trarre profitto da tali situazioni (o c’era semplicemente il sospetto che lo facessero), le società sono diventate instabili: ci sono stati scontri, aperte rivolte e violenze contro i ricchi. Poiché la storia ha la spiacevole caratteristica di ripetersi, faremmo bene a considerare gli sviluppi recenti, inclusa l’incapacità dei legislatori di aumentare le tasse per i più ricchi, in una prospettiva a lungo termine.

Guido Alfani, What Happens When the Super Rich Are This Selfish? (It Isn’t Pretty.), The New York Times (19/11/2023), traduzione L.V. Nella foto (Università Bocconi) il professor Guido Alfani.

La Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine

Come scienziati ci siamo chiesti: perché? Perché esseri solitari e reclusi devono lottare per arrampicarsi su un promontorio roccioso ed entrare in una comunità di un centinaio di esseri umani? Perché tutte queste tartarughe sono venute da noi, in numeri senza precedenti, per fare la cosa più importante per loro? Quando i nostri studenti sono andati alla ricerca di siti adatti a trasferire al sicuro le molteplici uova che avevano deposto non solo nell’ultimo anno, hanno trovato una risposta. Le lingue di sabbia preferite dalle tartarughe erano sott’acqua a causa di piogge più intense del solito. Quando il livello del lago si è alzato, hanno dovuto cercare un terreno più in alto. Ho avuto l’impressione che le tartarughe azzannatrici fossero diventate rifugiati climatici.
E questo è il pensiero che non mi da pace.
Penso che le tartarughe si siano dirette verso l’alto in preda a una sorta di disperazione, come chiedendoci di prestare attenzione, per farci vedere che stiamo vacillando sull’orlo della catastrofe climatica con i nostri parenti, animali e vegetali, che scompaiono a ondate dopo ondate di estinzioni. La scienza, armata di modelli con cui prevedere gli imminenti cambiamenti, è un potente strumento per affrontare queste crisi. Ma non è l’unico. Come scienziato sento dati indiscutibili, e anche un messaggio, allo stesso tempo materiale e spirituale, portato dalle tartarughe azzannatrici: la Terra ci chiede qualcosa di più della gratitudine.

Robin Wall Kimmerer, The Turtle Mothers Have Come Ashore to Ask About an Unpaid Debt, The New York Times (22/9/2023), traduzione L.V.

La responsabilità dei problemi economici della classe media

Alcuni funzionari cinesi sostengono anche che molti politici americani – capitanati da Trump ma riecheggiati anche da diversi membri del Congresso – improvvisamente hanno trovato molto conveniente attribuire la responsabilità dei problemi economici della classe media degli Stati Uniti non a carenze educative o a una scarsa etica del lavoro, o all’automazione o al saccheggio del 2008 da parte delle élite finanziarie e alla crisi che ne è seguita, ma alle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti.

Thomas Friedman, America, China and a Crisis of Trust, The New York Times (14/4/2023). Nella foto (Wikipedia, World Economic Forum) Thomas Friedman.

Al servizio dei grandi distruttori di popoli

Nelle sanguinose crisi di civiltà sono riconosciute solo quelle scienze che si mettono con vergognosa sottomissione al servizio dei grandi distruttori di popoli. Ieri sono stati gli aeroplani, i cannoni colossali, i gas asfissianti e i lacrimogeni; domani saranno germi di malattie, epidemie diffuse dalle nuvole, l’avvelenamento del cibo e dell’acqua.

Santiago Ramón y Cajal, Recollections of my life, traduzione dallo spagnolo all’inglese di E. Horne Craigie e Juan Cano, MIT Press (1989), traduzione L.V. Nella foto (nobelprize.org) Santiago Ramón y Cajal.

Ah, il progresso, come ci credevamo!

“Inutile caro Clé, sei nato troppo tardi,” diceva zio Miscia, “non avrai mai un’idea di cosa fosse la vita nel ‘gran decennio’.” Per gran decennio zio Miscia intendeva gli anni all’incirca dal 1900 al 1910-14, insomma il Novecento prima della guerra mondiale. “Basta leggere Thomas Mann per rendersene conto…” continuava lo zio. “Furono gli ultimi anni europei di pace, d’abbondanza, di liberi scambi prima del delirio e del diluvio, prima delle catastrofi nazionali e delle crisi permanenti. Le monete erano stabili, non esistevano passaporti (salvo per la Russia), la luce della ragione pareva avere sconfitto tutti i demoni più bui… Ah, il progresso, come ci credevamo!”

Fosco Maraini, Case, amori, universi, La nave di Teseo (2019)

La nostra missione

“La nostra missione è dare alle persone il potere di costruire comunità e avvicinare il mondo” è una dichiarazione d’intenti che si trova nei Termini di servizio di Facebook; tutti coloro che utilizzano Facebook acconsentono implicitamente a questa dichiarazione. Negli anni in cui l’azienda è diventata un gigante, il mondo è stato testimone di un’epidemia di solitudine, della crescita dell’estremismo, della violenza e della polarizzazione politici, dell’ascesa dell’autoritarismo, del declino della democrazia, di una crisi catastrofica nel giornalismo e di un aumento senza precedenti della propaganda, delle notizie false e della disinformazione. Pur non essendo Facebook la causa diretta di queste calamità, molte prove accusano l’azienda di avere contribuito a ciascuna di esse. A luglio scorso il Presidente Biden ha affermato che la disinformazione diffusa da Facebook su Covid-19 “sta uccidendo le persone”.

Jill Lepore, Facebook’s Broken Vows, The New Yorker (2/8/2021), traduzione L.V.

La banalità del male in formato M.B.A.

L’accordo federale con la Purdue arriva mentre gli Stati e i comuni stanno chiedendo ai produttori di oppiacei risarcimenti per avere contribuito ad alimentare una crisi sanitaria che dal 1999 ha ucciso più di 450.000 americani. La Purdue sta adesso cercando la protezione dalla bancarotta, al pari di altri produttori.
“Questa è la banalità del male in formato M.B.A.”, ha detto, del lavoro della McKinsey con la Purdue, Anand Giridharadas, un ex consulente della McKinsey stessa che ha esaminato i documenti. “Sapevano cosa stava succedendo. E hanno trovato la maniera di girarci attorno, di traverso e oltre, in modo da rispondere alle uniche domande a cui tenevano: come far fare soldi al cliente e come proteggersi, quando le vie d’uscita si stavano chiudendo”.

Walt Bogdanich and Michael Forsythe, McKinsey Proposed Paying Pharmacy Companies Rebates for OxyContin Overdoses, The New York Times (27/11/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) una pillola di OxyContin.

Per contrastare i messaggi emotivi delle madri

Il coinvolgimento della McKinsey nella crisi degli oppiacei è venuto alla luce all’inizio dello scorso anno, con il rilascio di documenti da parte del Massachusetts, uno degli Stati che hanno fatto causa alla Purdue. Quei documenti mostrano che la McKinsey stava aiutando la Purdue a trovare un modo “per contrastare i messaggi emotivi delle madri di adolescenti che avevano avuto un’overdose” da OxyContin.

Walt Bogdanich and Michael Forsythe, McKinsey Proposed Paying Pharmacy Companies Rebates for OxyContin Overdoses, The New York Times (27/11/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) una pillola di OxyContin.

Il Paese si diede alla caccia alle balene

Il Giappone aveva sofferto di una crisi alimentare che era durata dal dopoguerra fino agli anni Sessanta e che era stata innescata dalla distruzione delle catene di approvvigionamento e dei terreni agricoli. Su consiglio del generale Douglas MacArthur, il supervisore nominato durante l’occupazione da parte degli Stati Uniti, il Paese si diede alla caccia alle balene. La carne di balena era servita come fonte di proteine ​​a basso costo ai bambini delle scuole elementari e medie, e divenne anche un simbolo di capacità di ripresa nazionale. Sebbene oggi la carne di balena sia consumata in quantità molto limitate – meno di 50 grammi per persona all’anno – la caccia alle balene è ancora fortemente sovvenzionata dallo stato, e la maggior parte dei prodotti sono immagazzinati e non consumati. Nel 2019 un ricercatore dell’Università di Rikkyo ha stimato in 3700 tonnellate le scorte giapponesi di carne di balena. Dopo che la Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC) ha imposto una moratoria globale, il Giappone ha continuato imperterrito. Fino al 2019, quando il Paese è uscito dall’IWC, il Giappone ha apertamente sfruttato una scappatoia nella moratoria, che consente di uccidere balene a fini di ricerca e di vendere ogni residuo di carne come cibo. Tra il 2005 e il 2014, circa 3600 balenottere minori sono state uccise dai balenieri giapponesi nell’Oceano Australe, a fronte di soli due articoli pubblicati in riviste scientifiche con valutazione tramite peer review.

Amia Srinivasan, What Have We Done to the Whale?, The New Yorker (24/8/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) due balenottere trascinate a bordo di una nave baleniera giapponese.

E se la pandemia non capita durante il suo mandato?

Carrol“Per la collettività globale è davvero difficile investire in ciò che noi consideriamo essere dei rischi”, mi ha detto Dennis Carroll di recente. Spendere molti soldi è già di per sé un rischio, specialmente se si tratta di denaro pubblico, anche se la spesa è per assicurarsi contro un rischio maggiore. Se un politico spende un miliardo di dollari, o dieci miliardi, spiccioli rispetto a quanto sta costando ora Covid-19, e la pandemia non capita durante il suo mandato? “La propensione per questo tipo di investimenti è minima quando la minaccia non è ben chiara o presente”, ha detto Carroll. Quando arrivano una SARS, una pandemia di influenza suina o una di Ebola, allora i leader politici e i donatori privati ​​reagiscono con agitate maniche larghe, ma appena la crisi finisce, ha detto Carroll, “osserviamo un collasso totale di questo genere di spesa”. I proprietari di case comprano assicurazioni contro gli incendi, i governi acquistano enormi arsenali di armi nella speranza di non doverle usare, ma c’è riluttanza a investire seriamente nella preparazione contro le pandemie. “È un disturbo da deficit di attenzione su scala globale”, ha detto Carroll.

David Quammen, Why Weren’t We Ready for the Coronavirus?, The New Yorker (11/5/2020), traduzione L.V. Nella foto (Global Virome Project) Dennis Carroll.