La fede nel dualismo

Lo psicologo Paul Bloom, nel libro dal titolo Descartes’ Baby, si spinge fino a suggerire che siamo effettivamente nati per essere dei dualisti filosofici, come lo era lo stesso Cartesio, e per credere che la mente sia separata dal corpo. Il dualismo, suggerisce Bloom, è innato.
Questo non vuole ovviamente dire che le nostre menti siano separate dai nostri corpi: è solo che siamo predisposti a crederlo. È davvero difficile convincere la maggior parte delle persone, eccetto noi baldi psicologi e materialisti neuroscienziati, che siamo semplicemente creature di carne e ossa, con processi fisici all’interno delle nostre teste che dettano i nostri pensieri e le nostre azioni. La fede nel dualismo, ossia l’idea che la mente possa sfuggire al corpo e ai vincoli del mondo fisico, è del resto un aspetto del pensiero errante.

Michael C. Corballis, The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, no Fronteiras do Pensamento) Paul Bloom.

Se veramente credessi nella taumaturgia

Uscendo dalla chiesa del Santo Sepolcro e girando intorno alle mura dal lato Sud è possibile salire sul tetto dell’edificio, dove si sono sistemati gli abissini. Ragioni d’economia imposero loro in passato di rinunciare al posto nell’interno; dovettero rifugiarsi in alto, fuori. E lassù vivono in un paesaggio straordinario di celle e casupole irregolari, alcune rotonde come capanne africane, che fa pensare ancora una volta a Gaudì. Tra mura che hanno superfici modellate come spalle o fianchi di giganti, ricche d’irregolarità che il sole radente mette bene in evidenza, dove si aprono finestre curiose e scale storte, dove cresce tutto un giardino pensile, appaiono improvvisi e silenziosi, sorridenti e muti, alti e sottili, dei preti neri.
Se veramente credessi nella taumaturgia andrei da loro.

Fosco Maraini, Le pietre di Gerusalemme, a cura di Maria Gloria Roselli, Il Mulino (2022)

E non li farebbero morire di fame

Quanti bei discorsi a proposito di scuole, di biblioteche rurali, di istruzione obbligatoria, ma se tutti questi ingegneri, industriali e signore di sua conoscenza non facessero gli ipocriti e credessero veramente che l’istruzione è necessaria, non darebbero agli insegnanti quindici rubli al mese come adesso, e non li farebbero morire di fame.

Anton Čechov, Nel cantuccio natio, Racconti, Garzanti (2013)

Uno degli aspetti più importanti dell’obesità

Un corpo sano è in genere in grado di segnalare al cervello quando ha ricevuto cibo a sufficienza, ma a volte questo sistema di segnalazione può essere difettoso o smettere di funzionare correttamente. “Uno degli aspetti più importanti dell’obesità, che la maggior parte delle persone non capisce, è che, mentre il peso sta aumentando, vengono danneggiati i circuiti nervosi che regolano il peso stesso”, mi ha spiegato il dottor Louis J. Aronne, direttore del Comprehensive Weight Control Center presso l’ospedale Weill Cornell di New York. (Aronne, come molti altri eminenti specialisti in medicina dell’obesità, è stato consulente degli studi clinici condotti dalla Novo Nordisk). “L’ipotalamo mostra segni di infiammazione e di lesioni”, ha continuato. La teoria prevalente, mi ha spiegato, è che “troppe calorie che entrano troppo velocemente danneggiano i nervi che rispondono agli ormoni che controllano il peso corporeo”. Uno di questi ormoni è la leptina, che viene prodotta nel grasso corporeo e che segnala al cervello che è ora di smettere di mangiare. Se però uno ingrassa, l’eccesso di leptina può causare una desensibilizzazione del corpo, facendo credere erroneamente al cervello che stia morendo di fame. “Il corpo cerca di riequilibrare il sistema rallentando il metabolismo e aumentando l’appetito”, ha detto Aronne. Dopo che una persona è ingrassata a sufficienza da entrare in questo ciclo di deviazioni metaboliche, diventa quasi impossibile perdere quel peso e mantenersi stabili a lungo termine solo con la dieta e l’esercizio fisico. (Ci riesce solo il cinque per cento circa delle persone).

Jia Tolentino, Will the Ozempic Era Change How We Think About Being Fat and Being Thin?, The New Yorker (27/3/2022). Nella foto (Weill Cornell) il dottor Louis J. Aronne.

Tra quando mi si frustava e quando smisero di frustarmi

Nelle mie vene scorre sangue contadino, non son dunque le virtù contadine a farmi impressione. Al progresso ho creduto sin dall’infanzia, e non potevo non crederci, poiché la differenza tra quando mi si frustava e quando smisero di frustarmi, fu enorme. Le persone intelligenti, la sensibilità, la cortesia, lo spirito sottile, li ho sempre amati, e il fatto che la gente si stuzzicasse i calli o che le loro pezze da piedi mandassero un odore asfissiante mi lasciava del tutto indifferente, così come mi è indifferente che al mattino le signorine girino coi diavolini nei capelli. La filosofia tolstojana tuttavia mi commoveva fortemente, essa m’ha dominato per sei o sette anni; su di me influivano non tanto le sue tesi fondamentali, che conoscevo già da prima, quanto la sua particolare maniera d’esprimersi, il suo parlare per sentenze e, probabilmente, una specie d’ipnotismo. Ora invece qualcosa in me protesta; un ragionamento imparziale mi dice che c’è più amore per l’umanità nella forza elettrica e nel vapore, che nella castità e nell’astenersi dal mangiar carne.

Anton Čechov, Vita attraverso le lettere, traduzione di Gigliola Venturi e di Clara Coïsson, Einaudi (1989). Nella foto (Wikipedia) Anton Čechov e Lev Tolstoj a Jalta (1900).

Ragazzi, forse non seguite quanto me quello che succede in rete

Nonostante tutto il suo peso e le sue conseguenze, il Rapporto sul 6 Gennaio non chiede perché qualcuno abbia potuto credere a Donald Trump. Anche per questo è improbabile che qualcuno, leggendolo, possa convincersi a non credergli. […]
Mai prima della pandemia era accaduto che così tante persone passassero così tanto tempo online. Nel Rapporto non si esamina come Facebook e Twitter abbiano profittato della diffusione di notizie false sulle elezioni e della fornitura dell’infrastruttura organizzativa per l’insurrezione. Né si analizza come abbiano fatto profitti grazie all’avere reso possibile sia il doxing, ossia la ricerca e la pubblica diffusione malevola di informazioni personali e private online, sia la persecuzione di funzionari pubblici coraggiosi e coscienziosi che si sono rifiutati di partecipare alla congiura. Quando alcune persone dello staff di Trump gli dicono che le accuse di frode sono infondate, lui risponde: “Ragazzi, forse non seguite quanto me quello che succede in rete”. Neppure la Commissione lo ha fatto.

Jill Lepore, What the January 6th Report Is Missing, The New Yorker (16/1/2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) la copertina del Rapporto del Congresso sul 6 Gennaio.

Soffrivano di moscovite acuta

Fummo soffocati dai consigli. Ci dissero quali vettovaglie dovessimo portare, o saremmo morti di fame; quali linee di comunicazione lasciare aperte; e certi metodi segretissimi per riportare a casa la nostra roba. La cosa più difficile fu spiegare che volevamo soltanto riferire come fosse il popolo russo, come vestisse, come si comportasse, di che cosa parlassero i contadini, che cosa si facesse nell’opera di ricostruzione delle zone distrutte. Era questa, la cosa più difficile da spiegare. Scoprimmo che migliaia di persone soffrivano di moscovite acuta, un morbo che fa credere a ogni assurdità e rigetta qualsiasi fatto. Naturalmente scoprimmo poi che i russi soffrono di washingtonite, la stessa affezione. E che, come noi vediamo il babau nella Russia, così la Russia vede il babau nell’America.

John Steinbeck, Diario russo – con le fotografie di Robert Capa, traduzione di Roberto Monicelli, Bompiani (2018)

Trovo molto più facile parlare con i capi tribù

Era religioso da ragazzo?
Be’, ero un battista del Sud, naturalmente. E ovviamente ero devoto perché tutti erano devoti, proprio come tutti nel Sud dell’Alabama erano razzisti. Faceva parte di una cultura indiscutibile. Quando ho iniziato l’università ho scoperto l’evoluzione, e combinandola con la naturale ribellione di un ragazzo di 17-18 anni, mi sono allontanato dal protestantesimo fondamentalista.
Quindi crede in Dio?
Non sono ateo, perché penso che sarebbe sciocco negare, dogmaticamente, la possibilità di una qualche forma di intelligenza superiore. Ma la religione è semplicemente un’espressione del tribalismo che include la credenza, la speranza, il desiderio che la propria particolare tribù sia benedetta da Dio. Soddisfatto di questa spiegazione, trovo molto più facile parlare con i capi tribù, noti anche come preti, rabbini e pastori.

Erik Olsen, James Gorman, Robin Stein, E.O. Wilson: The Last Word, The New York Times – 2008 (27/12/2021). Nella foto (Wikipedia, Plos) E.O. Wilson.

Sull’orlo della follia da missione

La parola “missione” deriva dal latino “inviare”. In inglese, storicamente, la missione è cristiana, e significa inviare lo Spirito Santo nel mondo per diffondere la Parola di Dio. Una missione comporta la salvezza delle anime. Nel diciassettesimo secolo, quando il termine “missione” comunica per la prima volta qualcosa di laico, significa diplomazia: gli emissari vanno in missione. Le missioni scientifiche e militari – e l’espressione “missione compiuta” – risalgono alla Prima guerra mondiale. Nel 1962 J.F.K. chiamò la conquista della luna una “missione intentata”. I “mission statement”, o le dichiarazioni d’intenti, risalgono alla guerra del Vietnam, quando i capi di stato maggiore iniziarono a redigere obiettivi in ​​continua evoluzione per una guerra nota per la sua inutilità. (Il programma televisivo Mission: Impossible ha debuttato nel 1966). Dopo il 1973, su sollecitazione del guru del management Peter Drucker, le aziende hanno iniziato a scrivere “mission statement” come parte del processo di “pianificazione strategica”, un’altra espressione che Drucker aveva preso in prestito dai militari. In breve tempo i “mission statement” si sono insinuati anche nella vita universitaria, via via che l’istruzione superiore si stava aziendalizzando. “Siamo sull’orlo della follia da missione”, riferiva il Chronicle of Higher Education nel 1979. Un decennio più tardi, una rivista di management annunciava: “Sviluppare un ‘mission statement’ è un primo passo importante nel processo di pianificazione strategica”. Ma negli anni Novanta i “mission statement” aziendali si erano spostati dal regno della pianificazione strategica a quello delle relazioni pubbliche. Una delle ragioni per cui sono perlopiù cagate. Uno studio del 2002 ha riportato che la maggior parte dei manager non crede nei “mission statement” delle proprie aziende. Le indagini scientifiche suggeriscono una regola empirica: più il business è discutibile dal punto di vista etico e più grandioso e ipocrita è il suo “mission statement”.

Jill Lepore, Facebook’s Broken Vows, The New Yorker (2/8/2021), traduzione L.V. Nella foto (NASA) J.F.K. mentre pronuncia il suo discorso sulla luna allo stadio della Rice University nel 1962.