Naturalmente aiuta il fatto che Čechov suoni sempre preveggente. Le riflessioni di Astrov sul degrado ambientale potrebbero essere state scritte da Greta Thunberg: “L’uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per moltiplicare quanto gli è dato, ma fino a oggi egli non ha creato, bensì distrutto. I boschi sono sempre meno, i fiumi seccano, la selvaggina si è estinta, il clima è rovinato e di giorno in giorno la terra si fa più povera e caotica”.
Da medico esperto con conoscenza diretta dell’inquinamento, delle malattie e della distruzione del mondo naturale, Čechov scriveva di decadimento e spreco con rabbia incandescente e piena di dolore. Eppure, per quanto fosse un cuore gelido quello con cui scriveva – e Zio Vanja è un’opera molto fredda, anche se spesso è interpretata per far ridere – non si può non essere ravvivati dal rituale che traspare nell’oscurità di un teatro. Siamo tutti lassù su quel palco: come comici che lentamente si spengono, eppure continuano a raccontare barzellette fino a quando lo spettacolo finisce, non del tutto consapevoli di incarnare essi stessi le loro tristi battute finali.
Jon Robin Baitz, Why ‘Uncle Vanya’ Is the Play for Our Anxious Era, The New York Times (21/3/2024), traduzione L.V. La citazione da Zio Vanja viene dalla traduzione di Gian Piero Piretto (Čechov, Teatro, Garzanti, 1989). Nella foto (Wikipedia, Galleria Tret’jakov, Mosca) Osip Braz, ritratto di Anton Čechov. (1898).