Leggendo, ad esempio, degli studi recenti sugli effetti positivi dell’LSD, sappiamo che occorre essere piuttosto guardinghi. Molti studi hanno infatti coinvolto un numero limitato di soggetti, rigidamente selezionati. È difficile condurre tali ricerche in doppio cieco, dal momento che in studi sugli allucinogeni le persone nel braccio del placebo possono facilmente immaginare di non aver ricevuto la sostanza che avrebbe fatto fare loro un trip. In un recente articolo di ricerca indipendente, Michiel van Elk ed Eiko L. Fried, due psicologi dell’Università di Leiden, hanno identificato non meno di dieci “problemi urgenti” da affrontare per validare gli attuali studi sulle sostanze psichedeliche. Tra questi vi sono i conflitti di interessi (soprattutto da quando le aziende farmaceutiche si sono unite a gruppi di ricerca accademica nella loro conduzione), l’inadeguata segnalazione di eventi avversi, le ridotte dimensioni dei campioni, la mancanza di follow-up a lungo termine e la difficoltà nel creare sostanze placebo convincenti.
Margaret Talbot, When America First Dropped Acid, The New Yorker (22/1/2024), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) fiori di ipomea, una pianta che contiene sostanze allucinogene.