Un’invenzione nata per pura ripicca

La storia dell’automazione delle centrali telefoniche – un’invenzione nata per pura ripicca – ha inizio in un’agenzia di pompe funebri. Nel 1880, così si racconta, Almon Strowger era l’unico impresario di pompe funebri di El Dorado, nel Kansas. Ben presto però ne arrivo un altro in città, e Strowger si accorse che i suoi affari erano diminuiti drasticamente. Saltò fuori che la moglie del nuovo arrivato lavorava alla centrale, e quando le persone chiamavano chiedendo di Strowger lei le indirizzava all’attività del marito. Strowger, frustrato, si chiese come poter creare una centrale «senza ragazze, senza parolacce, senza intoppi e senza attese».
Nel 1892 Strowger brevettò il suo centralino automatico, che sostituiva l’operatore umano – potenzialmente disonesto – con un magnete. Allo stesso tempo creò il telefono a disco, quel bel marchingegno d’antan dotato di un disco con un foro sopra ciascun numero. Se si voleva chiamare il numero trentotto, si infilava il dito nel foro del telefono sopra il tre e si ruotava il disco. Quando quest’ultimo tornava nella posizione iniziale (grazie al meccanismo della molla), inviava tre impulsi elettrici alla linea. Componendo l’otto si mandavano otto impulsi.

Roma Agrawal, Dadi e bulloni, traduzione di Andrea Asioli, Bollati Boringhieri (2023). Nella foto (Wikipedia) il telefono a candeliere di Strowger con quadrante automatico (1905).

Ideali per le rapide annotazioni dei piloti

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Al civico 60 di corso Re Umberto a Torino una lapide ricorda la casa dove nacque colui che «semplificò la quotidianità della scrittura». Il signore in questione è Marcel Bich, nato nella città piemontese nel 1914 e in seguito trasferitosi con la famiglia in Francia. Qui, nel secondo dopoguerra, acquisto e perfezionò il brevetto dell’inventore ungherese Bíró, sulla base del quale avviò la produzione industriale di quella che sarebbe diventata probabilmente lo strumento di scrittura più comune e diffuso nel mondo: la penna Bic. Laszló Jozsef Bíró ideò infatti la penna che porta il suo nome e che garantiva maggiore autonomia della penna stilografica, e soprattutto non dipendeva da frequenti operazioni di ricarica. La penna di Bíró trovò subito un acquirente nella Royal Air Force britannica. Le penne a inchiostro erano infatti inadatte per il volo perché spandevano facilmente, mentre le nuove penne a sfera – denominate dalla Raf Eterpen -erano ideali per le rapide annotazioni dei piloti. L’inventore ungherese non fu però in grado di raggiungere mercati più ampi, cosa che invece riuscì a Bich, grazie anche alle migliorie apportate tra le quali quella dell’involucro trasparente che consentiva di controllare in qualsiasi momento la quantità residua di inchiostro.

Piero Martin, Le 7 misure del mondo, Laterza (2021). Nella foto la targa in memoria della nascita di Marcel Bich (1914-1994), in corso Re Umberto 60 a Torino.