Ricordava il manico di un contrabbasso

Quando rimbombarono le prime accattivanti note della mazurca, mi guardai placido intorno, mi avvicinai con aria fredda e sfrontata a una signorina dal viso cavallino e dal naso rosso e lustrante, dalla bocca goffamente dischiusa, come slacciata, e dal collo nodoso di vene che ricordava il manico di un contrabbasso; accostatomi, con un secco schiocco di tacchi la invitai a ballare.

Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, traduzione di Alessandro Niero, Voland (2011)

E registra sulla lastra uno sguardo furibondo

Winston_Churchill_1941_photo_by_Yousuf_Karsh

Quando lo vede, il primo ministro gli concede «due minuti in cui devo cercare di mettere su pellicola un uomo che ha già scritto o ispirato intere biblioteche di libri, beffato i biografi, riempito il mondo con la sua fama e me, in particolare di terrore».
In attesa, Churchill si accende il sigaro. Timidamente, Karsh gli allunga un posacenere che il leader bellamente ignora. Ma quel sigaro proietta un’antiestetica ombra sul suo volto, così il giovane fotografo farfuglia un educato «mi perdoni Sir», allunga la mano, glielo toglie di bocca, si fionda alla macchina e registra sulla lastra uno sguardo furibondo.

Paola Calvetti, Elisabetta II, Mondadori (2019). Nella foto (Wikipedia) Sir Winston Churchill ritratto da Yousuf Karsh (1941).

In conseguenza di uno sfortunato errore

CHT234668Il paziente ammesso era orologiaio. La sua perdita della ragione era segnata da una caratteristica molto sorprendente: immaginava di aver perso la testa sul patibolo, che essa fosse stata gettata indiscriminatamente in mezzo alle teste di molte altre vittime, che i giudici, dopo essersi pentiti della condanna crudele, avessero ordinato che quelle teste venissero restituite ai rispettivi proprietari e posate sulle loro rispettive spalle. Ma in conseguenza di uno sfortunato errore, l’uomo incaricato di gestire la faccenda aveva messo sulle sue spalle la testa di uno dei suoi compagni di sventura. L’idea di questo cambio di testa occupava i suoi pensieri notte e giorno, al punto che i suoi parenti decisero di spedirlo all’Hôtel-Dieu. Da lì fu trasferito nel manicomio di Bicêtre. Nulla poteva eguagliare le sue esplosioni, estroverse e chiassose, di umorismo gioviale. Parlava, urlava, ballava, e poiché nella sua follia maniacale non vi era alcun atto di violenza, gli fu permesso di girare liberamente per l’ospedale, al fine di sfogare la sua effervescenza tumultuosa. “Guarda questi denti”, gridava, “i miei erano belli, ma questi sono marci. La mia bocca era sana, questa è malata. Che differenza tra questi capelli e i miei, prima che mi cambiassero la testa”.

Philippe Pinel, citato in A History of Delusions – Napoleon and ‘Delusions of Grandeur’, a cura di Daniel Freeman, BBC 4 (16/8/19), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, Bridgeman Art LibraryAnna Mérimée, Ritratto di Philippe Pinel (prima del 1826).