È un primo esempio di miniaturizzazione

Mentre parliamo, gesticoliamo tutti con le mani. Del resto, la lingua dei segni, utilizzata dai sordi e da alcune altre comunità, è efficace e linguisticamente sofisticata quanto il linguaggio parlato. Perché, allora, sarebbero state introdotte parole pronunciate, e sarebbero diventate così dominanti? Penso che le risposte siano molte. Fatta eccezione per la nostra continua inclinazione ad agitare le braccia mentre parliamo, la parola libera le mani per fare altre cose, come usare e costruire strumenti, trasportare oggetti e prendersi cura dei bisogni dei bambini. Il linguaggio è esso stesso una forma di gestualità, pur situata ordinatamente all’interno della bocca, dato che implica movimenti della lingua, delle labbra e delle corde vocali. È un primo esempio di miniaturizzazione e interferisce solo con attività intermittenti come mangiare e baciare.

Michael C. Corballis, The Wandering Mind, The University of Chicago Press (2015), traduzione L.V.

Come a un coltellino svizzero

Un insetto, in quanto artropode, è un animale modulare, formato da una successione di porzioni, chiamate «metameri», ognuna con delle appendici che possono assumere funzioni diverse: parti dell’apparato boccale, antenne, ali, zampe. Possiamo pensare a un insetto come a un coltellino svizzero dove trovate sempre lo strumento adatto per le diverse necessità.

Maurizio Casiraghi, Vite formidabili, Il Mulino (2024)

Mescolate secondo i bisogni e i ricordi

E tutta questa nomenclatura babelica s’impastava in un fondo idiomatico altrettanto babelico, cui concorrevano lingue diverse, mescolate secondo i bisogni e i ricordi, (il dialetto per le cose locali e brusche – aveva un lessico dialettale di ricchezza rara, pieno di voci cadute in disuso – , lo spagnolo per le cose generali e gentili – il Messico era stato lo scenario dei suoi anni più fortunati -, l’italiano per Ia retorica – era, in tutto, uomo dell’Ottocento – l’inglese – aveva visitato il Texas – per la pratica, il francese per lo scherzo) e ne veniva un discorso tutto tessuto d’intercalari che tornavano puntualmente in risposta a situazioni fisse, esorcizzando i moti dell’animo, un catalogo anch’esso, parallelo a quello della nomenclatura agricola – e a quell’altro non di parole ma di zufolii, pispoli, trilli, zirli, chiù, che era dato dalla sua bravura ad imitare i versi degli uccelli, sia col semplice atteggiare delle labbra, sia aiutandosi con le mani disposte in modo adatto attorno alla bocca, sia mediante fischietti e macchinette, a fiato o a molla, di cui portava nella cacciatora un vario assortimento.

Italo Calvino, La strada di San Giovanni, Mondadori (2022). Nella foto (Wikipedia) Mario Calvino con il figlio Italo e la moglie Eva Mameli.

Il robot era rimasto illeso

Qualche anno fa, un robot in un magazzino di Amazon nel New Jersey aveva fatto scoppiare inavvertitamente una bomboletta spray per orsi e ventiquattro persone erano finite in ospedale. (Il robot era rimasto illeso). Tecnicamente non si tratta di uno spray per orsi, secondo quanto è scritto sull’etichetta della mia bomboletta, che è decorata con il disegno di un orso grigio dalla bocca rossa spalancata che mostra i denti. Si tratta di “deterrente contro gli attacchi da parte degli orsi” e capirete perché il chiarimento è necessario. La primavera scorsa, il Dipartimento per la conservazione della fauna selvatica dell’Oklahoma ha twittato:

Ascoltate,
lo spray per orsi
NON
funziona come uno spray insetticida.
Vorremmo non doverlo dire di nuovo.

Lo spray per orsi è pericoloso, ma negli Stati Uniti non è quasi per niente regolamentato: potete acquistarlo in un negozio di armi; da Walmart; e nella maggior parte degli Stati Uniti potete ordinarlo online. Se andate in campeggio nelle zone più isolate di alcuni parchi nazionali, siete invitati a portarvi con voi lo spray, e fareste molto bene a seguire il consiglio, ma averlo a portata di mano non garantisce che saprete cosa fare se incontrerete un orso. Riguardo agli orsi, la maggior parte della gente è inetta, e io sono fra questi. O sono troppo spaventati (“orsonoici” potrebbe essere il termine per descrivere questa paura) o non lo sono abbastanza (temerorsi?).

Jill Lepore, The Bear in Your Back Yard, The New Yorker (24/7/2023). Nella foto (Wikipedia) uno spray per orsi.

Cercando di non masticare

A specie capaci di cognizione come la nostra può sembrare ovvio che mangiare i propri figli non sia la mossa più propizia per dei genitori novelli. Ma se mettete casualmente delle uova fecondate di fronte a un anfibio, questo le divorerà: dopo tutto le uova sono un pasto proteico gustoso e gratuito. Ha dunque senso che i circuiti neurali per la genitorialità possano inattivare l’istinto di base di mangiare le uova. Questo stimolo è particolarmente utile per gli animali dalla cova in bocca: rane e pesci che incubano e proteggono i propri piccoli nella cavità orale. Chiaramente l’impulso ad avere cura senza consumare è molto utile da questo punto di vista: sarebbe l’equivalente genitoriale di succhiare un lecca lecca per settimane cercando di non masticare.

Lucy Cooke, Bitch, Penguin (2022), traduzione L.V. Nell’illustrazione (The Embryo Project Encyclopedia) una rana australiana oggi estinta, Rheobatrachus silus, che covava le uova nella bocca.

L’altro inghiottì una mosca

«Che razza di faccende succedono!», proseguì il giudice.
Non aveva ancora fatto in tempo a dire queste parole che la porta scricchiolò e la metà anteriore di Ivan Nikiforovič si introdusse nell’aula, mentre la restante rimaneva ancora nel vestibolo. La comparsa di Ivan Nikiforovič, e per di più in tribunale, sembrò talmente fuori dall’ordinario che il giudice lanciò un grido; il segretario interruppe la propria lettura. Uno dei cancellieri, con una specie di mezza marsina di panno grezzo, si mise la penna tra le labbra; l’altro inghiottì una mosca. Persino l’invalido che espletava le mansioni di messo e di custode, il quale fino a quel momento se n’era stato in piedi accanto alla porta grattandosi dentro alla sudicia camicia con le spalline, persino questo invalido spalancò la bocca e pestò il piede a qualcuno.

Nikolaj Vasil’evič Gogol’, Storia di come Ivan Ivanovič litigò con Ivan Nikiforovič, in Taras Bul’ba e gli altri racconti di Mirgorod, traduzione di Luigi Vittorio Nadai, Garzanti (1992)

Com’è per un pipistrello essere un pipistrello

La versione più famosa di questa domanda si trova nel saggio “What it is like to be a bat?”, pubblicato nel 1974 dal filosofo Thomas Nagel. I pipistrelli sono sufficientemente imparentati con gli esseri umani, aveva osservato Nagel, perché noi li riteniamo capaci di ciò che chiameremmo esperienza. Ma come possiamo entrare nelle loro testoline pelose? La difficoltà non sta solo nel fatto che non possono parlare. È che il loro Umwelt ci è completamente estraneo.
Si potrebbe provare a immaginare, aveva scritto Nagel, “di avere una vista molto scarsa e di percepire il mondo circostante tramite un sistema di segnali sonori riflessi ad alta frequenza”, o di “avere del tessuto attaccato alle braccia, che ci consente di svolazzare all’alba e al tramonto per acchiappare insetti con la bocca”. Ma questo non ci aiuterebbe molto.
“Ma se io voglio sapere com’è per un pipistrello essere un pipistrello”, aveva provato a insistere Nagel, “appena provo a immaginarlo, mi ritrovo limitato dalle risorse della mia mente, che sono inadeguate”. La domanda “Com’è essere un pipistrello?”, aveva concluso, è una domanda a cui le persone non potranno mai rispondere perché va “oltre la nostra capacità di pensare e immaginare”.

Elizabeth Kolbert, The Strange and Secret Ways That Animals Perceive the World, The New Yorker (13/6/22), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Thomas Nagel.

Il gusto per la carne umana

Perché una specie aggiorna il proprio menu? Che cosa era successo a Pauri Garhwal? Jim Corbett riteneva che la causa fosse stata la pandemia di influenza «Spagnola» del 1918. Talmente tante persone ne erano morte rapidamente, aveva scritto in The man-eating Leopard of Rudraprayag, che l’usanza funeraria indù di portare i corpi per la cremazione sulle rive del Gange fu per un certo tempo sostituita da un rito più espediente. Un carbone ardente veniva posto nella bocca del cadavere, e questo veniva quindi buttato giù lungo il pendio in direzione del fiume. Un leopardo se lo sarebbe mangiato rapidamente. Corbett aveva ipotizzato che fossero stati proprio quei corpi a dare ai carnivori del Garwhal il gusto per la carne umana.

Mary Roach, Fuzz – When Nature Breaks the Law, Norton (2021), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) Jim Corbett con il cadavere di un leopardo.

Con la sua coda di Minosse

Nella piccola serra – da tempo secca e in disuso – osservavo, sopra sabbiosi ripiani, i piccoli coni di sabbia scavati da insetti chiamati formicaleoni. Con un fuscellino stuzzicavo le pareti inclinate di una di queste trappole – mors tua vita mea -, al fondo della quale se ne stava celato l’insetto, come Satana di quegli inferi. Al minimo movimento la bestiola s’illudeva – con un flusso di saliva in bocca? – che si trattasse di un insetto caduto nel cono. Dava allora colpetti ritmati e precisi con la sua coda di Minosse per smuovere la sabbiolina che faceva scivolare il malcapitato in fondo all’infernetto dove quel demonio in miniatura era pronto a inghiottirlo e che invece per colpa mia restava a bocca asciutta.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nell’illustrazione (Wikipedia) una larva di formicaleone.