Per quanto riguarda il cibo, per secoli gli islandesi hanno dovuto essere creativi. Le opzioni a cui hanno dovuto essere aperti includevano pulcinelle di mare, teste di pecora, testicoli acidi di montone e alcuni pesci piuttosto grandi. Gli squali della Groenlandia, tra i più abbondanti del Nord Atlantico, possono essere lunghi fino a sette metri e pesare anche una tonnellata. Sfortunatamente, per i commensali più esigenti, la maggior parte degli squali conserva l’urea tossica nel sangue, a differenza di quasi tutti gli altri animali che la espellono con la pipì. Oltre a guastare un po’ il sapore, l’urea fa sì che buttarsi a capofitto a mangiare uno squalo fresco sia parecchio rischioso. Troppo può uccidere, ma anche una piccola quantità può provocare una “ubriacatura da squalo”.
Gli astuti antenati dei moderni islandesi hanno però escogitato una soluzione: seppellire lo squalo in una fossa poco profonda, sotto alcuni ciottoli. Si potrebbe ragionevolmente sostenere che l’opzione più saggia sarebbe di lasciare lì lo squalo, ma gli islandesi sono tosti. In tre mesi orde di batteri hanno fatto una scorpacciata senza fine: in ogni cucchiaino di squalo ce ne sono, a quel punto, mezzo trilione. I batteri hanno putrefatto nonsolo la carcassa, hanno anche convertito l’urea in ammoniaca. A questo punto gli islandesi considerano lo squalo cotto a puntino, quindi lo riesumano e lo tagliano in strisce carnose e putrescenti, che mettono a seccare. Dopodiché non resta che mettersi a tavola.
Ashley Ward, Sensational, Profile Books (2023), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) pezzi di squalo appesi a seccare in Islanda.