Con la sua coda di Minosse

Nella piccola serra – da tempo secca e in disuso – osservavo, sopra sabbiosi ripiani, i piccoli coni di sabbia scavati da insetti chiamati formicaleoni. Con un fuscellino stuzzicavo le pareti inclinate di una di queste trappole – mors tua vita mea -, al fondo della quale se ne stava celato l’insetto, come Satana di quegli inferi. Al minimo movimento la bestiola s’illudeva – con un flusso di saliva in bocca? – che si trattasse di un insetto caduto nel cono. Dava allora colpetti ritmati e precisi con la sua coda di Minosse per smuovere la sabbiolina che faceva scivolare il malcapitato in fondo all’infernetto dove quel demonio in miniatura era pronto a inghiottirlo e che invece per colpa mia restava a bocca asciutta.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nell’illustrazione (Wikipedia) una larva di formicaleone.

Che ancora traballano

In quegli anni avevo un nuovo amico: Giancarlo Bizzi. Non mi ricordo più come ci siamo incontrati, ma è stato un rapporto folgorantemente iniziatore di cultura musicale e letteraria. Lui avversava Wagner e i tardo-romantici e prediligeva Brahms e Stravinskij. Mi ha anche introdotto a Thomas Mann. Passavamo serate fino a tardi in macchina, davanti alla sua casa in via Pompeo Magno, conversando senza fine; era profondo e geniale. Poi nella vita ci siamo persi – uno smette di chiamare e l’altro non richiama -, ma lui ha acceso in me tante fiammelle, che ancora traballano.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021)

Abbassando i soffitti

Le case dei borghesi erano dense di quadri, mobili, suppellettili, libri e carte di varie età e stili, come in un’eclettica ricapitolazione degli ultimi secoli, che a loro volta ricapitolavano millenni. Sono state sostituite dagli ambienti spogli dei nuovi ricchi attuali, simili a camere chirurgiche, disinfettate da ogni tradizionale residuo – come nel Ground zero -, tanto vuote quanto identiche nel monacale stile di un lusso tecnologico sfrenato nascosto sottotraccia (abbassando i soffitti). In questa impressionante folata di oblio, scevro di cultura scientifica e umanistica e fradicio di relazioni e comunicazioni effimere, piacevoli appuntamenti e mode fuggevoli come meteoriti, ogni staffetta volta a trasmettere la fiaccola delle civiltà è stata rimossa, quasi si fosse ricominciato a vivere su una tabula rasa, nella quale il passato più che una brace è ritenuto una noiosa e boriosa lungaggine.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nella foto, la famosa scena nella cucina, in “Mon oncle” di Jacques Tati (1958).

Così mi sono legato alle pietre che non ingannano

L’abisso archeologico è certamente buio ma anche perfettamente stabile, sicuro sotto i nostri piedi, perché i morti mai deludono o tradiscono dato che molto già sai di loro – come un profeta all’incontrario – e devi solamente completare dizione, scena, mobilio e costume; insomma i morti sono già dati, devi solo cercarli e se ne hai bisogno rimangono fedeli: non possono abbandonarti o farti del male. Così mi sono legato alle pietre che non ingannano.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021)

Salivano al quinto piano

A questo proposito ricordo che i miei genitori hanno venduto un appartamento in via XXIV Maggio, 14 a Gianni Agnelli, bello come il sole, e di squisita gentilezza. L’acquisto di quella casa derivava soprattutto dalla necessità per il presidente della FIAT di avere una base privata a Roma – arredata nello stile avveniristico che maggiormente potesse colpire gli uomini nuovi della politica (nulla quindi di tradizionalmente e scostantemente borghese) -, dove sviluppare e stringere il rapporto tra la FIAT, la politica e lo Stato. A ogni formazione di governo il primo ministro e i ministri più rilevanti salivano al quinto piano dal re capitalista per ottenerne, a certe condizioni, il gradimento. Più divertente era quando si vedevano in ascensore Kissinger, Fidel Castro e belle donne… In quell’appartamento la FIAT estraeva risorse dall’Italia, per finire poi all’estero…

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nella foto (viene da qui) uno scorcio su casa Agnelli in via XXIV Maggio a Roma.

Significano rispettosamente Caciolo e Caciola

E forse questo libro servirà a vivificare per alcuni momenti l’affetto dei nostri tardi nipoti. Quando sfogliandolo e rileggendolo ci troveranno le nostre sembianze e impareranno a chiamarci non col freddo nome registrato nei documenti notarili, ma col nome abbreviato e ingentilito della consuetudine domestica, noi appariremo loro meno lontani e meno solenni di quanto appaiano a noi i nostri maggiori. Chi vedrà una nonna venerabile in quella mia Linot che scrisse la prima volta con innata mano il suo nome il 1 Novembre 1886? E la sua mamma le reggeva e le guidava la mano che di per sé non avrebbe saputo tracciare segni leggibili – Linot!? Domanderanno, chi è questo nome? E non si chiama Paolina dal nome di mia madre e di Paolina si fece Lina e di Lina le sue sorelle fecero Linot, anzi un anno che avevano preso il vezzo di trasportare le sillabe di ogni parola, di Linot ne fecero Tolin, poi Tulin che si corruppe in Tumin e Tuma che in dialetto piemontese (lo parlerete ancora voi fra 150 anni) significano rispettosamente Caciolo e Caciola.

Giuseppe Giacosa, citato da Andrea Carandini in L’ultimo della classe, Rizzoli (2021). Nella foto (comune di Colleretto Giacosa) Giuseppe Giacosa con la moglie Maria, le tre figlie Bianca, Piera e Paola della Linot, e la nipotina Elena figlia del fratello Piero.