Scrivere richiede una certa cura

Avevo sei anni.
Prendevo in mano un foglio di carta assorbente e accarezzandolo col palmo della mano lo poggiavo dove il pennino aveva lasciato le forme ripetute, umide, leggermente rialzate delle lettere dell’alfabeto.
Quell’operazione di asciugatura era parte di un atto che altrimenti sarebbe rimasto imperfetto, insoddisfacente.
Stavo scoprendo che scrivere richiede una certa cura.

Giovanni Mariotti, Piccoli addii, Adelphi (2020). Nella foto (Wikipedia, Willem van de Poll, Nationaal Archief) Renée, figliastra del fotografo Willem Van der Poll, tampona con la carta assorbente una macchia d’inchiostro nel 1932.

Chiazze e pustole

unnamed (1)Rembrandt è affascinato dallo sfacelo: la poesia dell’imperfezione. Amava cercare i segni lasciati dal morso dell’esperienza terrena: le pieghe e le cicatrici, gli occhi arrossati e la pelle scabra che conferivano al volto umano una variegata ricchezza. Chiazze, pustole, macchie, croste, erano forme degne di attenta, amorosa ispezione: anomalie da accarezzare con tattile sguardo.

Simon Schama, Gli occhi di Rembrandt, traduzione di P. Mazzarelli, D. Aragno, L. Vanni, Mondadori (2000). Nella foto, Rembrandt van Rijn, Uomo in costume orientale (1635), Rijks Museum, Amsterdam. Grazie a Giorgio Vozza.