Di quel che sarebbe stato capace di fare

Voltaire invece è immensamente ricco. Da pochi anni possiede molto denaro arrivato per lo più in seguito a ottimi investimenti e abilissime speculazioni finanziarie. Una di queste, forse la più famosa, risaliva a circa un anno prima di ricevere l’eredità paterna (1° maggio 1730) quando «si accinse a dare una prima dimostrazione di quel che sarebbe stato capace di fare, misurando la propria intelligenza con l’acume degli speculatori di professione». Insieme all’amico matematico Charles Marie de La Condamine (1701-1774), da poco nominato alla Académie de sciences e che era stato suo compagno di studi al collegio dei gesuiti Louis-le-Grand, aveva sfruttato la falla nella lotteria che la città di Parigi aveva istituito per il rimborso di buoni municipali e si era accaparrato legalmente l’immenso lotto. E poco dopo aveva messo a segno un altro colpo del genere in occasione delle emissioni di certe obbligazioni lorenesi. Voltaire, «pur spendendo mostruosamente per tutta la vita, mantenendo un esercito di familiari, di clienti e di servitori, e pur abbandonando spesso gli enormi utili derivanti dalle sue opere alla mercé di editori e di attori, quando morì era sempre uno dei più ricchi borghesi d’Europa.

Paola Cosmacini, La ragazza con il compasso d’oro. La straordinaria vita della scienziata Émilie du Châtelet, Sellerio (2023). Nella foto (Wikipedia) da Maurice Quentin de La Tour, Ritratto di Voltaire, dettaglio del viso (castello di Ferney, circa 1736).

Abbandonare coloro che non muoiono abbastanza in fretta

Negli anni Settanta Lynn ha lavorato in uno dei primi hospice degli Stati Uniti. All’epoca la maggior parte dei pazienti era malata di cancro e moriva nel giro di poche settimane; le indicazioni sul massimo di sei mesi di ricovero era stata originariamente pensata per questo tipo di esigenze. Oggi la maggior parte dei pazienti degli hospice soffre di patologie croniche, tra cui malattie cardiache e demenze. Inoltre alcuni di loro, indipendentemente dal fatto che abbiano davanti sei mesi o sei anni di vita, dipendono dall’hospice per le cure domiciliari e altri servizi alla persona che altrimenti non sarebbero disponibili. Tuttavia, dato il sistema attuale, via via che il numero di pazienti con prognosi ambigue aumenta, i fornitori di questi servizi (inclusi quelli etici) sono sotto pressione finanziaria per abbandonare coloro che non muoiono abbastanza in fretta. È una tipica mancanza di immaginazione americana il fatto che le persone che soffrono di un declino terribile ma imprevedibile vengano date per morte e abbandonate in fin di vita.

Ava Kofman, How Hospice Became a For-Profit Hustle, The New Yorker (5/12/2022), traduzione L.V.

Come colpire un grosso nido di calabroni con un bastone corto

Un altro concetto fondamentale è che l’economia non esiste separatamente dalla biosfera terrestre, ma solo al suo interno, e che le sue dimensioni sono limitate dalla sua dipendenza da risorse naturali finite.
Queste proposte possono sembrare semplici, ma argomentare contro la crescita economica era come colpire “un grosso nido di calabroni con un bastone corto”, il Dr. Daly aveva scritto in una prefazione alla sua biografia scritta da Peter Victor.
“Si sconvolgeva bruscamente un consenso molto ampio e confortevole”, aveva aggiunto.
Ha esortato politici, governi e altri economisti ad abbandonare l’incessante ricerca della crescita a favore di una cosiddetta economia dello stato stazionario, con cui si raggiungerebbe un equilibrio stabile tra il sostegno della vita umana e la conservazione dell’ambiente.

Ed Shanahan, Herman Daly, 84, Who Challenged the Economic Gospel of Growth, Dies, The New York Times (8/11/2022), traduzione L.V. Nella foto (University of Maryland) Herman Daly.

Quanto sarebbe stato difficile girare “The Aryan Papers”

Kubrick abbandonò l’idea di girare The Aryan Papers dopo avere appreso che Spielberg stava facendo un film sull’Olocausto, Schindler’s List. Aveva stimato che i due film sarebbero usciti all’incirca nello stesso periodo e non voleva che fossero in competizione. Ma dovevano esserci anche altre ragioni. Christiane ha ricordato che Stanley era sempre più depresso e turbato dall’argomento. “Se uno mostra le atrocità come sono realmente accadute”, ha detto Christiane anni dopo, “ciò comporta la totale distruzione degli attori. Stanley non era in grado di spiegare i motivi delle uccisioni. Diceva: ‘Morirò per questo, e anche gli attori ne moriranno, per non parlare del pubblico’”. Una scena nella sceneggiatura principale, datata 5 ottobre 1992, che descrive alcune donne violentate dai collaboratori ucraini dei nazisti, fa capire quanto sarebbe stato difficile girare The Aryan Papers: “Le violentavano pubblicamente, singolarmente, in gruppo, per terra, appoggiandole contro le pareti distrutte delle case. Alcune donne venivano fatte inginocchiare, i soldati le tenevano da dietro per i capelli, e nelle loro bocche spalancate entrava un pene dopo l’altro”.

David Mikics, Stanley Kubrick – American Filmmaker, Yale University Press (2020), traduzione L.V.

E da quel giorno il pesce San Pietro ebbe un’indole docile

Questo pesce che i pescatori greci chiamano Christopsaro, il «pesce di Cristo», si racconta che un tempo, in epoche trascorse, fosse un gran mostro marino. Seminava il terrore nel Mediterraneo prima di Cristo. Che Iddio proteggesse un Fenicio dal cadere in mare! Sarebbe stato perduto… Non si contano le galee cartaginesi e le barche da pesca dei figli d’Israele che il mostro fece colare a picco. Tagliava, tranciava, lacerava, sminuzzava, forzava, strappava, squarciava, stirava, riduceva a brandelli. Il più ardito corsaro del Mediterraneo, impavido e temerario di fronte a uomini, animali, tempeste, saette, nubifragi, sciagure, tormenti, impallidiva come uno straccio solo a sentire il nome di quel pesce.
Un giorno Gesù, camminando in riva al mare, vide dei pescatori in preda al terrore che abbandonavano le barche e fuggivano. Quando chiese loro che cosa stesse succedendo, quelli risposero: «Misericordia, pietà! Salvaci da questo mostro! Ha fatto schegge delle nostre barche, ha sbranato i nostri compagni… Ma il peggio è che non possiamo più pescare e la fame ci divora!».
E Gesù, scalzo e a capo scoperto, come una zucca, avanzò nel mare e andò dove era un gran ribollire di quei mostri. Agguantò il più grosso con le mani dalle lunghe dita e lo tirò fuori dall’acqua. Lo strinse forte tra due pollici, si chinò verso di lui e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio… E da quel giorno il pesce San Pietro ebbe un’indole docile, povera creatura, nonostante l’aspetto terribile.
Sparse sul corpo, presenta protuberanze simili a chiodi, asce, tenaglie, seghe, lime, con aculei a metà fra la lisca e l’osso. Forse per via di tanta attrezzatura in turco è detto anche «pesce carpentiere».

Sait Faik Abasıyanık, Un uomo inutile, traduzione di Giampiero Bellingeri, Fabrizia Vazzana, Adelphi (2021). Nell’illustrazione (Wikipedia) un pesce San Pietro.

Così mi sono legato alle pietre che non ingannano

L’abisso archeologico è certamente buio ma anche perfettamente stabile, sicuro sotto i nostri piedi, perché i morti mai deludono o tradiscono dato che molto già sai di loro – come un profeta all’incontrario – e devi solamente completare dizione, scena, mobilio e costume; insomma i morti sono già dati, devi solo cercarli e se ne hai bisogno rimangono fedeli: non possono abbandonarti o farti del male. Così mi sono legato alle pietre che non ingannano.

Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli (2021)

Eppure ricominciò tutto da capo

La cosa che mi interessa davvero di Wallace è che, a differenza di Darwin, è un uomo che si è fatto totalmente da solo. Non aveva una grande fortuna, non aveva ricevuto un’istruzione particolarmente buona, eppure ha fatto quello che ha fatto. Quando partì per l’Amazzonia, la sua idea era di finanziare le proprie ricerche vendendo gli esemplari che avrebbe raccolto. Ma ciò che gli accadde sulla via del ritorno avrebbe annientato chiunque. La sua nave prese fuoco mentre stavano navigando verso l’Inghilterra, e lui perse tutto. Dovette abbandonare tutti i suoi esemplari prima di salire su una scialuppa di salvataggio. Il lavoro di una vita era andato in fumo e anche lui era quasi morto prima di poter essere salvato. Eppure ricominciò tutto da capo, viaggiando per anni attraverso le foreste pluviali del Sud-est asiatico.

Jason Chapoman citato da David Barrie in Supernavigators, The Experiment (2019), traduzione L.V. Nella foto (BHL, George Beccaloni) Alfred Russel Wallace nel 1869.

Spazzatura balistica al galoppo attorno al pianeta

Nei quattordici miliardi di anni tra il Big bang e l’autunno del 1957, lo spazio era immacolato. Poi vennero gli oggetti n. 1 e 2 del catalogo NORAD: lo Sputnik 1 – una sfera lucida in lega di alluminio con quattro lunghe antenne – e il razzo che l’Unione Sovietica aveva usato per lanciarlo, inaugurando così l’era spaziale. Lo Sputnik fece il giro del pianeta in un’orbita ellittica, ma a un’altitudine talmente bassa che l’attrito con l’atmosfera lo fece precipitare nel giro di tre mesi. L’anno successivo la NASA lanciò più lontano nello spazio l’oggetto n. 4, il Vanguard 1, ma poi perse il contatto. Alla deriva dal 1964, gira ancora attorno al pianeta. Al culmine della Guerra fredda, lo Sputnik e il Vanguard furono gli emblemi trionfanti di un futuro audace. Oggi sono simboli di spazzatura.
Dal 1957 l’umanità ha messo in orbita quasi diecimila satelliti. Ne sopravvivono 2700, gli altri sono tutti defunti o distrutti. Sebbene collettivamente siano costati miliardi di dollari, la concezione con cui furono lanciati era che fosse più economico abbandonarli che continuare a mantenerli. Alcuni, come lo Sputnik, sono bruciati. Migliaia di altri, come il Vanguard, rimarranno in orbita per decenni o per secoli, spazzatura balistica al galoppo attorno al pianeta: un pericolo sia per gli astronauti sia per i veicoli spaziali senza equipaggio.

Raffi Khatchadourian, The elusive peril of space junk, The New Yorker (21/9/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia, NASA) il satellite Sputnik 1.