Il pianoforte era troppo buono per lui

Beethoven, che aveva incontrato Nannette Stein ad Augusta anni prima, nel 1796 le chiese in prestito uno dei suoi pianoforti per un concerto a Presburgo (oggi Bratislava). Scrivendo al marito Andreas Streicher, Beethoven aveva detto scherzando che il pianoforte era troppo “buono” per lui, che voleva avere la “libertà di creare la propria tonalità”. In una lettera successiva, si era lamentato del fatto che il pianoforte era ancora il meno sviluppato di tutti gli strumenti e che suonava troppo come un’arpa.
L’elegante pianoforte Stein, dal tocco leggero e dalla tonalità argentina, non era l’ideale per lo stile di esecuzione selvaggio e potente di Beethoven. Chiaramente occhieggiando al compositore, in un saggio Andreas aveva descritto un anonimo pianista come un brutale assassino della tastiera, “deciso a vendicarsi”.
“Già dai primi accordi, suonati con tanta violenza, uno si chiede se il musicista sia sordo”, aveva scritto.
Il commento era tristemente premonitore. Beethoven aveva appena iniziato a notare un calo del proprio udito, ma non ne aveva parlato con nessuno. In seguito avrebbe avuto bisogno di uno strumento più forte per compensare la sordità, ma in questo momento era preoccupato soprattutto di trovare un pianoforte che potesse soddisfare le sue dinamiche estreme.

Patricia Morrisroe, The Woman Who Built Beethoven’s Pianos, The New York Times (6/11/2020), traduzione L.V. Nella foto (Wikipedia) un pianoforte Streicher.

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