La parola pace

sontagNoi scrittori ci preoccupiamo delle parole. Le parole significano. Le parole indicano. Le parole sono frecce. Frecce bloccate nella pelle ruvida della realtà. Tanto più portentose e generali sono le parole, tanto più assomigliano a sale o a gallerie. Le parole possono espandersi o incavarsi. Possono arrivare e riempirsi di un cattivo odore. Spesso ci ricordano altre stanze, dove vorremmo indugiare o in cui già pensiamo di vivere. Possono essere spazi dove perdiamo l’arte o la saggezza di abitare. Alla fine questi volumi di intenzioni mentali che non sappiamo più come abitare saranno abbandonati, sbarrati, chiusi.
Che cosa intendiamo, ad esempio, con la parola “pace”? Intendiamo l’assenza di un conflitto? Il dimenticare? Il perdono? O intendiamo una grande stanchezza, uno sfinimento, uno svuotamento del rancore? Mi sembra che ciò che molte persone intendono con “pace” è vittoria. La vittoria della loro parte. Questo è quello che “pace” significa per loro, mentre per gli altri pace significa sconfitta… La pace diventa uno spazio che un popolo non sa più come abitare.

Susan Sontag, The Conscience of Words, in At the Same Time: Essays and Speeches, grazie a Maria Popova, Brain Pickings (19/12/16), traduzione L.V. Nella foto (Peter Hujar) Susan Sontag.

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